Frolla: autonomia e imprenditorialità sciolgono i pregiudizi sulla disabilità – Io Faccio Così #387
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Ancona, Marche - Inizio la storia di questa settimana con una confessione: non so voi, ma non ho mai digerito il pietismo nei confronti delle persone disabili. Sapete perché non lo digerisco? Perché sono il primo a cadere negli stereotipi tipici dell’abilismo, come ben spiegato da Barbara Pianca: «L’abilismo è la discriminazione verso le persone con disabilità e, come tale, va considerata nello stesso insieme in cui si trovano le altre discriminazioni verso specifiche categorie sociali […]. L’abilismo si manifesta in un crescendo, da espressioni minori, come il paternalismo o i pregiudizi, fino all’oppressione su larga scala».
Ovviamente non lo faccio apposta, sono automatismi, comportamenti umani che mi spaventano di più, perché nascono proprio dal buon senso e non ti accorgi di quello che combini. In passato, grazie al lavoro di Federico De Rosa, avevo approfondito quanto fosse assurda la pretesa di noi “normodotati”, per dirla con le sue parole, di sentirsi inconsciamente superiori grazie ai nostri riferimenti socio-culturali. A causa di questo, ci neghiamo la possibilità di guardare più a fondo e di scoprire quanto sia invece ricca e piena di possibilità la mente e la vita in generale di una persona autistica.
Nel nostro Viaggio nell’Amore (e nel sesso) che cambia, abbiamo incontrato la splendida Armanda Salvucci con il suo progetto Sensuability. A tal proposito, per dar ossigeno alla mia introduzione, vi ricordo le sensazioni del Direttore della nostra testata Daniel Tarozzi: «Prima di conoscere Armanda mi sentivo un po’ a disagio: non sapevo bene come mi sarei dovuto comportare. Ribadisco, è una cosa sciocca e goffa, ma visto quanto lei ci ha poi raccontato ho deciso di mettere in piazza la mia fragilità, perché questo è quello che Armanda mi ha poi trasmesso: non trattare le persone con qualche disabilità come una lampada da cristallo, timorosi di romperla o pronti a inneggiarla».
CONOSCIAMO FROLLA
Quando l’amico Piero Manzotti, sapendomi di passaggio nelle Marche, mi ha suggerito di andare a scoprire il progetto Frolla, ecco che mentre mi avvicino al Diversamente Bar di Osimo mi tornano in mente questi e altri pensieri. In più, in questo caso, si tratta di un progetto lavorativo e imprenditoriale! Davvero imprenditorialità, disabilità e autonomia lavorativa possono coesistere? Scherzi a parte, la risposta c’è e si chiama Frolla.
Incontriamo uno dei suoi fondatori, il giovane Jacopo Corona, che dopo un’esperienza lavorativa nel settore agroalimentare ed un’altra all’estero, nello specifico in Australia per occuparsi di fundraising e raccolta fondi – ci tornerà utile a breve –, ha cambiato vita e insieme ad un altro gruppo di pionieri ha deciso di trasformare un’altra sua grande passione, il sociale, in un progetto lavorativo, dando vita a Frolla.
«Grazie alla mia esperienza all’estero – ci racconta – mi sono specializzato nel fundraising, che ho applicato a questo progetto. Siamo nati grazie a una raccolta fondi e finanziamo ogni progetto grazie a questo strumento, che ci ha permesso di creare quello che per noi è uno degli aspetti più importanti del nostro percorso: una comunità diffusa in tutta Italia che ci ama e ci sostiene».
Il progetto è nato nel maggio 2018: si tratta di un micro biscottificio sociale, Il Frolla Lab, che oggi impiega con diverse mansioni venti ragazze e ragazzi con disabilità di diverso livello.
Oltre al Frolla Lab, come ben spiegato nel video che trovate qui sopra, c’è anche un bar chiamato Diversamente Bar, dove si servono colazioni, pranzi e i prodotti del biscottificio e altre prelibatezze prodotte dal gruppo di Frolla. Durante la pandemia, la conseguente impossibilità di tenere aperti i locali è stata parzialmente risolta grazie al Frolla Bus, un bus itinerante completamente autofinanziato che ha permesso la prosecuzione delle attività all’aperto e ha inaugurato un nuovo filone di collaborazioni con le aziende. Ultimamente, il laboratorio si è allargato dando vita al Choco Frolla, un progetto che ha permesso la produzione di diversi tipi di cioccolata.
