Il Teatro dell’Attrito: mettere in scena i problemi della società è l’inizio per affrontarli
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Imperia - Sono stata ad Imperia molte volte e fin da subito le bellezze e le contraddizioni di questo luogo mi sono saltate all’occhio. Città affascinante per i suoi doni naturali del mare blu intenso e il verde delle sue colline, risulta agli occhi di chi la guarda dissonante a causa di una viabilità complessa e spesso interrotta da cantieri, una cementificazione che ha portato a costruire edifici fino al mare, ampi porti mezzi vuoti per gran parte dell’anno e differenze sociali importanti tra i suoi abitanti.
Qui infatti la povertà e la disperazione di persone che tentano di avvicinarsi al confine si sommano a quelle di chi qui vive qui da tempo, ma in questi anni ha perso il lavoro e non riesce a far fronte ai costi che una città come questa esige. Bellezza e disarmonia regnano impellenti, cercando l’una di prevaricare inconsciamente sull’altra in un conflitto, che a seconda del luogo osservato e dell’osservatore cambia di intensità.
IL TEATRO COME MEZZO PER DAR VOCE
Eppure di ricchezze naturali e sociali per emergere questa terra ne avrebbe da vendere. E pochi giorni fa ne ho avuto la conferma vivendo, seppur per poche ore, un assaggio di questa città. L’obiettivo della mia visita era andare a conoscere da vicino il Teatro dell’Attrito, che da quindici anni porta sul suo piccolo palcoscenico complessità e meraviglia degli abitanti imperiesi o almeno di una parte di loro.
Incontro Giovanni Zecchini all’uscita dell’autostrada, che mi conduce come cicerone e guida attenta ed esperta a conoscere il Teatro dell’Attrito. Ma prima una tappa imprevista: ci fermiamo a ritirare buste e cassette di alimenti da portare in teatro. Così comprendo che il progetto che sto per conoscere è molto più ampio e complesso di quanto potessi immaginare.
Il teatro infatti, oltre a essere un centro culturale e di sperimentazione artistica per far emergere e affrontare i problemi sociali del nostro tempo e della città stessa, è anche un punto di riferimento per altre associazioni che qui trovano una casa dove potersi incontrare e portare avanti progetti paralleli in contesti diversi, ma tutti con un’importante ricaduta sul tessuto sociale. Tra questi anche un banco alimentare che distribuisce la spesa sospesa a persone in difficoltà economica.
LA SUA NASCITA
Giovanni mi racconta il contesto sociale in cui questo luogo è nato molti anni fa: «Imperia era una città con un fermento dal basso molto attivo e si era formato un gruppo molto eterogeneo che partecipava alle diverse manifestazioni e si interrogava sulle difficoltà macro, come su quelle del vivere qui. Abbiamo sentito un bisogno impellente di dire qualcosa sui problemi che vivevamo noi, e su quelli che vivevano chi ci era vicino».
«Alcuni di noi – continua Giovanni – arrivavano da centri sociali, altri dalla politica, altri ancora dal mondo teatrale, e altri da ulteriori contesti. E credo che sia stata proprio questa la nostra forza espressiva: la nostra diversità ci ha permesso di essere liberi da etichette e vincoli, ma allo stesso tempo di avere punti di vista differenti, ma con valori comuni e condivisi come l’antifascismo e l’antispecismo».
Il Teatro dell’Attrito immette le sue radici sul teatro dell’oppresso, che alcuni dei componenti del gruppo fondante avevano sperimentato direttamente, decidendo poi di coinvolgere gli altri. La maggior parte dei fondatori quindi non arriva dal mondo artistico, ma cogliendo il bisogno di parlare e far emergere i problemi sociali che la città si apprestava ad affrontare, cerca nuove modalità e linguaggi per comunicare.
«Vedendo le manifestazioni in piazza, le reazioni al volantinaggio per la città, abbiamo capito quanto fosse forte la tendenza ad evitare i problemi. Attraverso il teatro dell’oppresso abbiamo quindi sperimentato, e a nostra volta proposto, una modalità nuova per condividere il sentire di più persone sulle difficoltà sociali, ma con un linguaggio ironico e leggero che permettesse a tutti di essere compreso e di farne parte. Abbiamo anche deciso di applicare un prezzo politico per permettere che tutti ne potessero usuffruire».
PARLIAMO DEI PROBLEMI!
In questi anni, come mi spiega Renato Donati direttore artistico del teatro, sono una quindicina le autoproduzioni su cui il gruppo del Teatro dell’Attrito ha lavorato: dalla costruzione del nuovo ospedale – con due spettacoli dal titolo “Ospedalozzo novico” e “Ospedalozzo duplico” – a quella del porto che ha causato dissesti importanti, fino al tema del nucleare e dell’acqua pubblica. Ma non solo: anche argomenti come quello delle conseguenze diffuse del capitalismo, dei confini percepiti e vissuti a livello personale e sociale, arrivando alla diversità e in particolare all’immigrazione.
Tanti argomenti sviscerati, tante riflessioni e confronti talune volte accesi, altri vissuti con più serenità. Ma ognuno di loro ha permesso a chi ne era protagonista sul palco – come a chi ha lavorato dietro le quinte, passando ovviamente anche per gli spettatori – di lavorare dentro di sé, andando a scavare laddove la mente razionale spesso non riesce, cercando non tanto soluzioni, quanto un dialogo interiore che passi attraverso la condivisione e l’espressione esterna.
«Porsi domande e lasciare che questi messaggi arrivino è già un grande passaggio. É il non tacere, fuori come dentro di noi. Far emergere con la forza il disagio e le difficoltà è fondamentale». Da anni poi, al teatro si è affiancato anche il linguaggio della musica, attraverso performance di musicisti che cercano un luogo a contatto con le persone dove potersi esprimere in modo più ravvicinato a chi ha voglia di ascoltare. E così il percorso intrapreso continua nonostante le difficoltà di tutti, le diversità di pensiero e visione, ricordando agli imperiesi e a noi tutti che non sono i problemi a definire chi siamo, bensì il come decidiamo di affrontarli dentro e fuori noi stessi.
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