La storia di sangue del Sudan del Sud, il più giovane Stato africano
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Fra i primissimi Paesi africani a ridefinire la propria fisionomia post-coloniale, il Sudan del Sud è l’ultimo nato, l’ultimo Stato a costituirsi indipendente nel multiforme caleidoscopio della geografia mondiale. La spensieratezza infantile è però negata alla matricola norda africana: la sua nascita prende le mosse dalla sconvolgente guerra civile sudanese – il conflitto più sanguinoso dalla fine della Seconda guerra mondiale – e i primi vagiti del nuovo Paese sono state espressioni di violenza e corruzione, stenti e lacerazioni, che hanno generato una gravissima e poco considerata crisi umanitaria.
Dal 1983 al 2005 si combatte la già citata guerra civile sudanese: i popoli settentrionali, di afferenza araba e fortemente islamizzati, appesantiscono la loro ingerenza sulla popolazione cristiana dell’entroterra meridionale, sfruttando il vuoto di potere lasciato dall’Impero britannico. La resistenza militare al mainstream nord sudanese si ordina e costituisce nel Movimento di liberazione del popolo del Sudan (SPLA), formazione armata che sarà – ed è effettivamente tutt’ora – attore determinante della scena politica sud sudanese.
Raccolta abilmente la simpatia di entrambi i blocchi atlantico e sovietico, il SPLA insorge contro il governo centrale di Khartoum, dando inizio formale al conflitto. Non marginale per la mitigazione della guerra e in più occasioni determinante nella soluzione di controversi confronti politico militari, nel 1986 avviene la costituzione della Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD).
Organismo internazionale con sede in Gibuti, l’IGAD promuove importanti iniziative di peacekeeping, sviluppo territoriale, accesso alle risorse nell’area dell’Africa nord orientale – oltre ai membri iniziali consorziati per attinenza territoriale, nel 1996, attraverso la creazione dell’IGAD Plus, il sodalizio viene esteso a Unione Africana, Stati Uniti, Regno Unito, Norvegia, Unione Europea, Nazioni Unite e IGAD Partners Forum.
La mediazione di questo organismo intergovernativo e di alcune potenze regionali, interessate a riequilibrare la situazione politica dell’area, risultano decisive, portando alla firma dell’accordo di pace di Naivasha, in Kenya, nel 2005. L’ingerenza della potente fazione settentrionale viene circoscritta al territorio dell’attuale Sudan, mentre la parte meridionale del Paese gode di una autonomia a termine, con referendum per l’indipendenza previsto per il 2011.
Dopo cinquant’anni di guerra e una straripante vittoria della proposta secessionista in occasione della consultazione di gennaio, il 9 luglio 2011 il Sudan del Sud viene formalmente riconosciuto come Stato indipendente ed entra a far parte a pieno titolo della comunità internazionale. Il processo di pace viene avviato sotto i migliori auspici, lo slogan Freedom, justice and equality sintetizza i propositi di riscatto di un popolo traumatizzato da decenni di tormenti e violenze, ma purtroppo il nuovo corso virtuoso si rivela ben presto un’illusione.
Il Paese è in ginocchio da ogni punto di vista: i vent’anni di guerra civile hanno preteso un tributo numericamente drammatico di vite umane, l’accesso alle risorse primarie è in discussione – se non del tutto interdetto – per gran parte della popolazione, la malnutrizione affligge centinaia di migliaia di persone, la contrapposizione fra desertificazione e devastanti episodi alluvionali – severo effetto del cambiamento climatico –, flagella, distrugge, affama.
Ma per quanto la situazione sia grave e di complessa soluzione, quello che manca è una fondamentale stabilità sociale e politica; il SPLA, formazione paramilitare opposta al governo centrale sudanese nel corso della guerra civile, si converte in partito politico e prende il controllo del paese e il suo uomo forte, Salva Kiir Mayardit, ne è a capo.
Come spesso ricorre nella realtà africana, il confronto politico si sviluppa nel solco delle rivalità etnico tribali e il Sudan del Sud non fa eccezione: maggiore oppositore del presidente – esponente della maggioritaria etnia dinka –, il suo vice Riek Machar appartiene al gruppo dei nuer.
Le controversie fra queste due etnie predominanti sono croniche nell’antropologia del paese – la stessa compagine secessionista durante la guerra civile scontava un forte correntismo al suo interno – e la loro tutt’ora accanita opposizione costituisce un grave deterrente alla stabilità sociale e politica e allo sviluppo della regione, sfociando, in caso estremo, in una nuova guerra civile. Il 15 dicembre 2013, a poco più di due anni dalla conquista dell’indipendenza, le truppe governative si scontrano militarmente con i lealisti del vice-presidente, avviando un nuovo, straziante, conflitto domestico.
I paesi vicini accolgono subito una gran parte dei profughi in fuga dal Sudan del Sud – molti si trovano tutt’ora in Kenya, Uganda, Repubblica Democratica del Congo – mentre altri sono costretti a fuggire all’estero e altri ancora decidono di rimanere in aiuto della popolazione in cerca di salvezza. A questo proposito è drammatica la celebre testimonianza del Reverendo James Ninrew Dong, scampato miracolosamente al rastrellamento per lo scrupolo umano di un soldato e da allora dedicato al sostegno dei propri compatrioti in fuga, che sarà poi fondatore dell’attivissima ONG Assistance mission for Africa.
Dopo altri anni di conflitto, nel 2018 viene firmato il Revitalized Agreement on the Resolution of the Conflict in South Sudan (R-ARCSS), accordo di pace e insieme premessa programmatica per la ricostruzione politica e per lo sviluppo del Paese. Questi accordi sono tutt’ora in parte disattesi, nonostante nel 2020 sia stato costituito un Governo transitorio di unità nazionale con il compito di condurre il Paese a libere e democratiche elezioni e nel 2021 sia stato riaperto il parlamento.
L’attuale conflitto in Sudan ha determinato una ulteriore battuta di arresto nel processo di state building, come afferma Nathaniel Oyet, portavoce del governo di Juba, essendo il Sudan stesso presidente di turno del IGAD, impegnato in primissima linea in una intensa attività di mediazione nel processo di normalizzazione politica. E proprio questa agognata stabilità politica e sociale rappresenta premessa ineludibile di un processo credibile di sviluppo di questo giovane paese.
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