Gaarawé Village, il villaggio tropicale in permacultura nato per una vita lenta e naturale
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8840 chilometri, è questa la distanza che c’è in linea d’aria da Roma, la nostra capitale, fino a Bangkok, la capitale della Thailandia. Quindi allacciate le cinture e preparatevi a un lungo viaggio perché oggi vi porterò insieme a me dove tante mani che si tengono e si sostengono hanno dato vita a un progetto di permacultura situato a Khao Sok, nel sud della Thailandia. Pronti?
Si chiama Gaarawé Village e prende il nome da un fiore che è in grado di adattarsi ai cambiamenti e all’ambiente circostante. Gaarawé Village è una realtà cresciuta con l’aiuto di migliaia di volontari che è stata in grado di sopravvivere a tempeste, inondazioni e a una pandemia globale che, purtroppo, tutti conosciamo. Ma come incominciò tutto?
Senza ombra di dubbio dal momento in cui Emanuele Cerri – conosciuto come Lele –, italiano di 55 anni, si innamorò di questa terra nel 2005, anno in cui scelse di trasferircisi stabilmente e aprire due bar. I suoi progetti però non andarono come sperato e chiuse le attività poco dopo perdendo parte dei suoi guadagni. Fu proprio da quel preciso istante che abbandono ogni suo bene materiale e scelse di partire in moto verso il suo grande sogno: costruire una comunità interconnessa con la natura, che fosse in grado di vivere in simbiosi con la Madre Terra.
Così nacque il Gaarawé Village, nella foresta di Khao Sok, nella propaggine meridionale del paese. Inizialmente ad aspettarlo c’era solamente un piccolo appezzamento di terreno circondato dalla natura selvaggia; solo successivamente vennero fatte arrivare l’acqua e l’elettricità per poi iniziarne la vera e propria trasformazione: sarebbe diventato un terreno fertile e ricco in grado di poter nutrire un villaggio e ospitare un’infinita varietà di piante.
Ma facciamo un passo indietro e, per chi non la conoscesse, proviamo a inquadrare meglio la permacultura? La permacultura è un insieme di principi di progettazione che si basa su delle strategie ecologiche in grado di “copiare” ciò che vediamo negli ecosistemi naturali quindi in grado di mantenersi autonomamente e di rinnovarsi con un basso impiego di energia.
Il Gaarawé Village è l’antidoto all’idea di capitalismo a cui siamo abituati qui in Occidente, dove il ritmo è soffocante, dove ci si abitua all’idea che sia giusto vivere per lavorare e non lavorare per vivere. Questa quotidianità soffocava Lele, che con coraggio ha voluto dare una risposta concreta a questo suo malessere coltivando un suo sogno e rendendolo realtà; facendo nascere un ambiente solidale, empatico, lento e rispettoso.
«L’ambizione che coltiviamo è quella di vivere sempre di più con ciò che produciamo. Quando abbiamo ospitato più di venti persone che si sono fermate per due mesi in pieno Covid siamo arrivati ad avere il 70% di cibo del villaggio», mi racconta Lele. Il villaggio è pieno di alberi da frutta tropicale tipica, ma anche piante di caffè, pepe e cioccolato.
Qui la maggior parte delle persone non ha una routine prestabilita; si vive in base alle stagioni e a ciò che si deve fare nel villaggio. All’ordine del giorno ci sono semplicemente il qui e ora e la capacità sopraffina di concentrarsi solo su ciò che si può controllare avendone cura. «Gaarawé è un albero e un fiore, la seduzione che emana è l’invito che rivolgiamo agli ospiti e il benvenuto nel nostro nuovo mondo tutto da inventare», conclude Lele.
Questa storia è un’ispirazione al rispetto e alla protezione della natura, alla coltivazione della pazienza, del tempo e della perseveranza, tutti ingredienti che ti portano alla realizzazione di grandi sogni, alla costruzione di possibilità che prevedono solo un capitale: quello umano.
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