9 Giu 2023

Autismo e neurodivergenze: e se mettessimo in discussione il concetto di “normalità”?

Attraverso un'ampia riflessione che si appoggia anche a studi e pubblicazioni di carattere scientifico, proviamo a capire come la narrazione e, soprattutto, l'autonarrazione possano contribuire alla definizione di una "nuova normalità" rispetto alla condizione delle persone con autismo e neurodivergenze. Lo facciamo dialogando con il ricercatore ed esperto Enrico Valtellina. Proprio da loro ci siamo fatti raccontare in che modo i videogiochi possono avere un ruolo a livello culturale e sociale, avvicinando le persone a un linguaggio più digitale. L’articolo fa parte di una serie di approfondimenti, realizzati in collaborazione con Hangar Piemonte, per raccontare la trasformazione culturale di persone, organizzazioni e comunità.

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Parliamo di autismo, di neurodivergenze, di diversità e della necessità di contribuire a generare una cultura che valorizzi ciò che differisce da aspettative spesso impossibili da soddisfare perché basate su modelli ideali e irraggiungibili, su un’idea fittizia di normalità.

Lo facciamo con Enrico Valtellina, ricercatore esperto in Disability Studies e Critical Autism Studies, che ha curato una raccolta di scritti intorno all’autismo dal carattere emancipativo che mette l’accento sulla forza e sull’importanza dell’autonarrazione nel definire identità diverse, dando un contributo pratico a un cambiamento culturale necessario non solo nei confronti delle neurodivergenze, ma verso tutte le forme di divergenza dalla cosiddetta norma.

A ottobre, in occasione di AutCamp, la non-conferenza sull’autismo organizzata dall’associazione Neuropeculiar, è uscito Almanacco TUPS 2022, che hai curato insieme all’associazione. TUPS è l’acronimo di Tipi Umani Particolarmente Strani, che è il titolo di un tuo libro del 2016. Chi sono i TUPS e cos’è esattamente l’Almanacco?

Nel 2013 c’è stato un convegno all’Università di Bergamo per la presentazione di una ricerca che avevamo sviluppato all’ex ONP di Venezia, cercando tracce sull’istituzionalizzazione dell’autismo attraverso la lettura delle cartelle cliniche. Il titolo proposto era Tipi umani particolarmente strani. “Tipi umani” fa riferimento a Ian Hacking, epistemologo delle scienze umane: per lui lo specifico delle scienze umane è che le categorie (i tipi umani, appunto) sono riformulate da chi ne è portatore (ciò che chiama looping effect, effetto di retroazione) mentre per i tipi naturali, le categorie delle scienze naturali, ciò non avviene.

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Se pensiamo a come l’attivismo ha riformulato e ampliato la classificazione medica dell’autismo, vediamo come sia un esempio perfetto di tale concettualizzazione. “Particolarmente” si riferisce alla sostanza del discorso. Sempre Hacking ribadisce che non ci sono due autistici uguali, è una diagnosi contenitore in cui stanno persone individuate per qualche non conformità alle attese sui piani relazionale, sensoriale, cognitivo, ma non conformità non solo quantitative, bensì qualitative, per cui ciò a cui “autismo” fa segno è esattamente la particolarità del singolo, con un’altra formulazione la sua “neurodivergenza”. “Strani” dice la non conformità.

Il titolo mi era piaciuto, così l’ho riciclato per il libro esito del mio dottorato, Tipi umani particolarmente strani: la sindrome di Asperger come oggetto culturale. Il titolo si è poi contratto nell’acronimo TUPS, che dice la stessa cosa del significante “autismo” ma fuori dalla catalogazione medica.

Quando abbiamo deciso di realizzare un volume collettivo scritto da TUPS, il titolo si è dato da sé. “Almanacco” è una raccolta di testi vari: mi aspettavo che rispondessero in cinque o sei, per farne un libretto che marcasse alcune proposte di Neuropeculiar e di chi va all’AUTcamp, ma hanno partecipato una quarantina di persone ed è venuto un volume di circa 360 pagine qualitativamente straordinario, poi pubblicato da LEM edizioni, APS di Sesto san Giovanni che si occupa di autismo.

La narrazione dell’autismo è stata fin dall’inizio influenzata e guidata da un modello medico-riabilitativo che non ha favorito l’autorappresentanza e l’autodeterminazione delle persone autistiche. Quanto sta cambiando tutto questo oggi, in un momento nel quale il concetto di neurodiversità pare stia cominciando a mettere in discussione una visione categoriale legata esclusivamente alla visione clinica?

Nel 2020 ho pubblicato per Erickson un reader (una raccolta di articoli di autori vari con l’intento di dare rappresentazione a un orizzonte di ricerca) dal titolo L’autismo oltre lo sguardo medico: i Critical Autism Studies. L’autismo oltre lo sguardo medico significa che, se pure è vero che la matrice del termine è psichiatrica, c’è un’eccedenza di senso, di discorso, di produzioni culturali a tema autismo, che vanno oltre le scarne definizioni della bibbia degli psichiatri americani, del DSM-5.

