23 Giu 2023

Daniela De Donno e l’Istituto Jane Goodall: aiutare gli esseri umani per preservare il Pianeta – Io Faccio Così #388

Scritto da: Daniel Tarozzi
Riprese di: DANIEL TAROZZI
Montaggio di: PAOLO CIGNINI

Attraverso un approccio integrato, da anni l'Istituto Jane Goodall Italia, mettendo in pratica le idee della celebre etologa britannica, porta avanti un intenso lavoro di preservazione sul campo e diffusione culturale dell'importanza della biodiversità. Daniela De Donno – biologa e presidente dell'Istituto Jane Goodall Italia – ci racconta tutti i dettagli di un metodo che mescola ricerca scientifica con attività umanitaria.

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Jane Goodall è uno di quei nomi che in chi si occupa di ecologia, animali, Natura, emozioni, cambiamento risveglia sensazioni quasi mistiche. Una donna che da giovanissima – e siamo negli anni ‘60, in un’epoca ancora profondamente maschilista – decide di andare da sola a studiare gli animali in mezzo alla foresta. Vive con loro, studia i loro comportamenti, scopre e dimostra che provano emozioni, se li fa amici, supera resistenze durissime del mondo scientifico e cambia per sempre la storia del suo settore.

Oggi Jane Goodall è considerata la più nota studiosa e scienziata al mondo di scimpanzé, il nostro parente più prossimo. Non contenta di aver rivoluzionato il mondo scientifico, a metà degli anni ‘70, ha fondato il Jane Goodall Institute per la ricerca, l’educazione e la conservazione, che oggi si è diffuso in ventotto nazioni ed è un riferimento mondiale per le attività in difesa della natura. Jane Goodall inoltre è messaggero di pace per le Nazioni Unite, parla incessantemente ai giovani di tutto il mondo e ha ideato il programma roots and shoots – radici e germogli –, per l’Uomo gli Animali e l’Ambiente.

Questo perché si è presto resa conto che per proteggere gli animali e gli ecosistemi di un determinato territorio occorreva aiutare le popolazioni che vivevano quegli stessi luoghi. Se vuoi che un popolo non deforesti e non bruci per coltivare o non cacci per sostentarsi, devi dargli delle alternative concrete. Ed ecco che in tutto il mondo si diffondono programmi di questo tipo e oggi la sua fondazione organizza percorsi di educazione alla sostenibilità incentrati su questi principi.

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Io ho avuto il piacere di incontrare di persona Jane Goodall il 27 ottobre 2022, in occasione di una sua conferenza intitolata “Esseri senzienti – La ragione di una speranza”. Co-relatori con lei Angelo Vaira – etologo e fondatore di Think Dog –, Andrea Morello – Presidente di Sea Shepherd –, Filippo Scianna – Presidente dell’Unione Buddista Italiana – e Daniela De Donno, Presidente dell’Istituto Jane Goodall Italia e protagonista della storia di oggi.

Prima di passare all’incontro con Daniela però vi rubo ancora qualche riga per raccontarvi cosa emerse da quell’incontro. Il titolo era appunto “Le ragioni della speranza” e mi entusiasmò perché, nonostante Goodall abbia trascorso tutta la sua esistenza a contatto con il peggio degli effetti delle azioni degli esseri umani – deforestazione, sfruttamento di intere popolazioni umane, razzismo, ingiustizie –, sta incentrando questi anni della sua vita sull’importanza di promuovere una speranza concreta, basata sulla consapevolezza che si possono cambiare le cose.

Impossibile non trovare un’assonanza incredibile con il lavoro che Italia che Cambia porta avanti da dieci anni. Nel suo Il libro della Speranza Goodall dialoga con Carlton Abrams Douglas. Emerge una forte fiducia nella possibilità di un’alleanza tra gli esseri umani e il pianeta grazie a una ritrovata armonia tra l’intelletto degli uomini e il loro spirito indomito e grazie al potere delle nuove generazioni, impegnate a livello globale in modo consapevole e complesso. Dopo quell’incontro e la lettura di questo testo, ho contattato Daniela De Donno e ci siamo incontrati a Milano per un’intervista sulle attività della fondazione in Italia e nel mondo. Prima di proseguire nella lettura, ti lascio quindi alla visione della video-intervista.

