Il Tipico calabrese, l’osteria-museo dove buon cibo e ricordi scacciano l’oblio
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Reggio Calabria - Percorrendo la strada che da Reggio Calabria porta in Aspromonte, potete incontrare il Tipico calabrese. Si tratta di un’osteria dai sapori antichi, ma anche di un museo, una biblioteca con un’invidiabile collezione di libri sulla Calabria, una sala di musica con strumenti antichi ma vivi e vegeti, sui quali la polvere non fa in tempo a poggiarsi. Siamo a Cardeto, terra di cardi e grecità dove 1330 abitanti sono sopravvissuti allo spopolamento che nell’ultimo mezzo secolo ha dimezzato la popolazione.
Tra loro ci sono Marcello Manti e Giovanna Quattrone. Lui è un greco di Calabria, non c’è millimetro del suo volto che non lo ricordi, lei è una cuoca esperta e appassionata, nonché la sua compagna nella vita e in questa avventura iniziata nel 2009, quando Marcello torna in Calabria per trasformare un sogno in realtà.
In compagnia di una brocca di vino buono, un cestino di pane di grano e un tagliere carico di capicollo, proviamo a non distrarci troppo e carpire ogni dettaglio. Le cose da sapere sono tante e Marcello ricostruisce date e documenti con abilità e precisione. Il suo sapere è grande, l’urgenza di condividerlo si manifesta nei gesti delle mani e nel brillare degli occhi quando incrociano l’attenzione di chi lo ascolta.
Manti ha studiato a Reggio Calabria per un po’, poi si è trasferito nelle Marche per proseguire al Centro sperimentale di Design di Ancona e lavorare come graphic designer a Macerata. Finché ha scelto di rientrare in Calabria. Una scelta difficile, resa possibile grazie a un progetto europeo per la valorizzazione e il recupero dell’artigianato tipico calabrese. Quando lo ha vinto – ricorda – il suo datore di lavoro dell’epoca gli ha chiesto: «E adesso che fai?». «Faccio le valigie», ha risposto Marcello. «Noi calabresi siamo bravi a fare e rifare le valigie, siamo un popolo in fuga». Da allora la sua vita si riempie di ceramiche, intrecci di vimini, tessuti a telaio.
Il primo anno di ritorno lo trascorre girando l’intera Calabria per incontrare lattonieri, ramaioli, ceramisti, tessitori. «Ho esplorato ogni angolo e ho capito che nessuno aveva discepoli – spiega – e che era difficile riuscire a creare economia solo con l’artigianato tipico. Quindi mi sono rivolto anche all’enogastronomia». Intanto a Cardeto i lavori proseguivano e il progetto iniziava a prendere forma. Prima la vendita online dei prodotti tipici, poi la vendita diretta e quindi la bottega, le fiere in giro per l’Italia e infine l’osteria e il museo.
Il risultato è uno spazio di due piani. Al piano terra, nel piccolo ristorante di famiglia, con l’orto proprio a fianco, si cucinano le pietanze locali con le ricette antiche accuratamente recuperate da Giovanna. I sapori non sono i soli a ricordarci dove ci troviamo. Siamo nella Vallata del Sant’Agata, ai piedi del Parco nazionale dell’Aspromonte, come ci fanno notare i vecchi attrezzi da cucina appesi alle pareti insieme a ritagli di vecchi giornali e stampe storiche, tra cui quelle del Brigante Musolino.
«La gente mi regala le cose per impedire che si perdano», dice Marcello mentre indica un vecchio telaio rimesso a nuovo. «È arrivato qui tutto smontato, a un passo dall’andare distrutto, ma sono riuscito a rimetterlo a nuovo». Il patrimonio che rischia di andare perduto è immenso. I libri, i dischi, gli oggetti e i ricordi che Marcello e Giovanna proteggono dall’oblio hanno trovato casa al piano superiore.
Quando entriamo nel museo, sul tavolino appena all’ingresso si fanno notare un giradischi e una piccola discografia. Lì in mezzo scoviamo una preziosa raccolta di canti popolari calabresi di Alan Lomax. Alla ricerca dei suoni e dei canti popolari del Sud Italia, l’antropologo Alan Lomax – che aveva già scoperto Woody Guthrie – e l’etnomusicologo Diego Carpitella hanno fatto tappa in Calabria nel 1954. I due ricercatori sono rimasti qui per 13 giorni, incidendo sui nastri 122 brani di 11 località, tra cui Cardeto.
Avevano sentito parlare dei canti delle donne di Cardeto che, ogni mattina, per andare nei campi camminavano per due ore all’andata e due al ritorno. Quattro ore di cammino tra melodie incantevoli che Lomax riesce a registrare, in cambio di qualche prezioso dollaro. Oggi, dopo aver fatto il giro del mondo, i nastri originali sono tornati a casa. È stata la figlia di Alan, Anna Lomax Wood, a riconsegnarli nel 2020 come riconoscimento a una grande cultura popolare.
Questo posto è uno scrigno. Attrezzi, fotografie, ricordi di ogni tipo. C’è anche una piccola valigia di cartone, ancora intatta e piena di attrezzi da barbiere: pettini, lame e pennelli di ogni tipo. È appartenuta a un figlio del “baliaggio” e cioè un orfano cresciuto a Cardeto, dove il Comune dava incentivi alle famiglie che si facevano carico di questi piccoli. Una volta cresciuto, questo cardetese si inventa un lavoro: si imbarca a Genova per le traversate transoceaniche, sui ferry boat carichi di emigranti italiani diretti negli Stati Uniti.
Una volta avvisati i viaggiatori che, dopo trenta o quaranta giorni di viaggio, sarebbero stati sottoposti a scrupolose visite mediche, si offriva di far loro barba e capelli prima dell’arrivo nel Nuovo Mondo. A qualcuno metteva persino la cipria, per migliorarne l’aspetto. Nella valigetta, oltre agli strumenti di lavoro arrugginiti dal tempo, c’è anche qualche foglio di carta su cui appuntava le giornate di lavoro. Sei anni a bordo, dal 1899 al 1905, facendo barbe e capelli, senza mai scendere e toccare terra. Finché è riuscito a comprare una casa a Roma e godersi il meritato riposo.
Oggi il Tipico calabrese è indicato nelle migliori guide turistiche, è stato più volte premiato da Slow Food ed è anche entrato nella classifica mondiale di TasteAtlas, con un punteggio di 4,8 su 5. Dal 2009 a oggi sono passati più di dieci anni, una pandemia e molti riconoscimenti. «Credo di poter dire che la scommessa è stata vinta», sorride Marcello. «Siamo riusciti a creare economia sul territorio, nonostante le istituzioni non ci diano una mano. Noi investiamo il capitale umano, ma non abbiamo ancora le strade, la segnaletica, l’illuminazione pubblica».
Il Tipico calabrese smonta diversi falsi miti, come quello per cui è impossibile fare economia al Sud, in Calabria, e per di più nell’entroterra. Sono molti i turisti che sfidano le difficoltà per visitare la Calabria, sanno che per raggiungere questo posto devono prendere un’auto in affitto e che le strade non sono affatto facili. Eppure vengono. «Chi viene a visitare la Calabria deve volerlo davvero fortemente», sorride Marcello. È un sorriso amaro ma con una punta di orgoglio, tipico calabrese.
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