L’Elvira conta, il libro che vuole far ripopolare i piccoli borghi disabitati
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La Spezia - Vi ricordate di Rossana Sciascia, la donna che ha lasciato Milano per andare a vivere nella selvaggia val di Vara, nello spezzino, a fine anni Novanta? Vi abbiamo raccontato la sua storia qui. Ora torniamo a parlarvi di lei perché, tra le sue tante risorse, c’è anche una pulsante vena letteraria. Negli anni ha pubblicato tre libri, ma il quarto – L’Elvira conta – è la sua prima pubblicazione non autobiografica: racconta di una donna – che l’autrice ha disegnato con accurate pennellate appositamente per il romanzo – nata nel 1930 a Chiama, un antico borgo dell’alta val di Vara.
Il libro attraversa tutti gli anni della guerra e l’era dello spopolamento e arriva fino a oggi, momento storico in cui tanti comprano o affittano case vacanza nei paesi dell’entroterra. Ed Elvira, da unica residente rimasta, si sente straniera in casa sua. «In questo libro emerge con forza quella nostalgia del “si stava meglio quando si stava peggio”», mi dice Rossana sorridendo, confessandomi di essere una di quelle persone profondamente affezionate a tutto ciò che non c’è più. Questo nuovo libro, che ripercorre in chiave romanzata tante storie e personaggi del territorio, mi incuriosisce e la chiamo per una chiacchierata.
Rossana, parlaci di L’Elvira conta: lo possiamo definire un romanzo storico?
Ho raccontato di come un tempo si viveva a Chiama, un paese poco distante da noi, ripercorrendo la storia di queste montagne, dove si era sempre praticata un’agricoltura di sussistenza e dove l’economia si fondava sul baratto. Le tasse? Qui si pagavano con “le comandate”: c’era chi faceva manutenzione alla strada, chi riparava le canaline, chi sistemava la cisterna. Poi il mondo è cambiato e gli uomini al rientro dalla guerra avevano un’altra testa. In tanti lasciarono i paesi per andare a vivere in città. E oggi a Chiama abitano solo due fratelli.
L’Elvira conta affronta quindi anche il tema dello spopolamento dei paesi dell’entroterra.
Sì, anche se il libro non è solo una denuncia per quelli che sono andati via, spopolando tutti i borghi, ma anche per chi oggi arriva, portando con sé una cultura completamente diversa. Il risultato è che il nuovo abitante si indispettisce nei confronti di quello vecchio perché non si sente accolto e viceversa il “nativo” è aspro verso i “foresti”, così diversi da lui.
D’altronde è la storia dell’umanità, è sempre stata questa la natura delle cose. Anche ammesso che Chiama non avesse subito nessuno spopolamento negli anni, quella cultura che era riuscita a resistere sino a poco più di un secolo fa oggi, se fosse rimasta cristallizzata e immobile nel tempo, sarebbe stata comunque malsana, superata, perché avrebbe cozzato con la realtà odierna. È come se tutte le parti si sentissero in qualche modo offese, nonostante non ci sia alcuna colpa esplicita: il punto è che le culture si evolvono quando il mondo va avanti.
E la storia che racconti è reale?
Anche se si tratta di un libro a sfondo storico, con un filo conduttore romantico, la storia di Elvira è frutto della mia fantasia. Il tessuto sociale in cui la storia della protagonista è immersa invece sì, è reale. Diciamo che questo romanzo è la somma delle testimonianze che ho ricevuto negli ultimi tredici anni e il frutto di un lungo lavoro di ricerca. Quando nel 2010 è uscito il mio primo libro, Le cascine di Adele, molte vecchiette dei paesi qui intorno hanno deciso di raccontarmi la propria vita, volevano parlarmi di come si viveva un tempo in queste campagne.
Una signora mi ha scritto la sua storia sulle cornici libere delle Pagine Gialle, un’altra sui moduli di consegna del marito camionista ormai defunto. Così sui materiali più insoliti ho raccolto tantissime testimonianze che sarebbe stato un peccato buttare via. Ho consultato i registri di Chiama a partire dal 1596 e anche da lì ho preso ispirazione. Alcuni preti infatti hanno usato questi registri come una sorta di diario da cui emergevano molti sentimenti.
Ogni frase del libro quindi è stata concepita dopo lunghe ricerche storiche: il mio intento era sapere se la tale cosa di cui parlo succedeva davvero oppure no. E in una zona disabitata come la nostra è veramente difficile reperire testimonianze. Per esempio, mi sono chiesta: i bambini cosa si portavano a merenda a scuola? Il pane col burro? In realtà no, in cartella avevano la polenta dura o una manciata di castagne arrosto in tasca.
Come sei riuscita a intrecciare tutto?
Non è stato facile mettere insieme tutto questo materiale, infatti a un certo punto volevo rinunciare. Mi sono anche isolata cinque giorni senz’auto e senza distrazioni in val Brembana, dove abbiamo una piccola casa di famiglia, per provare a raccogliere le idee, ma sono tornata a casa con un nulla di fatto. Poi, per una casualità, mi sono ritrovata circondata di persone che sono diventate una squadra, composta da filosofi, storici, letterati che mi hanno supportato moltissimo in questo progetto, indubbiamente terapeutico per me ma anche per tutti coloro che hanno condiviso con me la propria storia di vita, perché si sono sentiti utili.
E il territorio, gli abitanti come stanno reagendo?
Il fatto che il libro sia stato pubblicato a maggio e già a luglio stiamo continuando a fare ristampe è un buon segno. So che tante persone che non conosco stanno comprando il libro online, quindi queste pagine si sono aperte a tanti nuovi lettori. Certo, ci sono anche un po’ di insidie, se così possiamo chiamarle: c’è chi si sente chiamato in causa, per esempio, ma ne stanno parlando tanto e questo è in ogni caso un risvolto positivo. Diciamo che i libri che pubblico li scrivo perché non potrei non farlo, è un’esigenza molto mia. L’Elvira conta però ha la missione di far ripopolare Chiama, così come tutti gli altri borghi disabitati.
La mia scelta di mantenere reali i nomi delle località che cito ha dato tanto valore al territorio. Dopo aver letto il libro, sono arrivati a Chiama i primi due turisti culturali che sono partiti da Bargone [cittadina medioevale nel Comune di Casarza Ligure, ndr] a esplorare il paese. Un po’ come quando leggevo Pavese: quando poi capiti nelle Langhe, ti godi quei luoghi, rivivi quelle atmosfere, quei colori raccontati tra le pagine dei suoi libri.
Una ragazza della val di Vara, una camminatrice, mi ha detto: «Ora, ogni volta che passerò a piedi da Chiama, chiuderò gli occhi e immaginerò Elvira e Gino che ballano in piazza». Questo suo pensiero mi ha commosso, perché significa che puoi dare un colore romantico ai luoghi, semplicemente raccontando una storia. E questo libro sta portando nella mia vita tante piccole novità, che non mi erano mai successe prima.
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