Le nuove vite di Gabriella Guido, fra Africa, progetti sociali e vita in natura
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Rieti, Lazio - Non c’è luogo al mondo in cui non possiamo non essere noi stesse. Che sia città, campagna, mare o montagna, non conta: l’importante è essere in ascolto dei propri desideri e aperti al bisogno e alla parola degli altri. Gabriella Guido ha fatto di questo la bussola della sua vita: una storia iniziata nella città di Roma, prima come imprenditrice nel settore delle produzioni televisive, del cinema e del documentario sociale e poi – anzi di conseguenza – in prima linea della cooperazione internazionale.
Questo suo impegno nella difesa dei diritti umani comincia con Amref e prosegue con la fondazione di un’associazione no-profit nel cuore di Roma: K_Alma. Ma la sua avventura non si ferma nella capitale e Gabriella porta tutto ciò che è, che fa e che difende tra le montagne della Riserva Naturale Monti Navegna e Cervia. È lì che s’innamora di un luogo con due casali che ristruttura e apre ad amici e viandanti: i Casali di G.
A due passi dalla città, ma immersa nella natura più profonda, questa Moderna Persefone, funambola della vita, osserva le stagioni che trascorrono, i frutti che maturano, le montagne che s’imbiancano e poi si tingono di verde e, con una tazza di tè in mano o a una cena condivisa con tanti altri, ci insegna quanto sia importante credere nelle proprie passioni e talenti e quanto imparare ad ascoltarsi e ascoltare gli altri sia il più meraviglioso obiettivo da raggiungere.
Chi sei e di cosa ti occupi?
Dopo un diploma in ragioneria perché mio padre voleva seguissi le sue orme, ho dato forfait e ho cominciato a lavorare come segretaria in un ufficio di produzioni televisive. Nel giro di qualche anno ho aperto con un amico una società indipendente. Grazie a questo ho girato il mondo per festival appassionandomi al cinema d’autore e al documentario sociale e di denuncia.
Da lì il passo è stato breve: ho cominciato a occuparmi di diritti umani, campagne di sensibilizzazione e sono finita a lavorare per Amref Health Africa. Dopo qualche anno ho chiesto un part-time e nel 2016 ho fondato K_Alma, un’associazione no profit che si occupa di progetti sociali. Quello forse più conosciuto è la Falegnameria e Officina Sociale che si trova a Testaccio, all’interno dell’Ex Mattatoio.
Parlaci meglio di Amref e dl tuo percorso professionale con questa ONG.
Amref Italia è il national office di Amref Africa. La cosa più importante e innovativa di questa ONG internazionale è che noi siamo “africani dentro”: noi italiani non ci siamo mai sostituiti ai colleghi africani. In Africa si decidono i progetti, le soluzioni ai problemi e le priorità. Noi nel nord del mondo facciamo prevalentemente comunicazione e raccolta fondi. Non abbiamo cooperanti italiani, ma crediamo fortemente nell’empowerment delle risorse umane locali.
Sono entrata nel 2006, perché cercavano una persona esperta di produzione e distribuzione e in audiovisivi. Ho ricoperto diversi ruoli imparando molto e avendo l’opportunità di visitare progetti in Africa. Da diversi anni sono la responsabile in comunicazione dei testimonial e delle relazioni strategiche. Una bella parte della mia vita devo dire. E pensare che non volevo andare a fare il colloquio perché ero completamente a digiuno del settore della cooperazione internazionale.
Come si lega il tuo lavoro in Amref con la Falegnameria K_Alma?
K_Alma è uno spicchio della mela di Amref, che è un insieme di sapori, colori, forme e progetti concreti. Progetti che attecchiscono davvero e forniscono quegli elementi di cambiamento dal quale poi non si torna più indietro. Pensavamo di poter davvero cambiare il mondo, ma il cambiamento è un processo e quindi ha bisogno di tempi lunghi. E così nasce la Falegnameria Sociale: con K_Alma, da un desiderio, un’idea, una sfida. È stato un seme piantato che ha trovato immediatamente un terreno fertile e convinto tantissime persone. Questo non vuol dire che non ci siano problemi, ma i problemi li affrontiamo e ci adattiamo, tutti insieme, al cambiamento.