CHI È DANIELA DE DONNO

La storia di Daniela è affascinante in sé. Lei era infatti una fan di Jane Goodall, appassionata di scimmie e studiosa di etologia. Ad un certo punto – nel 1990 – decise di andare insieme al marito, ambasciatore per la Fao, in Ruanda e Burundi. In quest’ultimo Paese aveva sede un centro di riabilitazione per scimpanzé della famosa studiosa e Daniela si presentò bussando letteralmente alla porta con l’idea di aiutare nel recupero di esemplari confiscati ai bracconieri e alle autorità locali. In seguito si spostò in Tanzania, sempre col marito, e si occupò della diffusione nelle scuole e nei villaggi del nascente programma incentrato su educazione ambientale e umanitaria.

«Quando arrivai in Burundi Jane non c’era – racconta Daniela – ma tutto ebbe inizio. Cominciai così come volontaria e non smisi più. Mi occupai dell’istituto, dell’approccio che ha e di come dobbiamo occuparci in modo sinergico di umani, animali e ambiente perché tutto è interconnesso». Daniela negli anni ha avuto molte altre esperienze anche in altre organizzazioni, ma la collaborazione con Goodall non si è mai fermata. 

«Quando Jane mi vide non fu sorpresa. Era già molto carismatica. Io l’avevo studiata nei libri e vista sulle copertine del National Geographic, ma era strano esserle accanto. Andavamo nei villaggi e nei paesini sperduti e mettevamo su una mostra per spiegare perché bisognava tutelare i loro habitat di riferimento. Stavamo lì ad appendere chiodi in una capanna per improvvisare un allestimento. Jane Non si fermava davanti a nulla». Nel tempo Daniela entra sempre più nell’organizzazione e 25 anni fa nasce la “filiale” italiana.

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L’ISTITUTO JANE GOODALL ITALIA

Nel mondo si contano 28 istituti intitolati a Jane Goodall e 89 gruppi roots and shoots, per l’educazione e il coinvolgimento dei giovani. Tra questi, nel 1998 nasce in Italia il Jane Goodall Institute. Il suo primo obiettivo fu sostenere una comunità poverissima in Tanzania nei pressi del parco nazionale di Gombe, dove Jane Goodall aveva iniziato i suoi studi pionieristici sugli scimpanzé. Daniela, vivendo in Tanzania, aveva iniziato a seguire questo centro di accoglienza per bambini orfani a causa dell’Aids o abbandonati.

«All’epoca l’AIDS falciava intere generazioni di genitori; sostenere la comunità non era soltanto necessario e nobile ma significava anche  tutelare la biodiversità, il paradiso del parco naturale di Gombe e gli scimpanzé che Jane Goodall studiava da quarant’anni. Non tutti lo sanno, ma gli scimpanzé sono gli essere a noi più simili e stanno scomparendo. Era quindi fondamentale lavorare per le popolazioni locali. Povertà e degrado ambientale vanno insieme, sono inestricabilmente legate». 

Con questo spirito l’istituto italiano ha creato in Tanzania la casa dei bambini di Sanganigwa, nei pressi del centro nazionale di Gombe, investendo sull’istruzione e l’educazione ambientale dei più piccoli per fare conoscere e il valore del loro territorio. «Abbiamo iniziato con bambini piccoli – racconta Daniela – e li sosteniamo fino all’università lavorando costantemente su mostrare le interconnessioni. Lo riteniamo fondamentale».

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Per farmi capire Daniela porta un esempio concreto: «Quando lavoravo con le scuole locali e spiegavo l’importanza di tutelare il territorio i ragazzini mi rispondevano:  “E il legname per cucinare dove lo prendiamo? I pali per le nostre case? Lo spazio per nuove coltivazioni? Dobbiamo disboscare!”. È per questo che nei villaggi in cui lavoriamo installiamo il fotovoltaico e gli impianti di irrigazione, riduciamo lo spreco d’acqua e creiamo cucine solari minimizzando la necessità di legna. Tutto è interconnesso. Se vogliamo tutelare queste aree fondamentali per la diversità mondiale non possiamo chiedere che il “peso” di questa tutela ricada sulle spalle di chi vive qui e ha bisogno di sostegno per vivere. Occorre lavorare insieme per costruire soluzioni».

