Tobilì a tutto tondo: il progetto di imprenditoria etica che parte dalla ristorazione
Seguici su:
Campania - Con Lina Capasso, responsabile della logistica e dell’organizzazione di eventi per Tobilì, e Fabio Crusco, direttore del ristorante La cucina di Giufa’, abbiamo parlato a lungo in un precedente articolo dell’idea di cucina e di ristorazione che portano avanti nell’ambito della cooperativa.
La ristorazione rappresenta però per Tobilì solo uno dei tasselli di un disegno più grande, che mira alla sostenibilità, alla valorizzazione delle risorse del territorio e all’occupazione di persone provenienti da circuiti a forte rischio. Scopriamo quindi insieme a loro quali sono le altre attività che negli anni hanno caratterizzato il lavoro della cooperativa in ambito sociale e imprenditoriale, analizzando le difficoltà specifiche di questo tipo di progetto.
La Cucina di Giufa’ è la vetrina di Tobilì sulla città. Quali sono gli altri progetti che portate avanti con la vostra realtà, oltre la ristorazione?
Lina: Partiamo da questo posto, perché è da qui che nasce un’idea d’imprenditoria allargata, un progetto che poi è andato avanti e si è sviluppato. Ci sono però diverse attività di cui ci occupiamo. Da un anno abbiamo in gestione la mensa della Stazione Zoologica di Napoli. Anche questa commessa ci ha permesso di crescere come Tobilì, perché abbiamo avuto l’opportunità di creare nuove borse di lavoro, tirocini che si sono trasformati poi in cinque contratti lavorativi, e questo è un grande orgoglio per una realtà molto piccola nella sua compagine.
Un’altra serie di attività a cui ci dedichiamo riguardano servizi di catering e di cucina, quindi l’organizzazione di eventi di lavoro e la banchettistica. Questa nostra occupazione si sta sviluppando e sta crescendo e continuando così ci permetterà di avere più persone che potremo chiamare quando ne avremo bisogno per svolgere questo tipo di servizio.
Voglio poi citare la realizzazione di un progetto all’interno di un bene confiscato alla cui gestione parteciperà anche Tobilì. Un bene che è stato abbandonato per oltre trent’anni sarà presto anche produttivo e che adesso è una casa d’accoglienza. A breve Tobilì vi gestirà il laboratorio di cucina e di trasformazione, con corsi di formazione dedicati a persone che provengono dai canali dell’immigrazione, della tratta e della violenza.
Violenza e tratta sono circuiti molto particolari e la sede sarà specifica per questo tipo di realtà, di famiglie, donne che hanno vissuto drammi che non possiamo nemmeno immaginare e che avranno così anche l’opportunità di potersi formare nei laboratori. E l’ultima cosa – che poi è quella più importante per il nostro sostentamento – è il rifornimento: Tobilì è il service per tutte le derrate alimentari per le comunità che Less Onlus gestisce.
Avete raggiunto traguardi importanti. Quali sono le difficoltà che avete incontrato sul percorso e cosa vi ha spinto ad andare avanti?
Lina: Con Tobilì abbiamo appena vinto, e sono svariati anni che lo vinciamo, il premio dell’UNHCR Welcome – Working for Refugee Integration, per chi assume persone che vengono da questo tipo di circuiti; si premia in maniera simbolica le realtà che si impegnano in un percorso che non è semplice e non sempre va a buon fine. Ci possono essere tante complicazioni che non dipendono da noi e nemmeno, a volte, dall’altra persona: problemi politici e burocratici, rispetto alla richiesta dei permessi.
Qui apriamo un doveroso capitolo sulle difficoltà di impiegare persone valide che però sono arenate nella burocrazia e nelle carte e devono aspettare molto per avere un permesso e lavorare regolarmente. Non basta in questo paese – e questa non è semplice retorica – avere la volontà di essere bravi cittadini, molto spesso non ci sussistono le condizioni politiche e materiali. Spesso percorsi molto belli di riscatto si interrompono e questo è un fallimento per tutti.