Qual è il tuo ruolo in K_Alma?
Sono la Presidente di K_Alma, anche se noi siamo come una comunità di formiche o di api: ognuno fa la sua parte. Ci dividiamo i compiti e spesso il mio è quello di sostegno, ovvero fare in modo che le cose vadano avanti. Non passa un giorno che non mi occupi di K_Alma e pensi a nuove idee e progetti. Penso che sia un progetto importante proprio perché è un in continuo movimento. Occupandoci di persone ci occupiamo anche delle problematiche, di quanto avviene nelle vite personali e nel mondo vicino a noi.
È difficile oggi in Italia lavorare nel mondo della cooperazione internazionale?
Più che difficile, questo settore è cresciuto in maniera esponenziale. Nel bene e nel male. Richiede grande dedizione e una formazione costante. C’è anche molta competizione e alcune grosse organizzazioni spesso somigliano a grandi aziende in cui è difficile entrare, anche se essendo in continua crescita, avrà sempre bisogno di risorse umane.
Il lato positivo è che ti senti di portare avanti un’utopia. Il lato negativo è che a volte si ha la sensazione che gli sforzi non siano sufficienti a cambiare l’ordine delle cose. Ma il giorno dopo ti svegli e hai le stesse motivazioni del precedente: non smetti di fare la tua parte. Mai. C’è ancora tanto da fare, ma per fortuna si è anche sviluppata una cultura che oggi fa davvero la differenza.
A un certo punto del tuo percorso hai deciso che la città non faceva più per te…
Più che una scelta è stato un imperativo della mia testa, anima e corpo. Ho sempre amato la natura, fonte di grande riequilibrio. Durante il Covid ho sentito quanto non fosse più “naturale” la mia vita a Roma, una città che ho sempre amato molto, ma che è anche cambiata troppo. Così, durante il lockdown, ho cominciato a guardare fuori e dentro in maniera diversa. E il passo è stato davvero breve. Tempo a disposizione per cercare ne avevo e appena è stato possibile mi sono messa in macchina per andare a vedere case e casali. Poi un colpo di fulmine: due casali quasi a 900 metri di altitudine a due passi da Roma: i Casali di G.
Descrivici questo luogo fisico e simbolico?
Sono un posto immerso nel silenzio e nella bellezza, di cui mi sono innamorata e dove oramai vivo gran parte della mia vita. Due casali in pietra circondati dalla natura. Un posto dove ricominciare a respirare, pensare, creare. Un luogo che mi ha accolto in maniera totalizzante e che ho aperto ad amici vecchi e nuovi.
La fortuna è stata trovarne due, uno dei quali l’ho ristrutturato per l’ospitalità: camminatori, amici, artisti, donne in viaggio, famiglie giovani con bimbi e animali. Insomma un luogo che è un po’ una seconda casa per chiunque passi da qui. Io lascio il frigo pieno, il camino acceso e chi vuole può starsene in totale solitudine, chi ha piacere può condividere con me una cena, una passeggiata, la visita a un borgo o qualche nuova conoscenza.
Com’è la vita ai Casali di G?
È molto semplice, ma di quella semplicità che corrisponde alle cose più vere e profonde. È tornare all’essenziale e immergersi in cose basilari, perché necessarie. Vivere fuori da un contesto urbano e quasi completamente isolata nella natura riporta a dover scandire la giornata e tutto il tempo, la mente, le attività quotidiane ad organizzarsi per ciò che è più necessario: il cibo, la legna per il camino, il necessario in casa.
Poi c’è la libertà di dedicarti alla lettura e lo studio. A una passeggiata, una tisana, mentre guardando fuori dalla finestra ti accorgi del tempo che passa. Il cervello si libera ed ha ampi spazi per rincorrere idee, emozioni, pensieri e prospettive. Qui si vive un tempo di privilegio e profondità che lascia qualcosa dentro, sempre.
Cosa consiglieresti alle Moderne Persefone?
Consiglierei di coltivare il proprio desiderio e il proprio sogno. Di seguire la sua natura. Siamo creature predisposte all’ascolto e alla cura, in primis quella delle persone intorno a noi. Ascoltarsi nel profondo. Siamo creature uniche come unica deve essere la nostra vita. E allora, se non ora, quando?
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