Lo Stato dei Luoghi: come la cultura può risanare i vuoti urbani e le comunità – Dove eravamo rimasti #20
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Matera, Basilicata - “I luoghi sono l’uso che se ne fa. Il loro stato non è una condizione data, ma un processo”: è forse questa la sintesi più efficace degli intenti che muovono la rete fondata a luglio del 2020 per riunire quegli spazi in abbandono, recuperati attraverso processi di inclusione sociale e rigenerazione urbana a base culturale. Lo Stato dei Luoghi appunto nasce da un percorso di riflessione tra il 2017 e il 2018, «quando gli spazi ibridi erano ancora lontani da una definizione precisa. E intorno a questi si era costruita una narrazione che non controllavamo», esordisce Emmanuele Curti.
Ex docente di archeologia classica, manager culturale, ma soprattutto «curatore di relazioni», come ama definirsi, Emmanuele Curti ci aveva raccontato proprio l’anno scorso della nascita dello Stato dei Luoghi, a dieci anni dal suo primo incontro a Matera con Daniel Tarozzi e Paolo Cignini, nel corso del loro viaggio in camper. Oggi torna a parlarci della rete di questi ex-spazi restituiti alla comunità, insieme a Roberta Franceschinelli, presidente e co-fondatrice dello Stato dei Luoghi.
SPAZI IBRIDI: ISTRUZIONI PER L’USO
Ci raccontano innanzitutto che si è da poco chiusa una call to action promossa dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, in collaborazione con il Master U-Rise dell’Università IUAV di Venezia e la rete Lo Stato dei Luoghi. L’iniziativa era rivolta a organizzazioni no profit e imprese sociali di comunità che vogliono contribuire al dibattito pubblico sulla rigenerazione culturale dei luoghi. Ne avevamo parlato in un precedente articolo e con piacere apprendiamo che a rispondere sono state ben 250 realtà in tutta Italia.
«È stato un risultato molto importante», aggiunge Curti. «Come da programma a ottobre si riuniranno i focus group e a novembre a Venezia ci saranno la restituzione del progetto e il confronto con il mondo istituzionale». Ibridazione – Nuove politiche per la rigenerazione culturale dei luoghi si inserisce in un disegno più ampio, finalizzato a un riconoscimento univoco degli spazi ibridi disseminati su tutto il territorio nazionale.
«Nel corso della precedente legislatura abbiamo depositato una proposta di legge incentrata sul riconoscimento di luoghi e di spazi della cultura, della creatività e delle arti performative, includendo anche quegli ex-luoghi del Novecento che oggi sono spazi ibridi di contaminazione culturale e inclusione sociale», precisa Curti.
Nella proposta – in esame alla Commissione Cultura della Camera – tra gli scopi di questi vuoti urbani di cui la comunità può finalmente rappropriarsi, si legge: “produzione”, “promozione”, “diffusione” e “fruizione culturale, creativa e artistica – indipendentemente dal genere, dai linguaggi, dai modi e dalle forme di rappresentazione, esibizione, espressione e fruizione”. Questi luoghi “svolgono attività a carattere multidisciplinare e multifunzionale, promuovendo l’innovazione e la sperimentazione, la coesione e l’inclusione sociale, anche attraverso la realizzazione di servizi educativi e di servizi per la comunità e per i territori”.
USCIRE DALLA FRAMMENTARIETÀ
Quelli della rete Lo Stato dei Luoghi sono spesso spazi marginali: «Per circa l’80%, questi vuoti urbani sono pubblici e comunali – precisa Curti – uno degli intenti è proprio arrivare a una normativa comune ed elastica che aiuti soprattutto i comuni a poter dare in gestione questi spazi». Gli ex-luoghi vengono così «rideclinati» rispetto alla loro funzione originaria. «Ci infiliamo nelle rovine, nelle crepe di questi luoghi per dar vita a qualcosa di nuovo».
Lo Stato dei Luoghi lavora infatti su un cambio di paradigma del concetto di cultura: «Innovazione, inclusione sociale: l’idea di cultura che anima i luoghi ibridi è molto distante dalla mercificazione della cultura stessa», ha precisato la presidente dello Stato dei Luoghi. «La rete permette di scambiarsi buone pratiche ed esperienze: non a caso raccoglie realtà longeve e altre appena costituitesi. Dietro i processi di rigenerazione urbana a base culturale ci sono enti del terzo settore, associazioni, cooperative ma anche singoli cittadini che possono aderire alla nostra rete».
COLMARE I VUOTI E PRENDERSI CURA DELLA COMUNITÀ
La rete Lo Stato dei Luoghi si occupa di spazi a cui è stato restituito un nuovo significato. Luoghi che un tempo sono stati altro e che sottratti all’abbandono tornano a diventare uno spazio di socialità per la comunità. «Qui in Italia siamo ossessionati dal concetto di bene culturale – polemizza Curti –, ma come questi si relazionano alla contemporaneità è un grande vuoto di senso».
A tal proposito, Curti racconta spesso di quando lavorava a Pompei come archeologo. «Mi capitava di assistere alle visite delle scolaresche a cui le guide mostravano i resti del foro, spiegando loro che era proprio lì che era stato inventato lo spazio pubblico. Ma quei bambini, nelle proprie periferie magari non ce l’avevano neppure lo spazio pubblico, come potevano riconoscerlo in quelle rovine? In quel momento mi rendevo conto che l’archeologia aveva fallito. E Pompei non mi sembrava altro che uno zoo archeologico».
Da qui la riflessione sulla cultura come potente agente sociale e su un concetto di welfare più ampio che includa la cura della comunità proprio attraverso la cultura. «Senza esasperare la dicotomia tra società sana e società malata, ma guardando alla cultura come elemento fondante del benessere di una comunità», ribadisce Curti a proposito del lavoro sugli spazi ibridi che costellano la nostra penisola.
COSA NE SARÀ DOMANI?
Per quanto riguarda il futuro dello Stato dei Luoghi, certamente «l’obiettivo è continuare a connettere nuove realtà, spazi ibridi, grazie allo scambio di esperienze e buone pratiche», conclude Franceschinelli. «La fase politica che stiamo attraversando segna un momento alquanto difficile per quanto riguarda la cultura», aggiunge Curti senza mezzi termini.
È innegabile che le crisi delle città dipendono soprattutto dal non sapere che farsene di questi spazi abbandonati. Ma oltre alla spinta dal basso che proviene dalle comunità, dagli attori del terzo settore, da reti come lo Stato dei Luoghi, il dialogo con gli interlocutori politici resta un punto irrinunciabile, su cui non smettere di lavorare nonostante tutto. Il futuro dello Stato dei Luoghi è ancora tutto da scrivere e raccontare.
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