Educazione biocentrica e biodanza: scoprire sé stessi grazie agli altri
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Torino - Oggi si fa molta fatica ad accettare ciò che ci accade, i contrattempi, gli eventi indesiderati. «Non abbiamo più fiducia nella vita, nel fatto che le cose trovino sempre alla fine la propria strada», mi dice Tiziana Coda-Zabet all’inizio della nostra chiacchierata. «L’educazione biocentrica ci insegna a fare un passo indietro e arrendersi alla vita. Lasciare che l’ego si zittisca. La resa non va demonizzata, al contrario».
Avevamo già incontrato Tiziana, codirettrice delle scuole del Piemonte di biodanza, insegnante, Reiki master, «anima in continua ricerca», come ama definirsi, e fondatrice del progetto educativo La vita al centro, una scuola parentale fortemente voluta da un gruppo di genitori e insegnanti e basata sull’educazione biocentrica. La biodanza è entrata nella sua vita più di trent’anni fa e la danza ancora prima.
«Ho sempre amato danzare, sin da bambina», mi racconta con gli occhi colmi di emozione. «Ho studiato danza classica e contemporanea. Mi sono appassionata alle movenze della grandissima Martha Graham. Mia madre diceva che sono nata danzando, perché non ha provato quasi alcun dolore durante il parto». E a un certo punto percorsi di vita, incontri, casualità e soprattutto tanta ricerca, la portano a scoprire la biodanza.
«Non mi interessava esibirmi, preparare gli spettacoli, studiare le coreografiche. Cercavo dell’altro». Nata negli anni Sessanta dagli studi dello psicologo ed educatore cileno Rolando Toro Araneda, la biodanza è stata definita dal suo stesso fondatore una forma di meditazione in movimento e una ricerca profonda del proprio movimento originario. Rolando Toro Araneda insieme alle équipe mediche portò questa pratica negli ospedali psichiatrici di Santiago del Cile, sperimentando gli effetti della danza e dei diversi tipi di musica sui pazienti in cura psichiatrica.
SPINGERSI NELLO SPAZIO DEGLI ALTRI
Ormai trent’anni fa, quando la biodanza si conosceva ancora pochissimo, Tiziana propose alla preside della scuola in cui insegnava all’epoca di introdurre alcune ore di questa disciplina, lavorando con i suoi studenti sulla complessità. «La biodanza permette di stimolare il potenziale umano anche di fronte alle sfide che normalmente ci attendono. Ecco perché è importante che i ragazzi e le ragazze affrontino la complessità, per trovare la giusta forza di affrontare i problemi anche nella vita».
La biodanza non prevede posizioni, imposizioni, ma lavora sull’universale umano, senza confini o distinzioni. Ognuno viene accolto nella libera espressione del movimento, guidato dalle cosiddette posizioni generatrici. «Si tratta di posizioni che l’uomo ha da sempre assunto, sin dalla notte dei tempi. Riprodotte nelle prime raffigurazioni della figura umana, sono importanti perché ci portano a conoscere noi stessi». Secondo un principio fondamentale della biodanza infatti quando si incontra l’altro nel movimento, si ritrova sé stessi.
Praticando la biodanza si sperimenta quanto potersi spingere nello spazio degli altri e quanto permettiamo al contrario che gli altri si avvicinino a noi. La biodanza è un metodo dell’educazione biocentrica che si basa sull’esperienza, il contatto con la natura, lo sviluppo dell’affettività e la comunicazione affettiva. «È un modo di vivere la vita che rimette al centro la vita stessa», chiarisce Tiziana.
COSTRUIRE INSIEME UNA CULTURA NUOVA
A giugno a Torino si è tenuta la settima edizione del symposium di educazione biocentrica: uno spazio di conoscenza, condivisione, scoperta, completamente gratuito a cui hanno preso parte insegnanti, ricercatori, esperti di ogni ambito della conoscenza. «Esattamente come avveniva nell’antica Grecia, il symposium è concepito come uno scambio di saperi, amicizia e conoscenze», ha aggiunto Tiziana.
Quest’anno il tema da cui si è partiti è una citazione di Rolando Toro Araneda e da una domanda: si può essere costruttori d’amore? La risposta richiede riflessione, ricerca, tempo. L’educazione biocentrica e la biodanza indicano una possibile strada, ovvero la possibilità di cogliere la bellezza collaterale e il legame che ci unisce a ogni cosa.
Attraverso la biodanza, secondo l’educazione biocentrica, è possibile esprime i nostri potenziali che sono la vitalità, ovvero il sano equilibrio tra lavoro e riposo necessario a preservare la nostra vitalità, la sessualità intesa come profonda gioia di vivere, ma anche la creatività che ci consente di esplorare la vita. E poi c’è l’affettività, fondamentale nell’apprendimento e per creare legami con noi stessi e con l’ambiente intorno e infine la trascendenza, non della realtà ma dalle ristrettezze sui cui ci porta una visione antropocentrica.
La biodanza abbraccia ogni fascia di età come l’armonia del movimento vitale a cui si ispira. Tiziana mi racconta di averla insegnata nel corso della propria vita ad anziani, bambini, ma anche a persone con disturbi psichiatrici e a donne vittima di violenza. «Il simposio di giugno è stata l’occasione non solo per costruire insieme una cultura nuova – ha concluso Tiziana – ma per scorgere tutti insieme i semi di un cambiamento che è già in atto nella realtà che ci circonda». E come nella biodanza, occorre lavorare su ciò che è già in potenza intorno a noi e attende soltanto il tempo giusto per sbocciare.
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