L’istituto italiano inoltre è un riferimento per scimpanzé, gorilla, orango, primati e scimmie antropomorfe. Vengono portate avanti anche iniziative politiche come l’invio ai ministeri competenti di una proposta per assicurare le migliori condizioni possibili a queste specie tenute in cattività. «Facciamo il censimento e tutto quello che è possibile per garantire il massimo possibile benessere di questi animali che hanno un elevatissima socialità. Ci vogliono un grande rispetto e conoscenza, consapevolezza ecologica ed etologica perché siano tenuti nelle migliori condizioni possibili». 

L’istituto italiano, come abbiamo visto, nasce anche con l’obiettivo di comunicare l’interdipendenza tra umani, animali e ambiente “usando” Jane Goodall come esempio per trasmettere ai giovani fiducia nel futuro e nelle possibilità di ottenere dei risultati. «In Italia ci seguono  tantissime donne e giovani che amano approfondire, conoscere la storia,  darsi da fare, dedicando il loro tempo alla nostra organizzazione. Oltre che con l’Africa, lavoriamo moltissimo con le scuole italiane».

L’uomo, l’ambiente e gli animali, un tutt’uno imprescindibile, obiettivo primo di ogni intervento: un impegno per costruire un futuro migliore, sostenibile

IL RUOLO DELLE SCUOLE E IL PROGRAMMA ROOTS & SHOOTS – RADICI E GERMOGLI CON I GIOVANI PER I GIOVANI. LA SPERANZA È NEL FARE

Come abbiamo visto i giovani sono al centro delle attività della Jane Goodal Foundation e dell’istituto italiano. I progetti sono definiti “per l’Uomo gli Animali e l’Ambiente”. Il cuore pulsante di questo filone è il programma Roots & Shoots – Radici e Germogli. Si legge sul sito ufficiale: “Roots & Shoots (R&S) – Radici e Germogli” è il programma per l’educazione alla sostenibilità e per l’impegno civico dedicato ai giovani, creato da Jane Goodall nel 1991, e promuove tra i giovani una cultura della responsabilità ambientale e della pace attraverso progetti concreti di tutela e di solidarietà rivolti alle proprie comunità”.

Il programma coinvolge i giovani in attività concrete dedicate all’uomo, agli animali e all’ambiente, perché tutto è interconnesso. Per migliorare la nostra vita presente e futura dobbiamo partire dal nostro territorio. Per questo Roots & Shoots insegna che anche la più piccola azione a livello locale contribuisce a un mondo migliore, favorisce il rispetto verso tutti gli esseri viventi, incoraggia la conoscenza e la comprensione di tutte le culture e religioni e ispira ogni individuo ad agire per la propria comunità. Ogni individuo infatti è importante, ogni individuo ha un ruolo da svolgere, ogni individuo può fare la differenza.

Daniela De Donno non ha dubbi in proposito: «Ci sono diverse scuole e diversi insegnanti che possono essere strategici. Un’insegnante che si appassiona arriva al cuore dei ragazzi. Noi abbiamo avuto esempio di giovani che ci hanno trasmesso grande entusiasmo e che magari oggi proseguono le loro attività in altre organizzazioni. La pandemia ha duramente colpito queste generazioni anche nella loro capacità di sognare. Bisogna raccontare, parlare, attivare progetti per mostrare come loro possano fare qualcosa che ha un risultato concreto, occorre fargli provare soddisfazione per il loro risultato».

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Non è stato semplice muovere i primi passi in Italia: «All’inizio è stato molto difficile comunicare l’interconnessione tra essere umano, animale, ambiente. Quando parlavamo del nostro progetto per i bambini e allo stesso tempo l’importanza di tutelare i primati spesso sentivamo dall’altra parte una gran confusione. Non era immediato che venisse compreso il nostro approccio innovativo alla conservazione. Ci chiedevano e si chiedevano: “Ma siete animalisti, umanitari o cosa?”. La nostra più grande difficoltà quindi è stata far comprendere la nostra identità integrata».

Per contribuire alla mission dell’istituto ci sono davvero molti modi, dal progetto di recupero dei cellulari descritto nel video contenuto in questo articolo, al progetto take care, passando per il volontariato, le attività nelle scuole, la protezione dei primati. A questo link trovate una sintesi. Io vi lascio con le parole pubblicate ovunque sul sito dell’istituto: “L’uomo, l’ambiente e gli animali, un tutt’uno imprescindibile, obiettivo primo di ogni intervento: un impegno per costruire un futuro migliore, sostenibile”. Forse – aggiungo io – l’unico possibile.

Clicca qui per guardare la versione integrale dell’intervista a Daniela De Donno.

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