Eva Rigonat dei Medici per l’Ambiente: per un mondo meno malato trattiamo meglio gli animali
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È ormai dimostrato che molti processi patologici si originano da cause ambientali, quali l’inquinamento dell’aria, quello dell’acqua e del suolo per poi arrivare alle nostre tavole e al cibo di cui ci nutriamo. La deliberata scelta politica di sottovalutare il nesso tra questioni ambientali e salute è quanto denunciano associazioni, ricercatori, medici e liberi cittadini. Da ormai più di dieci anni l’ISDE – International Society of Doctors for Environment si batte per accrescere la coscienza civile su questi temi, influenzare i processi politici e decisionali alla luce delle scoperte della ricerca scientifica e rivendicare la funzione etica – oltre che civile – di chi per mestiere si occupa della salute.
Ne abbiamo parlato con Eva Rigonat, medico veterinario e membro del comitato scientifico di ISDE. Il fatto che «c’è sempre nel servizio pubblico l’arrogante convinzione che l’utente starà zitto» è l’amara conclusione a cui è giunta dopo una vita dedicata alla sua professione nei servizi pubblici, raccogliendo l’esperienza di colleghi e colleghe in altre regioni italiane.
Quando uno scandalo giudiziario travolge l’allora dirigente dei servizi veterinari di Palermo, nel 2016 Rigonat rassegna le proprie dimissioni dal ruolo di consigliere della federazione: «La decisione di andarmene a metà mandato non ha precedenti nella storia della Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani – commenta Rigonat –, ma ritenevo fosse l’unica strada percorribile di fronte alla mancata presa di posizione della federazione rispetto alla questione giudiziaria».
UNA PROFESSIONE MISCONOSCIUTA
Caparbia e tenace, Eva Rigonat ha sempre sognato di diventare un medico veterinario, a qualunque costo. «Avevo iniziato a studiare medicina perché era quello che desideravano i miei genitori». Figlia di una famiglia operaia e di un padre partigiano il cui sogno di riscatto era che i figli diventassero medici e ingegneri, a dispetto della volontà paterna decide di lasciare il corso di medicina e di laurearsi in veterinaria lavorando allo stesso tempo per potersi mantenere.
“La nostra professione è anche una delle più sconosciute e segnata dagli stereotipi di un immaginario collettivo che vede accanto al veterinario un cane o un gatto, inconsapevole del suo ruolo primario nella salute umana, quando garantisce la salubrità degli alimenti e oggi anche la qualità ambientale”, scrive Rigonat a proposito del proprio lavoro.
Queste parole sono tratte dall’introduzione del suo libro Veterinaria e mafie, una raccolta di racconti autobiografici sottratti all’ombra a cui sarebbero stati condannati dall’omertà e dal timore. Storie di medici veterinari che hanno subito l’isolamento, l’intimidazione di stampo mafioso ma hanno deciso di restare fedeli alla propria professione.
«Il libro nasce alla fine di un percorso alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (LUAA)», specifica Rigonat. «Volevo che queste storie venissero conosciute e la forma dell’autobiografia era quella di cui disponevo». Il risultato è una miscellanea di generi – dalla favola all’autobiografia – e il tentativo di riscattare dall’oblio civile chi è rimasto fedele ai valori della propria professione e alla giustizia.
«Credo che la mia vocazione sia innanzitutto far conoscere i problemi. Ho scelto per questo di fare il veterinario pubblico e ritengo purtroppo che questa professione sia molto screditata rispetto all’importanza che ricopre per la salute umana», precisa. I servizi veterinari pubblici si occupano di fatto di un controllo capillare di tutta la filiera alimentare dei prodotti di origine animale, dall’analisi degli alimenti somministrati agli animali alle condizioni del bestiame nelle aziende al benessere nel trasporto, dal macello fino alla tavola. «Il veterinario potrebbe avere un ruolo immenso nella tutela ambientale, ma in realtà non se ne riconoscono le potenzialità».
SALUTE E ALLEVAMENTI INTENSIVI
Da quando è in pensione, Eva Rigonat è diventata membro del comitato scientifico di ISDE nazionale, occupandosi principalmente delle tematiche legate all’inquinamento dovuto agli allevamenti intensivi e contribuendo al dibattito pubblico con pubblicazioni scientifiche ed iniziative volte a sensibilizzare la comunità.
In un articolo in particolare, Rigonat fa un confronto analitico tra allevamento intensivo e allevamento biologico, provando a interrogare il mondo produttivo, ma soprattutto quello dei consumatori e le istituzioni. L’obiettivo è soprattutto mettere in guardia dalle insidie che si celano dietro il meccanismo di certificazione del biologico in mano a enti privati che sfuggono a qualsiasi controllo. Il rischio è di trasformare il regime biologico in un’efficace campagna di greenwashing e non in un modello a cui tendere per ridurre drasticamente lo sfruttamento e l’inquinamento di acqua, aria e suolo.
CHE ARIA TIRA?
L’impegno di ISDE è costante e su più fronti. Non è infatti mancata la mobilitazione della comunità scientifica che vi ruota attorno neppure di fronte alle controverse posizioni di alcune regioni del nord Italia in materia di qualità dell’aria e riduzione dell’inquinamento atmosferico entro il 2030. E se alcuni paesi europei – tra cui appunto l’Italia – tendono pericolosamente ad abbassare l’asticella, il Parlamento europeo pretende che gli obiettivi prefissati da qui a meno di dieci anni continuino a essere ambiziosi e maggiormente cautelativi nei confronti della salute pubblica.
