Convenzione di Ginevra e conflitti armati: esiste davvero una tutela?
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Si è sempre provato a regolare i conflitti armati per renderli meno cruenti e “dannosi” per i non combattenti che, volenti ma soprattutto nolenti, si ritrovavano nelle zone di guerra. Dalla prima convenzione di Ginevra del 1864 a oggi però, la guerra non ha fatto altro che peggiorare, dimostrando ancora una volta la debolezza del diritto internazionale
È il 1859 e una persona cammina per le campagne del nord Italia, sta andando a chiedere un finanziamento all’imperatore in persona, Napoleone III. Improvvisamente, mentre passa per la cittadina di Castiglione delle Stiviere, vede l’ospedale pieno di soldati: morti e feriti in ogni dove, assistiti alla bene e meglio dalle infermiere e dai pochi medici. Poco lontano si stava consumando la battaglia di Solferino, che vedeva contrapposte le forze italo-francesi a quelle austro-ungariche.
Fu in quel momento che Henry Dunant – questo il suo nome – si convinse che anche nella guerra dovessero esserci delle regole e dopo appena cinque anni riuscì a far sedere intorno a un tavolo i maggiori capi di stato europei e a far firmare la prima convenzione di Ginevra. L’iconico documento è considerato uno dei capisaldi del diritto internazionale umanitario e sicuramente quello che ha poi influenzato la successiva giurisprudenza dei conflitti armati.
Decine di altri trattati sono stati redatti e firmati, ciascuno per affrontare le maggiori problematiche che si riscontravano in guerra: la prima convenzione di Ginevra, sulle condizioni dei feriti nelle battaglie campali; la seconda, sulle condizioni dei naufraghi; la terza sui prigionieri di guerra; e infine la quarta, che regola le condizioni dei civili e i limiti che gli eserciti devono rispettare.
Si diramano da quest’ultima le varie convenzioni che limitano l’uso di alcune tipologie di armi negli scontri armati e principalmente su un principio, che possiamo riassumere così: “Il conflitto non deve interessare i non-combattenti”. Con non combattenti si intende tutti coloro che non prendono parte alle ostilità, quindi non solo i civili, ma anche feriti, prigionieri di guerra e personale medico, vengono inseriti nella lista.
Alcuni tipi di armamenti tuttavia vanno in contrasto con questo principio. Le armi chimiche per esempio sono estremamente difficili da direzionare, basta una folata di vento e il bersaglio può passare dall’essere una trincea a una scuola in un batter d’occhio. Lo stesso ragionamento vale per le mine anti-uomo, che dopo essere state posizionate vengono lasciate lì e non fanno differenza tra un paracadutista e un bambino. Con le armi convenzionali, proprio perché sono controllabili da un “operatore”, si dovrebbe avere la certezza – anche se poi non è sempre vero – che vengano usate solo ed esclusivamente su bersagli militari.
A questo punto possiamo iniziare a parlare delle “bombe a grappolo” o “cluster bombs”. Il principio non è complicato: in pratica si tratta di una bomba o un missile la cui testata esplosiva è suddivisa in quelle che in gergo si definiscono “sub-munizioni”. Questo le rende molto efficaci contro le concentrazioni di truppe o quando il nemico è ben trincerato – provate a centrare un secchio con un sasso grande quanto la vostra mano e poi con una manciata di sassolini più piccoli.
Esistono molti tipi di questo tipo di munizione, da quelle a esplosione immediata a quelle che rilasciano mine. Il problema è legato al malfunzionamento degli ordigni che quindi rischiano di rimanere interrati e nascosti per molti anni. Le vecchie munizioni a grappolo sovietiche ad esempio, usate sia dagli ucraini sia dai russi, fin dall’inizio del conflitto avrebbero un tasso di malfunzionamento del 30/40% . Ben più ridotto sarebbe il tasso delle più nuove munizioni che gli americani spedirebbero agli alleati ucraini: circa il 3%, molto simile a quello di qualunque altra munizione tradizionale.
Vi è una convenzione del 2008 che limita l’uso di queste armi, firmata e ratificata da 111 paesi, tra questi non figurano però – nemmeno a dirlo – Stati Uniti e Ucraina, rendendo de facto il trasferimento delle armi legittimo, per quanto discutibile. Allora questo diritto internazionale umanitario serve a qualcosa?
Gli ultimi ottant’anni ci insegnano che gli unici che possono stabilire la legalità o l’illegalità di un’azione in un conflitto sono gli stessi che quel conflitto lo vincono. Per questo motivo abbiamo avuto i processi di Norimberga e di Tokyo, ma nessun processo per le azioni alleate – tipo la distruzione della città di Dresda o le bombe atomiche per fare due esempi. Per concludere, solo a posteriori sapremo se il mondo condannerà questa azione oppure sarà solo una delle tante “necessarie” per portare la “pace”.
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