Hackmeeting: a Reggio Calabria il raduno delle controculture digitali per condividere conoscenza
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Reggio Calabria - Senza confini e senza autorità, il grande luogo della libertà. Questo dovrebbe essere internet, ma così non è. C’è un Internet potenziale. E attenzione non astratto o concettuale, ma potenziale perché in potenza ha in sé tutte le caratteristiche per essere il luogo di libertà che dovrebbe essere. E poi c’è l’Internet reale, quello che corrisponde al mondo e alla società di oggi, ostaggio del potere economico e politico. Dove spadroneggiano impuntiti i social network che, oltre a essere piattaforme, sono innanzitutto aziende multinazionali consacrate al mero profitto. Perciò la Rete, massimo esempio di orizzontalità e uguaglianza, è uno spazio da rivendicare, innanzitutto chiedendo cittadinanza, alfabetizzazione ed ecologia.
Con questo orizzonte ogni anno – da 25 anni – si tiene l’Hackmeeting, il raduno delle controculture digitali, in altre parole l’incontro di chi si definisce hacker in Italia e che quest’anno si tiene al centro sociale Cartella di Reggio Calabria, dal 7 al 10 settembre. «Un momento di condivisione della conoscenza», lo definiscono gli organizzatori.
E puntualizzano: «Non per inseguire il sogno della prossima startup destinata a diventare una macchina da soldi, ma per analizzare assieme le tecnologie che utilizziamo quotidianamente; come cambiano e come incidono sulle nostre vite reali e virtuali e quale ruolo possiamo rivestire nell’indirizzare questo cambiamento per liberarlo dal controllo di chi vuole monopolizzarne lo sviluppo, sgretolando i tessuti sociali e relegandoci in spazi virtuali sempre più stretti».
Quattro giorni di seminari, giochi, dibattiti, scambi di idee e apprendimento collettivo. Tanti i seminari, aperti a tutte le persone e gratuiti, per mettere insieme idee e competenze: dai software per aggirare la censura, all’organizzazione dei collettivi di attivisti, alle tecnologie per lo smartphone dedicate alle persone sorde o ipovedenti. E ancora: la sessualità e il suo rapporto con la rete, l’installazione di Linux su computer e telefonini, le insidie dell’intelligenza artificiale – con il rischio di consolidare pratiche discriminatorie dietro l’apparente oggettività delle macchine –, le strategie della propaganda sui social, il futuro del software libero.
È una formula ormai consolidata l’hackmeeting, giunto alla 25esima edizione: 0x19, in notazione esadecimale. La prima volta fu nel 1998 a Firenze, nello storico centro sociale Cpa, mentre nel resto di Europa si sperimentavano i primi campeggi hacker. Tre anni dopo nascerà il collettivo Autistici/Inventati che riunisce ancora oggi attivisti politici e digitali interessati ai problemi di anonimato, privacy e tecnologie.
Il meeting è la risposta al giro di vite, avviato nei primi anni 90, contro gli hacker. Una strada costruita collettivamente per uscire dal percorso per nulla obbligato della loro criminalizzazione. Quando i media scoprono il fenomeno digitale iniziano a identificare i critici al sistema come “criminali”, bollando negativamente il tentativo di capire la logica delle nuove tecnologie. E invece la comunità hacker voleva, allora come oggi, sottolineare che il computer è uno strumento di massa, di uso domestico e non solo tecnico-universitario o militare, di controllo o di mercato. Perciò, l’informazione che su quella rete di pc passava, avrebbe dovuto essere libera.
Non a caso, all’hackmeeting partecipa la scena più rappresentativa dell’underground italiano, la prima generazione di hacker che si riconosce nel significato di questo termine: esperto di informatica, programmazione, sistemi e sicurezza informatica. E non nel senso più comunemente attribuito dai media, che spesso si soffermano troppo – se non esclusivamente – sulla capacità di introdursi/violare reti di computer illegalmente e cioè senza autorizzazione.
Nell’ultimo quarto di secolo, di anno in anno e ogni volta con largo anticipo, gli hacker hanno lanciato allarmi quasi sempre rimasti inascoltati. Lo hanno fatto denunciando quello che sarebbe successo in Italia e nel mondo: la voracità di Google sui dati delle persone, la pervasività dei social e le dipendenze che hanno provocato, il controllo sociale attraverso i dispositivi, le bolle digitali fatte di propaganda personalizzata, la trasformazione delle criptovalute da strumenti di libertà in mezzi speculativi, la fine della neutralità della rete, le insidie del telefonino nei rapporti di lavoro o come strumento di sorveglianza.
Tra l’internet potenziale e quello reale, ci siamo noi che usiamo quotidianamente tecnologie di cui non sappiamo nulla. Perlopiù ignari dei cambiamenti e degli stravolgimenti che inducono sulle nostre vite reali e virtuali. Ma c’è anche chi si chiede come liberare questo spazio dal controllo di chi vuole monopolizzarne lo sviluppo, sgretolando i tessuti sociali e relegandoci in spazi virtuali sempre più stretti. «Lo sussurriamo nel tuo orecchio e soltanto nel tuo, non devi dirlo a nessuno: l’hackit è solo per hackers, ovvero per chi vuole gestirsi la vita come preferisce e sa s/battersi per farlo. Anche se non ha mai visto un computer in vita sua».
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