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Alessandria - Un luogo morbido e caldo, ma anche un rifugio dalle intemperie e dai pericoli. È il nido, costruito da molti animali per salvaguardare le proprie uova e per accogliere i piccoli. Ci sono contesti però dove possono essere di grandissimo aiuto per numerose specie i nidi artificiali, soprattutto in ambienti dove scarseggiano i siti adatti alla nidificazione.
Nelle scorse settimane un ragazzo genovese – Alessandro Ghiggi, naturalista, ornitologo e documentarista freelance – ha installato dieci nest box, ossia delle cassette nido, in diversi luoghi strategici a cavallo tra Liguria e Piemonte per favorire la riproduzione di una delle specie ornitiche migratrici più belle e vulnerabili d’Europa: la ghiandaia marina. Ho fatto due chiacchiere con Alessandro per farmi raccontare di questo progetto.
Alessandro, parliamo della ghiandaia marina: dove nasce il tuo interesse verso questa specie?
Studiamo questa specie da diversi anni, in realtà. In una prima fase ci siamo resi conto che la ghiandaia marina aveva ricominciato a colonizzare soprattutto alcune zone dell’alessandrino orientale; qui infatti, circa quindici anni fa veniva segnalata, dopo settant’anni dalla sua scomparsa, la prima coppia nidificante per il Piemonte; ora si può dire che vi si stia proprio insediando perché le coppie stanno sensibilmente aumentando di numero.
Si tratta di aree particolarmente depresse dove, come sappiamo, viene praticata un’agricoltura intensiva. Nella pianura alessandrina poi è stata la massiccia installazione di pannelli fotovoltaici a terra la principale ragione che mi ha spinto a partire con questo progetto perché, proprio a causa delle modificazioni ambientali, la popolazione è ancora molto lontana dall’aver trovato un suo equilibrio.
Raccontaci di Campagne turchesi.
Per aiutare l’insediarsi di questa specie, io e un altro naturalista, la guida ambientale Antonio Scatassi, nei mesi scorsi abbiamo lanciato un crowdfunding per costruire dei nuovi nidi proprio per sopperire alla scarsità di siti naturali idonei alla nidificazione, venuti meno per la progressiva eliminazione dei vecchi alberi con cavità naturali e per le trasformazioni del territorio, con conseguente riduzione della biodiversità, non solo avifaunistica.
La campagna è andata bene e su dieci strutture installate quest’anno grazie al progetto, quattro sono già state occupate: questo è un ottimo dato, anche perché la presenza di questi uccelli è un buon indicatore della qualità e dell’integrità di un ecosistema. In più, questa iniziativa è anche un pretesto per informare enti e amministrazioni locali sulla presenza della ghiandaia marina per arrivare a una tutela completa di questa zona.
Tutela da cosa?
L’area è interessata da parecchi impianti fotovoltaici a terra, che causano un consumo di suolo immenso. Quello che ci sembra incredibile è che, a fronte di una natura già soffocata da un’antropizzazione compulsiva, si possa ancora pensare di stravolgere e “industrializzare” un paesaggio agreste così impoverito, ma ancora vitale e produttivo, sia in termini di biodiversità che di resa agricola, ricoprendolo di pannelli fotovoltaici. Il nostro progetto quindi, oltre a favorire la nidificazione, vuole soprattutto essere una risposta civile a tali criticità e minacce, per sensibilizzare sul tema le persone che abitano in queste zone.
Ed è ricomparsa solo lì?
Per ora, confrontandoci anche con altre realtà come LIPU e Legambiente, la zona indagata da noi – Momperone, Predosa, Vigoponzo (AL) – è quella più importante, perché caratterizzata da una maggiore presenza di questo uccello. Abbiamo installato due strutture anche nelle campagne dell’entroterra savonese, tra la valle Orba e la valle Bormida, a titolo di esperimento, dove ci era stata segnalata la presenza di ghiandaie, ma si tratta comunque di aree satellite. In ogni caso non escludiamo che il progetto possa prendere il largo anche in altre zone, dall’astigiano fino al torinese.
Per ora Campagne turchesi è un progetto unico in questo territorio. È durato circa tre mesi che è il periodo di permanenza della specie in queste campagne, tra maggio e metà agosto circa. Il prossimo inverno porteremo avanti attività di campo, con particolare attenzione agli habitat, e ricominceremo il prossimo anno con nuove installazioni di strutture nido.
Dicevamo che la raccolta fondi è andata bene: come state investendo le donazioni?
Le donazioni stanno mitigando i costi vivi per i materiali utili alla costruzione dei nidi e per coprire le spese di spostamento, non abbiamo nessuna intenzione di lucro, anche perché a livello di capitale investito le spese che abbiamo affrontato finora sono incalcolabili. Quello che vogliamo, però, è soprattutto farci sentire e tutelare questa specie. Se le persone riuscissero a carpire il messaggio che stiamo lanciando, potrebbero portare avanti il progetto con noi, anche perché il nostro desiderio è quello di condividere con più persone possibili questa esperienza.
State diffondendo le coordinate dei nidi o per ora è un’informazione riservata?
Parzialmente, nel senso che i sostenitori del crowdfunding sono stati coinvolti nel progetto attraverso momenti di osservazione guidata dell’avifauna presente nelle aree interessate e mediante l’apprendimento delle tecniche di costruzione e installazione delle cassette nido.
In generale vogliamo evitare di portare nelle aree di riproduzione fotografi incauti che bramano scatti di uccelli variopinti come la ghiandaia marina e che rischiano così di diventare elementi di disturbo. E poi c’è il rischio bracconieri: essendo così colorata, nella storia questa specie è sempre stata oggetto di curiosità, in tanti casi le sue uova sono state rubate dai nidi perché si volevano allevare in casa questi uccelli a scopo estetico-ornamentali. È anche vero però che i tempi ora sono cambiati.
E ora le campagne sono sempre più disabitate…
Sì, tante zone dell’entroterra godono di una tale solitudine – la densità abitativa è davvero bassissima – che garantisce già di per sé una certa protezione alla specie, non solo della ghiandaia marina, molto legata al prato stabile: è tornato il lupo e molti falchi ora migrano in quest’area, che è anche molto bella a livello paesaggistico. Il punto è che in tanti hanno abbandonato il lavoro nei campi e al momento preferiscono vendere o affittare i propri terreni, un tempo coltivati, proprio per far installare impianti fotovoltaici a terra.
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