Fassino e il problema di una politica sempre più scollata dalla realtà
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Il 3 agosto scorso l’onorevole Piero Fassino si è presentato in aula con un nobile intento: smascherare una volta per tutte la populista ipocrisia di chi afferma che i parlamentari guadagnano troppo. Armato del proprio cedolino, nel quale viene riportata l’indennità lorda che riceve ciascun deputato, ha iniziato il suo intervento sottolineando il fatto che non si ha mai tempo di discutere di quanto guadagnino effettivamente i nostri rappresentanti.
«Un’indennità lorda di 10435 euro dalla quale, tolte le tasse, si arriva ad una netta di 4718 euro», ha spiegato il deputato del partito democratico. Cifra che, a detta dell’onorevole, non sarebbe uno stipendio d’oro ma una retribuzione “giusta”. A quelle parole, si sono subito levati gli applausi dall’aula. Fassino ha poi esortato i colleghi di smetterla di fare polemica sulle retribuzioni parlamentari, facendo notare che la loro è una “buona indennità” ma non è uno stipendio d’oro.
Visto che l’onorevole Fassino ha fatto riferimento ai numeri per supportare le sue dichiarazioni, penso che sia giusto che anche in questa sede facciamo lo stesso. Secondo i dati ISTAT, lo stipendio medio di un cittadino italiano si aggira intorno ai 27.000 euro annui lordi, quindi circa 2200 euro al mese che, al netto delle tasse, sono intorno ai 1100/1300 euro mensili. Insomma circa un quarto di quello che percepisce un parlamentare della Repubblica
Proviamo a prendere in considerazione anche altri dati, per esempio quelli sulla povertà. Sempre secondo i calcoli dell’ISTAT, circa un italiano su venti si trova in condizioni di indigenza totale – povertà assoluta, secondo i nuovi indicatori definiti dall’Unione Europea –, mentre 14 milioni di italiani si troverebbero a rischio povertà. Dubito che tra questi troveremmo un senatore o un deputato.
Ma adesso torniamo sull’indennità lorda di un parlamentare, che come si può immaginare non viene comunque devoluta tutta in “tasse” nel senso stretto. Infatti dei 5000 euro circa che non arrivano direttamente in busta paga, 700 euro vengono erogati nell’assegno di fine mandato e altri 500 sono destinati all’assistenza sanitaria. Nel computo dell’onorevole Fassino sembrano poi mancare i 3500 euro mensili di diaria per le spese di soggiorno a Roma, più altri 1650 euro mensili per spese telefoniche e di viaggio, senza contare la tessera che facilita gli spostamenti in tutte le parti d’Italia.
Lasciando da parte le polemiche, vale la pena affrontare seriamente la questione. In termini assoluti posso essere d’accordo nel dire che non si tratta di una quantità spropositata di soldi. D’altronde queste persone – in teoria – dovrebbero rappresentare il meglio della nostra nazione e dovrebbero essere in grado di prendere decisioni senza il rischio di ritorsioni o tentativi di corruzione. Ma aimè, mai teoria e pratica si allontanano di più che nel campo della politica.
Come ho argomentato prima, è in termini relativi e non generali che bisognerebbe ragionare: 4718 euro sono il decuplo del reddito di cittadinanza – che recentemente è stato abolito dal Governo. Tale cifra è inoltre molto superiore a quella che serve per vivere dignitosamente a una famiglia media. Al di là delle reazioni personali, sentire il deputato di un partito che si presenta come “popolare” schierarsi contro chi critica gli stipendi dei parlamentari è l’ennesima testimonianza come l’attuale classe dirigente sia svuotata di legittimità e consapevolezza.
Il problema non è Fassino, deputato in 7 legislature, ma piuttosto la scollatura tra Fassino e il mondo reale. Giustamente la leader del Partito Democratico Elly Schlein ha preso le distanze dalle parole dell’onorevole, ma ormai il danno è fatto. Fassino è la voce della dissonanza cognitiva, ormai tipica dei partiti social-democratici, che oscilla tra un’ideale di uguaglianza e una pratica antipopolare e classista.
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