Ma veniamo ai fatti. Lo scorso 27 giugno la commissione del Parlamento europeo per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) ha votato la bozza per la revisione delle direttive europee sulla qualità dell’aria. Adottato con 46 voti favorevoli, 41 contrari e 1 astenuto, il documento fissa valori limite e obiettivi più severi per il 2030 per diversi inquinanti tra cui il particolato (PM2,5, PM10), NO2 (biossido di azoto), SO2 (anidride solforosa) e O3 (ozono).
L’obiettivo dei paesi membri è di garantire una qualità dell’aria che tuteli la salute umana, gli ecosistemi naturali e la biodiversità. Nelle intenzioni della commissione vi è quella di rivedere questa direttiva nell’ottica di garantire il pieno allineamento con le linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Nel documento vi sono inoltre riferimenti al diritto individuale a un’aria pulita così come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Due mesi fa, in una lettera aperta indirizzata in primis alla presidenza del consiglio dei ministri e ai ministri dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e dell’Università e della ricerca, cinquanta scienziati e medici e italiani hanno denunciato la pericolosa posizione assunta dalle regioni del bacino padano, in particolare Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia -Romagna, rispetto ai lavori di revisione delle direttive europee sulla qualità dell’aria, strumento essenziale che regola la tutela dei cittadini europei rispetto agli inquinanti dell’aria e le politiche in materia adottate degli Stati membri.
“I governatori delle regioni padane chiedono dei valori limite degli inquinanti meno stringenti rispetto a quanto proposto dalla UE, una deroga temporale e una condivisione delle responsabilità che non vogliono sostenere. I governatori ritengono in pratica che i provvedimenti di tutela della salute possano costituire una minaccia per l’economia e l’industria”, si legge nella lettera. Un dannoso prendere tempo da parte delle istituzioni politiche italiane privo di fondamenta scientifiche, dal momento che lo studio di impatto su cui si basa la proposta della Commissione Europea dimostra che “i benefici netti complessivi dell’iniziativa sono notevolmente superiori ai costi”.
SALUTE E CRISI CLIMATICA
In un appello urgente al ministro Picchetto Fratin, ISDE Italia ha inoltre rivendicato la centralità che la revisione di questa normativa europea dovrebbe avere nell’agenda politica italiana, considerato che in Europa l’inquinamento atmosferico continua a essere al primo posto tra le cause ambientali di morte prematura con circa 300mila decessi all’anno. Come si legge nella lettera, la revisione di questa normativa europea rappresenta l’occasione per alleggerire il carico sanitario del nostro paese, prevendendo malattie croniche quali ictus, cancro, asma e altre. E al contempo permettono al nostro paese di lavorare concretamente sugli obiettivi di neutralità rispetto alle emissioni di gas climalteranti.
«Morire e ammalarsi perché la legge lo consente. Un inefficace adeguamento della normativa sulla qualità dell’aria alle Linee Guida 2021 dell’OMS significherebbe, ancora una volta, ignorare evidenze scientifiche che consentirebbero di risparmiare morti premature ma anche malattie croniche e disabilità che, secondo i dati epidemiologici disponibili, sono in incremento costante e a inizio sempre più precoce, persino in età pediatrica», denuncia Agostino di Ciaula, Presidente del Comitato scientifico ISDE Italia. «Non considerare o annacquare le linee guida OMS 2021 pone a rischio l’intera popolazione italiana, tra l’altro progressivamente più vulnerabile per variazioni demografiche. È inaccettabile dal punto di vista non solo sanitario ma anche etico, economico e sociale».
La strada dei negoziati è ancora lunga. Questa settimana il Consiglio del Parlamento Europeo sarà chiamato a esprimersi e da quel momento in poi si avvieranno le trattative per concordare una versione definitiva della bozza per la revisione delle direttive europee sulla qualità dell’aria, con l’intento di arrestare quella che Javi López ha definito «una pandemia al rallentatore».
CAMBIARE IL MONDO
Che si tratti di salute, inquinamento, salvaguardia dell’ambiente per Eva Rigonat non c’è alcun dubbio: «Non si può partire dai vertici per risolvere i problemi. Bisogna partire dalla consapevolezza delle persone. Credo fermamente nel cambiamento dal basso: non serve a nulla tirare la giacchetta al politico di turno. È il convincimento sociale che cambia il mondo». Quando prima di salutarci le chiedo in che momento si è resa conto di voler cambiare il mondo, mi risponde ironicamente che si tratta di un vizio di famiglia. Il padre, dirigente partigiano all’epoca di Tito, fu costretto ad andare in Francia: «Da comunista non trovava lavoro in Italia. Devo molto all’educazione familiare, ma anche ai maestri che ho incontrato lungo la strada».
«Quello che mi piace di Italia che cambia è l’idea che la consapevolezza che parte dal basso possa davvero cambiare le cose. Non credo nella sola consapevolezza individuale, ma in quella di tante persone», conclude. «Ognuno di noi deve fare la sua parte con la piena consapevolezza che farlo da soli non basta. E poi diciamoci la verità, non mi sentirei apposto se non lo facessi: mi piace provare a cambiare il mondo e se non ci provassi, la mia vita non sarebbe la stessa cosa».
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