Incendi e blackout energetici, la Sicilia fa i conti con il cambiamento climatico
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“Non ho mai visto nulla del genere in vita mia”. È questa l’espressione più ricorrente che ho sentito dire in tutti questi giorni. La Sicilia è letteralmente in ginocchio tra incendi, disservizi e blackout energetici. Da ogni angolo dell’isola arrivano immagini sconfortanti, masse urbane in tensione per mancanza di elettricità e acqua, ettari di bosco, riserve naturali, colline e montagne infuocate, e case evacuate. Anche una parte del mio paese, Aci Catena, è stata divampata dalle fiamme e da giorni ha interi quartieri senza elettricità e acqua.
Ieri, nel tardo pomeriggio, sono uscita per vedere con i miei occhi quanto stava accadendo. Anche io, ahimé, mi sono unita al coro dei “non ho mai visto nulla del genere in vita mia”. Angoscia, sconforto, rabbia e lacrime hanno preso il sopravvento. Con più soccorsi, ma soprattutto con più cura del territorio e con una politica più consapevole questa condizione di caldo e vento, più unica che rara, avrebbe apportato molti meno danni sull’isola. Ma ci si preoccupa di altro, come nel caso di Matteo Salvini che, nonostante l’emergenza in corso, proprio ieri ha preferito parlare di ponte sullo Stretto e attaccare Don Ciotti contrario alla realizzazione di questa “grande” opera.
La fotografia perfetta di una politica totalmente scollata dalla realtà, per nulla consapevole dell’emergenza climatica in atto e delle conseguenze ormai sempre più eclatanti. Questi stessi governanti che non hanno mai fatto prevenzione come possono gestire così tante emergenze tutte in una volta? Di fatto, non riescono proprio a gestirle.
Di incendi, purtroppo, di natura dolosa e colposa aggravati anche dal contesto della crisi climatica ne abbiamo parlato molte volte, di blackout energetici un po’ meno. Sono giorni e giorni che interi quartieri di Catania e di paesi limitrofi, sono completamente senza corrente elettrica e senza acqua anche per 29 ore di seguito, mentre fuori le temperature raggiungono 46-47°. Il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, ha riunito un tavolo tecnico solo due giorni fa per superare questo momento difficile. Non si poteva farlo prima?
I blackout energetici – per cui è possibile anche richiedere un indennizzo – sono un effetto del cambiamento climatico in atto, quindi prevedibili. «Con l’aumento delle temperature estive, aumenta anche la domanda di elettricità soprattutto a causa dei condizionatori. Le reti elettriche devono così fornire più elettricità con un passaggio maggiore di corrente elettrica sui cavi esistenti. La rete non è stata costruita per sopravvivere a queste temperature e sembra che in diversi casi il problema nasca perché i cavi interrati si surriscaldano».
«L’elevata temperatura esterna, l’elevata domanda e la molta corrente che passa sui cavi contribuisce a un maggiore surriscaldamento senza possibilità di disperdere calore nel terreno che è caldo e secco. Anche nel campo delle reti elettriche avremmo bisogno di fare un’opera di adattamento. Ammesso che riusciremo a minimizzare gli effetti del cambiamento climatico, che non significa annullarli, dovremo convivere con temperature mediamente più alte e quindi le nostre infrastrutture e città dovrebbero essere trasformate in modo tale da essere adattabili a queste temperature. Solo con gli investimenti pubblici è possibile avviare una pianificazione di questo tipo» mi spiega Gianluca Ruggeri, ingegnere e ricercatore all’Università dell’Insubria, attivista energetico e socio fondatore di Retenergie e di énostra.
L’entità di queste ondate di calore, secondo l’analisi del World Weather Attribution, non sarebbe stata tale senza il cambiamento climatico. Sebbene, infatti, El Niño, un fenomeno climatico naturale, abbia probabilmente contribuito a intensificarle, l’aumento delle temperature globali dovuto alla combustione di combustibili fossili è la ragione principale per cui si è arrivati a livelli così insostenibili. È ormai noto che il Mediterraneo sia sempre più esposto a eventi climatici estremi e imprevedibili e si prevede che in un futuro non molto lontano ondate di calore come questa in corso saranno sempre più frequenti.
Caldo e fiamme al sud, nubifragi, grandine, vento e pioggia al nord. Un’Italia completamente spaccata in due. «Molti giornali stanno gridando da giorni all’allarme meteo per il caldo e il maltempo usando toni spesso apocalittici. La situazione, un po’ apocalittica, lo è davvero, ma soffiare sul fuoco dell’allarmismo non sembra una buona soluzione» ha sottolineato Andrea degl’Innocenti nella puntata di Io non mi rassegno di ieri.