Tobilì va a lavorare anche su molti stereotipi, ma non perdiamo di vista l’aspetto più importante che è la cucina. È una cosa straordinaria poter utilizzare il cibo e farlo diventare anche uno strumento politico e di cultura. Costa una fatica immane mandare avanti tutto ciò anche perché se sei un imprenditore onesto – cosa che per noi è fondamentale – la trasparenza del lavoro è importante, quindi avere tutti i contratti regolari e gestire le tasse.
Fabio: Io vengo da un’esperienza imprenditoriale dove il guadagno era la base principale. Qui ho trovato la mia dimensione, perché mi sono reso conto che fare qualcosa e farlo non solo per te stesso, ma anche per gli altri, ti da soddisfazione a livello umano che va oltre lo stipendio.
Lina: Questo è il senso di tutto quello che faccio. Perché restituisce qualcosa e questa è la differenza, perché scelgo di essere un operatore sociale e non un’impiegata in qualsiasi altro tipo di organizzazione o ufficio.
Per quanto riguarda il laboratorio, vi andrebbe di spiegarmi meglio le sue finalità?
Lina: Il laboratorio è in divenire. È un progetto che partirà da qui a qualche tempo. In realtà ce ne sono due, uno a Boscotrecase e uno nel bene confiscato. È il fiore all’occhiello perché, dopo tanti anni di abbandono, viene recuperato un bene e lo i inserisce in una progettualità come casa d’accoglienza e laboratorio, quindi da simbolo del male diventa segno di riscatto e di bellezza, creando anche opportunità di lavoro.
Il progetto imprenditoriale di Tobilì è quello di chiudere un cerchio, di essere il più sostenibili possibile, di autosostentarci in tutto abbattendo molti costi. Per le nostre comunità avere un laboratorio vuol dire garantire una certa qualità. Si è pensato di accorciare ancora di più il processo, tagliare uno step e produrre noi alcune cose che possano essere vantaggiose per il nostro circuito. Ma anche offrire una seconda opportunità economica per gli ospiti dei centri.
Il fine è sempre quello di creare delle opportunità, un nuovo strumento di lavoro che possa essere vantaggioso internamente, ma anche spendibile, che abbia un ritorno per gli altri, che possa crescere in maniera sana. Il Covid ha bloccato queste cose, che sarebbero dovute essere già allo stato attuale produttive e operative, ma lo sono solo in parte.
In che modo la pandemia ha inciso sulle attività di Tobilì?
Fabio: Durante il Covid, non potendo fare ristorazione abbiamo, con la conoscenza delle nostre aziende agricole, cominciato a vendere prodotti alimentari e siamo così diventati una bottega per circa un anno e mezzo. Fondamentalmente i nostri clienti erano quasi tutti amici che poi hanno sparso un po’ la voce; in quel periodo noi facevamo consegne a domicilio. Quindi questo negozio all’improvviso il mercoledì si riempiva di cassette di frutta o di carne biologica che consegnavamo in maniera capillare nei vari quartieri di Napoli e grazie a quest’idea La Cucina di Giufa’ è sopravvissuta.
Lina: Una realtà come Tobilì si è dovuta inventare qualcosa di diverso, non ha continuato a portare avanti il lavoro che faceva prima, come molti hanno fatto, trasformando semplicemente la modalità di somministrazione. Qui il cocktail bar è diventato una bottega alimentare, che vendeva anche per conto di altri.
Fabio: Non è stata una cosa facile, perché non avevamo dei prezzi bassi, non eravamo certamente in grado di essere competitivi, per esempio, con un supermercato, perché avendo una serie di prodotti biologici, di alta qualità, avevamo bisogno di una un’utenza che comunque comprendesse il tipo di offerta di Tobilì. Questo ci ha permesso di vivere e di affrontare quel periodo.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento