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Bologna, Emilia-Romagna - Era da un po’ di tempo che volevo partecipare a un raduno RIVE, la rete degli ecovillaggi italiani. Stufo delle grandi città e di quel vivere frenetico guardavo alla vita in comunità con grande curiosità. Arrivati al giorno dell’incontro ho però iniziato a sentire la pressione di quello che avrei dovuto fare: un video racconto del raduno e la proiezione di alcuni documentari sul vivere alternativo da me filmati per Silence Magazine.
Ma come sarebbe stato trascorrere quattro giorni in un bosco con persone che non conoscevo? Mi sarebbero mancati i comfort a cui ormai facevo così tanto affidamento in città? L’uso dei cellulari, per esempio, era sconsigliato in tutte le aree del raduno e in alcune addirittura vietato, mentre i pasti venivano serviti solo a determinate ore. Mi preoccupava anche l’assenza di privacy, visto che la maggior parte degli spazi erano in condivisione, bagno compreso, perché le compost toilet erano chiuse solamente da un telone e spesso vedevi anche il tuo vicino.
Nonostante la mia insicurezza, non vedevo l’ora di partire per quest’avventura, perché come diceva uno dei più importanti scrittori anticonformisti americani, Henry David Thoreau, “la salvezza del mondo è nella natura selvaggia”. Il raduno si svolgeva in un bosco con due aree di prato dedicate ai cerchi di gruppo, balli, workshop e campeggio. Tubature con acqua corrente erano state portate fino ai campi per facilitare l’accesso a docce e compost toilets.
INIZIA IL RADUNO
Sono partito da Bologna direzione Monzuno, un paesino a quasi 700 metri d’altitudine da cui passa La via degli Dei, il cammino che ogni anno vede 20000 persone partire zaino in spalla da Bologna per arrivare a Firenze. Dal punto d’incontro una navetta ci ha portato all’inizio di un sentiero nel bosco, che proseguiva ripido per circa dieci minuti di camminata. Al nostro arrivo al campo base siamo stati accolti da canti di benvenuto, chitarre e quel sole di fine giornata che fa diventare bellissima ogni cosa che illumina. È allora che ho apprezzato la fatica provata durante la salita, come se la bellezza delle cose si svelasse solo dopo aver superato uno stato di disagio.
La sera ci si riuniva nel grande prato, chiamato “campo cuore” per via della sua forma. È qui che tutte le mattine i partecipanti scambiavano la propria energia tenendosi per mano nei cerchi, si aprivano al confronto con gli altri, spesso rivelando fragilità e insicurezze. Ma non solo: il campo cuore era anche il luogo in cui si ballava, ci si abbracciava, si rideva e si faceva yoga.
L’UNIONE DEI CERCHI
Inizialmente non capivo il significato dei cerchi: chi presentava i propri problemi non riceveva una risposta al sentimento appena condiviso. Non c’era nessun “mi dispiace” o “vedrai che andrà meglio”, nessuna forma di conforto o compassione. Ripensandoci ho poi capito che l’ascolto stesso era la “cura”. Cosa poteva esserci di più bello che essere ascoltati senza giudizio? I benefici di quest’ascolto erano la creazione di una maggiore consapevolezza del proprio io. Affermare i propri pensieri vuol dire concretizzarli e quindi guardare verso una soluzione già presente in noi, ma che non riusciamo ad esternare.
GLI ARGOMENTI TRATTATI
Il raduno RIVE è da sempre l’occasione per confrontarsi su nuove soluzioni finanziarie, sociali ed ecologiche per ecovillaggi e comunità. In questa edizione si è parlato tanto di libertà individuale in contrapposizione a una struttura troppo rigida all’interno degli stessi spazi comunitari. La libertà dovrebbe essere un punto fondamentale per chi sceglie questo stile di vita, ma questa non si traduce in un allontanamento dalle responsabilità. Infatti, in una comunità che ha fondato i suoi principi sull’equità si possono creare amarezze e scontri nel momento in cui ci si carica di maggiori responsabilità, quando automaticamente si acquisisce un rango più alto nella gerarchia decisionale di un ecovillaggio.
Alla fine vince sempre l’amore. O almeno questo è il sentimento comune che è uscito fuori dai tanti cerchi che si sono visti al raduno. Mario Cecchi, tra i fondatori del Popolo degli Elfi, uno degli ecovillaggi più longevi d’Italia, l’ha ripetuto più volte: «È solo attraverso l’amore che si può andare oltre, con l’amore si abbattono i muri e si garantisce una vita comunitaria pacifica».
Eppure non è sempre così facile far valere tutti i principi comunitari senza che alcuni di essi entrino in conflitto tra loro. Per esempio si è parlato tanto di valorizzare la differenza e di integrare le diversità all’interno della comunità – cosa che condivido pienamente –, però è difficile non lasciare che la differenza crei divisioni, gerarchie e quindi forme di isolamento simili ai modelli che già vediamo nelle città.
La vita comunitaria deve trovare il giusto equilibrio tra lo stare con gli altri e il rispetto degli spazi individuali. Un obiettivo difficile se si pensa che la condivisione è alla base dei valori di un ecovillaggio o comunità. Non mi riferisco solo all’utilizzo di spazi comuni ma anche ai veri e propri oggetti: dalla lavatrice alle posate in cucina, dal materiale ludico all’automobile. Come spesso accade, infatti, la macchina ha un proprietario ma è in condivisione con l’intera comunità. Questo richiede da parte di ognuno una gran serietà verso il progetto comunitario per contribuire attivamente laddove si ha una carenza di oggetti, ma anche capacità esecutive.
IL RITORNO
Durante il raduno è successo qualcosa di magico: la mente si è allontanata dal frastuono, dalle automobili, dalle mura di cemento e si è caricata di verde, di anime buone e di libertà. Al termine dei quattro giorni sono stato pervaso da forma estrema di gratitudine. Quello che avevo visto e sentito, le persone incontrate, il cibo vegano mangiato, le docce fredde e le notti in tenda con un sacco a pelo dentro l’altro, si sono fuse in una danza di felicità, lasciandomi con un gran sorriso.
E al ritorno non riportavo con me solo l’attrezzatura video e da campeggio, ma qualcosa di più prezioso: i sogni di una vita in armonia con la natura, il coraggio di riscrivere i valori di una società stanca, il riconoscersi come esseri liberi in un mondo che ha comprato l’idea stessa di libertà.
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