Si passa da un estremo all’altro. Dal catastrofismo ad una crisi climatica quasi inesistente, confermando la dipendenza dei principali giornali italiani dai finanziamenti delle aziende inquinanti. Oltre il 20% delle notizie diffuse dai più importanti quotidiani e telegiornali nazionali fa da megafono ad argomentazioni contro la transizione energetica e le azioni per mitigare il riscaldamento globale. È quanto emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione.
I risultati mostrano che nel primo quadrimestre del 2023 i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media 2 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, ma quelli realmente dedicati al problema sono stati meno della metà. Un risultato inferiore alla media del 2022 che dimostra la scarsa attenzione verso il riscaldamento del pianeta quando non si verificano eventi estremi come quelli che stiamo vivendo in questi ultimi giorni. A riprova di questa scarsa attenzione, nella prima parte dell’anno la crisi climatica non è finita quasi mai in prima pagina, è successo meno di una volta al mese.
Resta invece elevato lo spazio offerto alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta. «Il risultato più sconcertante del rapporto è l’elevato numero di notizie – più di una su cinque – che hanno diffuso argomenti a favore dello status quo e contro le azioni per il clima, come sostenere che la transizione ha costi eccessivi o invocare una gradualità negli interventi che favorisce l’inazione, criticare gli attivisti climatici o le auto elettriche», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.
«Sono narrative tossiche spesso infarcite di fake news che circolano soprattutto per bocca di politici e aziende interessate a ritardare il più possibile l’abbandono dei combustibili fossili, essenziale per non soccombere a un’altalena di alluvioni, siccità e ondate di calore sempre più estreme. Sui media il clima rischia di trasformarsi in un terreno di scontro politico e a farne le spese saranno purtroppo le persone più esposte al caos climatico già sotto gli occhi di tutti».
Cosa fare dunque di fronte a scenari come questi? È nella visione di Italia Che Cambia proporre alternative senza fermarsi “solo” al problema. Ognuno di noi può e deve fare la propria parte, ma pensare che possa bastare l’azione individuale è fuorviante. Per non essere sopraffatti dalla paura e dall’angoscia serve impegno e partecipazione, e gli strumenti per farlo non mancano anche se una certa stampa e una certa politica non sono dalla nostra parte.
«Se riuscissimo ad avvicinare produzione e consumo di elettricità in modo che l’energia elettrica necessaria per il condizionatore venga prodotta nello stesso edificio o nelle vicinanze, senza venire da troppo lontano, potremmo evitare il sovraccarico della rete e gli eventi di questi giorni. Uno dei pochi vantaggi dell’utilizzo dei condizionatori sulla rete elettrica coincide con la produzione fotovoltaica. È ragionevole pensare che il picco di produzione fotovoltaica in termini stagionali e durante la giornata corrisponde al picco di domanda, ecco perché sono state promosse le comunità energetiche, perché il vantaggio tecnico che portano è questo. Questo non vuol dire che non sia necessario un adattamento tecnico della rete, ma sarebbe già un primo passo», commenta Gianluca Ruggeri.
Serve rendersi conto, non nascondere la testa sotto la sabbia dimenticandoci di quanto stiamo vivendo in questi giorni non appena l’emergenza sarà conclusa. Serve cambiare approccio e mentalità per andare verso una nuova normalità che richiede impegno e partecipazione. Non è semplice, certo, ma la vera sfida è accogliere i cambiamenti, prendersene carico e contribuire a radicarli, come è sempre stato, nonostante le iniziali difficoltà.
«Non possiamo far finta che le cose possano continuare come è stato fino ad oggi. Gli eventi di questi ultimi anni ce lo stanno dimostrando. Siamo costretti a cambiare direzione, ma bisogna accelerare, farlo adesso. Non possiamo continuare a subire, bisogna essere protagonisti del cambiamento e mettere da parte l’inerzia del singolo, della collettività e dei decisori della classe politica mondiale», conclude Gianluca Ruggeri.
Quando ci stancheremo degli inetti governanti che eleggiamo? Quanto dobbiamo ancora subire per renderci conto del dirupo sotto di noi in cui stiamo per sprofondare? Cosa ci serve per svegliarci da questo sonno? Altre emergenze? Mi auguro di no, ma…
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