Alla scoperta della Libia, dove fra mercenari e interessi geopolitici i diritti umani sono dimenticati
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“Spettacolari disparità di ricchezze e di sviluppo fanno del Mediterraneo una delle grandi frontiere del mondo”, scrive Jacques Levy. Il mare nostrum è in effetti un ineffabile punto di contatto fra realtà radicalmente differenti, eppure dai destini inevitabilmente comuni. Oggi più che mai le relazioni e gli interessi delle grandi potenze e dei piccoli attori regionali si intrecciano sulle sponde mediterranee, talvolta colorati delle drammatiche tinte della disperazione – la rotta migratoria mediterranea è tristemente indicata dai dati diffusi dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni come la più pericolosa del mondo –, talvolta inestricabile garbuglio di accordi e rivalità politiche e territoriali.
Importantissima gateway migratoria e controverso scenario politico e militare, la Libia riveste un ruolo di grande importanza nello scacchiere mediterraneo. La storia recente del colosso maghrebino è archetipica delle vicende africane: un territorio storicamente diviso e frammentato viene unito e governato per anni da un uomo forte, alla scomparsa del quale il paese ripiomba nel caos.
Fu l’italiano Ardito Desio a scovare l’inesauribile ricchezza naturale del territorio libico e, anni più tardi, lo sfruttamento di quella ricchezza costituì la pietra angolare del regime di Muammar Gheddafi, giovane generale che per più di quarant’anni governerà lo Stato maghrebino. La sua controversa caduta, fortemente voluta e predisposta dall’asse franco-americano, rompe quell’equilibrio politico che la sua autorità – il suo autoritarismo, in effetti – garantiva.
La rivalità fra due delle tre grandi regioni culturali del paese – il Fezzan ha un ruolo più marginale – si riaccende improvvisamente e il vuoto di potere permette a due governi militari di contendersi la prevalenza reciproca: Khalifa Haftar, maresciallo antislamico e nazionalista, controlla la Cirenaica, mentre Fayez Sarraj, controlla la Tripolitania. Talvolta controllori, talvolta controllati in un sofisticato gioco delle parti, i due governi rivali producono un allineamento internazionale di appoggio e sostegno, come sempre accade.
La fazione cirenaica incassa il consenso della Russia: interessata a una accettabile stabilità politica e incoraggiata dal successo dell’appoggio ad Assad in Siria, la Federazione intraprende un strategia di energico interventismo, in netta controtendenza rispetto all’attendismo adottato in occasione del rovesciamento di Gheddafi, rivelatosi sciagurato per gli interessi russi. La fronda tripolitana incontra invece il favore dell’asse europeo-americano e, più di ogni altro stato, della Turchia, sempre più interessata a ritagliarsi uno ruolo predominante nell’area del Mediterraneo orientale, per esempio attraverso gli accordi bilaterali del 2019 con il governo di libico per la definizione di una nuova Zona economica esclusiva (Zee).
Il confronto politico e militare fra il Governo di unità nazionale (GNA) di Serraj e l’Esercito nazionale libico (ELN) di Haftar ha dato luogo a una lacerante guerra civile, i cui esiti sono rimasti perennemente incerti e i cui presupposti si dividono fra le forti rivalità territoriali e l’intrigo di interessi dei sostenitori internazionali – ingenti contributi economici arrivano anche da parte dei paesi del Golfo. La presenza occulta di Russia e Turchia e la tutela sul campo dei rispettivi interessi è affidata a contractor e miliziani, inquadrati esternamente ai rispettivi governi, i quali diventano dunque difficilmente imputabili di eventuali destabilizzazioni.
Il gruppo Wagner rappresenta il contingente più consistente, ma dopo l’impegno siriano, molti miliziani africani – provenienti dal Ciad – e mediorientali – siriani, appunto – sono stati decentrati in territorio libico. Nell’ottica della recente radicalizzazione di diversi stati africani – Mali e Niger su tutti – con preoccupante penetrazione di violente fazioni islamiste, il controllo del Sahel – immensa fascia territoriale subsahariana di congiunzione delle due principali ecozone africane – diventa fondamentale per chiunque abbia interessi da tutelare in Libia.
I flussi – anche a causa di nuove, gravi crisi politiche e umanitarie nella parte centrale e occidentale del continente – sono infatti in aumento e la Libia è inevitabilmente un paese di transito di importanza assoluta. Gli accordi che gli Stati europei spingono per sottoscrivere con il governo libico sono infatti finalizzati a contenere il flusso migratorio verso il lato settentrionale del Mediterraneo, ma colpevolmente poco interessati ai presupposti e alle condizioni di questi movimenti – i più basilari diritti umani vengono regolarmente violati nei campi di sosta dei migranti, gli spostamenti verso i paesi di transito e quelli di primo approdo avvengono in condizioni disumane, spesso ben oltre i limiti di sopravvivenza.
Il dramma umano si ripete in continuazione e anche per mitigarlo fino a ridurlo sarebbe decisivo ambire e ottenere una stabilità politica definitiva nel Paese, più di quell’equilibrio interessato oggi in atto sul solco del duopolio russo-turco. Il 15 marzo 2021 viene fatto un primo, grande passo avanti nel processo di peacebuilding e stabilizzazione politica del Paese: grazie alla mediazione di Stephanie Williams, segretario della Missione di supporto ONU in Libia (UNSMIL) viene nominato, nell’ambito del Forum per il dialogo politico di Tunisi, il primo premier libico. Abdul Dbeibeh diventa primo ministro di un governo unitario, il primo dal rovesciamento di Gheddafi e dall’inizio della guerra civile.
Le contestazioni si riaccendono tuttavia quando la Camera dei rappresentanti libica, con sede a Tobruk, nomina primo ministro Fathi Bashagha, sodale di Haftar. Il dualismo fra le due fazioni, entrambe con pretesa di legittimità, ricaccia il Paese in uno stallo politico. Ad aggravare la crisi si aggiunge la chiusura dei pozzi petroliferi a causa delle controversie legate alla distribuzione dei proventi delle cessioni energetiche. Una situazione in continuo sviluppo dunque, ma che a dispetto del suo dinamismo pare lontana da una soluzione stabile e condivisa.
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