Poi, a parte la catalogazione, il sapere medico non ha strumenti per affrontare la non conformità, non c’è farmaco, non c’è rimedio, se non sul piano sociale, attraverso la promozione di consapevolezze su tale ordine surdeterminato di non conformità alle aspettative dell’altro. Su questo piano di diffusione di consapevolezze di base si articola la costituzione di una soggettività collettiva paradossale generata dalla presa di parola di persone che sono state, o si sono riconosciute, in ciò che il sapere medico chiama ASD, “disturbi” dello spettro autistico. L’attrattore, decisamente strano, dell’attivismo TUPS è stato in origine il concetto di “neurodiversità”, nato in omologia a biodiversità.

Tutte le forme di relazione al mondo lo arricchiscono; la “normalità”, feticcio che si dissolve non appena lo si metta in questione, è solo un orizzonte di desiderabilità culturale. Valorizzare ogni singolarità, per quanto eccentrica si presenti, è nell’interesse collettivo. Negli anni la presa di parola TUPS ha riformulato, arricchito, ampliato i discorsi, secondo modalità singolari e talvolta creative.

L’importante, in questa contingenza storica dello sviluppo dei discorsi sulle non conformità, è che ci si sforzi al confronto: tra TUPS in primo luogo per trovare delle nozioni comuni su cui articolare le proposte, e quindi con tutti gli altri soggetti coinvolti dal tema, professionisti, genitori, operatori. Rispetto a questa urgenza percepita di creare un piano discorsivo condiviso, pratiche di conricerca come l’Almanacco assumono un valore ulteriore. Nel realizzarlo ci siamo confrontati, abbiamo chiarito le nostre posizioni, abbiamo compreso meglio quelle di altri partecipanti. Mi sembra l’esito meno visibile e più sostanzioso del libro.

Che ruolo ha l’autonarrazione nella costruzione di un’identità personale e di gruppo, anche nella creazione di una cultura dell’autismo? Quanto è importante rivendicare la propria identità nell’attuale società anche per le persone neurodivergenti?

Per Hacking i tipi umani interagiscono con le categorie che li individuano, e in tal modo le riformulano. Pensiamo a una delle attiviste storiche come Temple Grandin, che in un suo libro racconta di “pensare per immagini”. Non ho mai capito in effetti cosa intendesse dire, ma questa cosa ha imprintato tantissimo il discorso sull’autismo. Anche neuropsichiatri autorevoli hanno ripreso la sua formula.

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Vale come esempio su due piani: uno che la presa di parola TUPS è sostanziale, può cambiare la percezione culturale dei fenomeni, e due, che c’è sempre il rischio della generalizzazione forzata, della dinamica sociologica dello spread, dell’estensione indebita di caratteristiche individuali a tutti quelli che sono toccati dalla categoria. La presa di parola è determinante, ed è fondamentale che non sia il luogo di uno sfogo narcisistico, ma si dia come co-costruzione di una lingua comune attraverso cui promuovere il discorso pubblico sulle non conformità relazionali, sensoriali, cognitive.

Credi che sia possibile un superamento dell’attuale visione dell’autismo, e se sì, quale pensi che sia la direzione verso cui ci muoviamo?

Questa è una delle questioni fondamentali su cui mi interrogo ultimamente. Sono più di vent’anni che seguo lo sviluppo del discorso sull’autismo, tantissime cose sono cambiate, si pensi a quanto l’avvento dei social network abbia potenziato la possibilità di fare circolare i discorsi; sono cambiati i criteri diagnostici, la sindrome di Asperger è scomparsa. Cosa ci aspetta? Quali saranno le configurazioni ulteriori del discorso pubblico sull’autismo?

Ian Hacking ha scritto libri meravigliosi su quello che chiama transient mental illness, malattia mentale transitoria: condizioni che vengono nominate come configurazione di sintomi, hanno una fortuna pubblica e poi scompaiono. Si è anche chiesto se l’autismo possa essere considerato una transient mental illness, e la sua risposta è che possono cambiare le classificazioni, può scomparire anche il significante autismo ma ciò a cui fa segno, l’orizzonte di non conformità alle attese dell’altro sui piani relazionale, sensoriale e cognitivo, esisteranno sempre.

Tutte le forme di relazione al mondo lo arricchiscono; la “normalità”, feticcio che si dissolve non appena lo si metta in questione, è solo un orizzonte di desiderabilità culturale.

In futuro, magari con altri strumenti concettuali, potremo cercare di contribuire a diffondere culture che valorizzino le differenze dalle attese, perché chi le vive non debba scontarle con l’avvilimento delle aspettative di gratificazione sociale. L’attivismo per ciò che oggi si chiama “neurodivergenza”, o tupsità, ha un ruolo nel rendere più decente il mondo. O almeno può provarci.

Enrico valtellina, di formazione filosofica, si occupa di Disability Studies (con particolare attenzione per le dsiabilità relazionali senza compromissione cognitiva) e di storia della psichiatria. Collabora con la cattedra di Psicologia dinamica presso l’Università di Bergamo. È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e ha distribuito contributi a molteplici riviste.

Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.

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