LE TRE PAROLE CHIAVE
A sentire Jacopo parlare delle tre parole chiave di Frolla – condivisione, qualità e responsabilità –, come illustrato nel video, sembra di riascoltare parte dei sette sentieri su cui si fonda Italia che cambia e che guidano il nostro cammino. «Parliamo di qualità non solo delle materie prime, della scelta dei fornitori e dell’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità – spiega Jacopo – ma anche del tempo che passiamo insieme».
La chiacchierata si ricollega al passaggio iniziale della nostra storia e di questo articolo: «Non abbiamo tentato di mettere in piedi questo progetto per alimentare il pietismo verso le persone con disabilità – chiarisce Jacopo – ma proprio con l’intento contrario: dimostrare che le varie categorizzazioni a cui siamo abituati non impediscono affatto la riuscita imprenditoriale di un progetto simile. Questa attività è tenuta in piedi da persone con disabilità, è un’impresa a tutti gli effetti che sta in piedi grazie alle loro abilità, non grazie alle loro mancanze».
Affiancato a questo – spiega Jacopo – c’è una grande libertà anche nella scelta delle mansioni da parte delle ragazze e dei ragazzi di Frolla. Non è detto che, ad esempio, chi entra nel biscottificio debba poi occuparsi a vita di questo. Se nel corso del tempo si vuole cambiare mansione, organizzandosi insieme lo si può fare: «La mia più grande soddisfazione è venire al lavoro e, giorno dopo giorno, accorgermi che ho sempre meno responsabilità perché il gruppo assume un’autonomia maggiore sempre più ampia, giorno dopo giorno».
UNA COMUNITÀ, DENTRO E FUORI FROLLA
Uno degli aspetti secondo me vincenti del progetto Frolla è la creazione di una comunità. Reale, tangibile, concreta. Lo si percepisce ascoltando Jacopo mentre ci spiega i diversi livelli di coinvolgimento che si sono creati nel corso degli anni attorno a Frolla. «C’è una comunità di persone che è nata attorno al progetto, che non lo rende più solo un’iniziativa lavorativa. È quella dei ragazzi e delle ragazze che, finito l’orario lavorativo, escono insieme per mangiarsi una pizza e condividere del tempo insieme in amicizia. Tanto da arrivare a formare una squadra di calcio, il Frolla Football Team, che oggi affronta un campionato di quarta categoria e si allena una volta a settimana».
C’è anche la comunità dei genitori dei ragazzi – ricordiamo che l’iniziativa è nata anche grazie al contributo di una mamma di un ragazzo con disabilità, Silvia Spegne –, che si è unita in un’associazione collaterale che supporta le attività del Frolla Lab e che discute insieme del tema del “dopo di noi”, a cui Frolla sembra dare una risposta più che convincente fibn dalla giovane età dei ragazzi e delle ragazze – l’età media in Frolla è di ventotto anni.
«C’è anche una comunità a cui teniamo – spiega Jacopo – ed è quella delle persone che ci circondano e che ci vengono a trovare, oltre che di quelle che ci seguono sul web e sui social. Investiamo molto nella comunicazione, per noi è un pilastro della nostra attività. Quando all’inizio di Frolla avevamo solamente il nostro laboratorio, abbiamo deciso di pubblicare alcune delle nostre creazioni ma senza rivelare chi fosse l’autore. Si è creato un alone di mistero e fascino che, una volta mostrati i volti del nostro team in crescita, si è progressivamente ampliato.
La creazione del bar ha permesso di fare poi conoscere Frolla sul territorio, «di incontrare le persone che vivono qui e di mostrare apertamente che il sogno di cambiare il mondo con dolcezza, come diciamo noi, è davvero possibile», spiega Jacopo. «Gli attestati di stima che arrivano dal territorio sono emozionanti: durante le feste come la Pasqua, è capitato di assistere a scene in cui le persone volevano per forza darci una mano in qualche modo, vedendoci stra-oberati di lavoro e di consegne imminenti».
Finisco questo articolo mentre Jacopo mi comunica dell’ennesimo premio vinto dal progetto Frolla e dalla cooperativa sociale. Rispetto al nostro inizio, mi interrogo: ci concentriamo molto sulle barriere fisiche o cognitive, ma quanto sono pericolose quelle legate ai nostri pregiudizi e ai limiti che ci imponiamo per noi stessi e per chi ci circonda?
Frolla, secondo me, non è una storia di riscatto delle persone disabili o di chissà quale altro artificio retorico. Frolla è una preziosa storia di unione. È una storia di incontro tra Jacopo e gli altri fondatori e le altre fondatrici, è la dimostrazione che audacia e coraggio possono contrastare l’emarginazione e possono far fiorire delle opportunità ove siamo abituati a vedere solamente barriere e problematiche. Nonostante tutto, come sempre, vale la pena di provare a cambiare il mondo con dolcezza.
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