Giuseppe e il rilancio di Aragona, fra bellezze da scoprire e storie da non dimenticare
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Agrigento - “Vitti na crozza supra nu cannuni,
fui curiusa e ci vosi spiari,
idda m’arrispunniu cu gran duluri,
e morsi senza ‘ntoccu di campani”
Questi sono i versi di “Vitti na Crozza“, una delle canzoni siciliane più famose al mondo. Da sempre considerata un inno all’allegria e al calore siciliano, in realtà è legato al mondo delle zolfare, fatto di duro lavoro e sofferenza che spesso costringevano i minatori a scioperare. Circostanza non sempre ben vista, soprattutto dalla chiesa, che infatti non concedeva neanche un tocco di campana alla morte dei minatori.
Circa settant’anni fa nelle località interne della Sicilia questa era una condizione comune a molte famiglie che, per un motivo o per un altro, ricavavano dalle miniere il sostentamento necessario alla sopravvivenza, anche a patto di concedere in “comodato d’uso” i loro figli più piccoli, i cosiddetti carusi.
È la storia di molti paesi della provincia di Agrigento, tra questi Aragona che in passato era tra i centri più importanti di produzione. Le miniere siciliane producevano circa i quattro quinti di tutto lo zolfo che si estraeva nel mondo, di fatto tutta l’industria chimica europea dipendeva dallo zolfo siciliano. Una tradizione e una storia che si sono andate perdendo nel corso degli anni e che Giuseppe Chiarelli, geologo di Aragona, sta cercando di riportare alla memoria attraverso iniziative che possano valorizzare il parco minerario delle miniere di zolfo della sua zona.
«Circa vent’anni fa la regione Sicilia si è posta il problema di recuperare e valorizzare le miniere di zolfo trasformandole in parchi minerari», racconta Giuseppe. «L’obiettivo era lasciare una testimonianza storica locale delle vicissitudini dei minatori siciliani. Ogni luogo era simbolo della fiorente attività estrattiva, ma anche dei ricordi più tragici di chi vi ha lavorato, soprattutto dei carusi. Dalla realizzazione di questi parchi non è stato adottato un modello di gestione di queste aree da tramandare alle generazioni future. Esse sono state abbandonate e vandalizzate senza dare ai più giovani la possibilità di comprendere l’identità di questi luoghi e i sacrifici dei loro avi che hanno permesso loro una vita migliore».
Ad Aragona la miniera di Taccia Caci è senz’altro quella più nota, “sopravvissuta” anche per merito della famiglia Chiarelli: un pezzo di terreno pertinente alla miniera ha avuto numerosi proprietari, tra questi anche la famiglia di Giuseppe. Ancora prima, sin dal 1903, è appartenuta alla famiglia Pirandello. È proprio questo luogo ad aver ispirato al noto scrittore proprio la novella “Ciaula scopre la luna”.
Aver vissuto a stretto contatto con questo mondo – buona parte dei suoi parenti ha lavorato in miniera a vario titolo – ha scatenato in Giuseppe curiosità e passione, tanto da decidere di studiare geologia. Si è battuto molto negli anni per la tutela del parco delle miniere di zolfo. Di recente ha anche presentato un progetto, un patto di collaborazione per l’attuazione di interventi di rigenerazione, manutenzione, valorizzazione e fruizione dell’area all’interno della più vasta area del parco delle Miniere di Zolfo della Montagna di Aragona dove si trova la miniera di Taccia Caci.
Un’area di 10 ettari abbandonata da tutte le amministrazioni comunali e poco conosciuta dai locali che, insieme alla Riserva naturale Integrale di Macalube di Aragona, è di grande interesse scientifico. Quest’ultima è famosa nel mondo per il raro fenomeno geologico delle “macalube” che costituiscono una rarissima testimonianza dei cosiddetti “vulcanelli freddi”, citati nelle letteratura scientifica di tutti i viaggiatori stranieri venuti in Sicilia tra il il 1700 e il 1800.
«La gente locale non ha mai avuto cura e rispetto di queste zone anche per un forte senso di repulsione verso un momento tragico vissuto in passato da molte famiglie del posto. L’estrazione dello zolfo era la principale risorsa economica della zona, ma ha prodotto tanta schiavitù. Questo contesto non ha pari in nessuna parte del mondo, così come le miniere di sale di Realmonte e i “trubi” della famosa Scala dei Turchi. Oggi sono tanti i migranti di seconda e terza generazione che tornano ad Aragona per dare un volto alle persone e ai luoghi che hanno popolato i racconti dei propri parenti, mentre noi che viviamo quotidianamente questi luoghi abbiamo disperso tutto», continua Giuseppe Chiarelli.
Aragona negli anni ‘30 contava circa 17.000 abitanti, oggi sono 8.900. È il Comune con il più alto tasso di emigrazione in tutta Europa. A detta di Giuseppe, il paese vive un momento ormai lungo di oscurantismo e disagio sociale da attribuire a diversi fattori: il contesto storico, la mancanza di lavoro, il decadentismo culturale, ma soprattutto la mancanza di cura e di “bene” per il proprio territorio da parte delle amministrazioni locali e regionali che non hanno saputo cogliere questo malessere generale.
Una comunità atrofizzata che non riesce a godere di quel poco di buono e unico che ha preferendo la lamentela all’azione. Giuseppe non si dà per vinto e, tra le tante attività, insieme a un gruppo di ragazzi, dopo 35 anni ha ripreso e rifondato un piccolo giornale mensile, La Voce di Aragona, all’ interno del quale ognuno contribuisce con il proprio sapere e la propria esperienza.
«Ci siamo chiesti cosa fare per questo paese. Le alternative erano due: assistere a questo malessere o sbracciarsi le maniche. Nessuno di noi aveva mai avuto esperienze giornalistiche, Alan David Scifo ci “dirige” e ogni mese pubblichiamo il nostro giornale cartaceo. Sarebbe più semplice scrivere male dell’amministrazione, raccontare ciò che non va, ma preferiamo stimolare un dibattito positivo, narrare storie di una volta, parlare di politica in maniera costruttiva e positiva», continua Giuseppe.
Questo stimolo ha suscitato anche un confronto intergenerazionale alla presenza di psicologi e dibattiti pubblici tra giovani e adulti. Spesso i giovani non sono ben visti dai più “grandi” e non hanno uno spazio tutto loro: la piazza, che dovrebbe essere il luogo centrale del paese, non è curata e la villa comunale è chiusa da dieci anni. Il giornale ha coinvolto studenti e giovani proprio per dare voce alle loro emozioni e al loro stato d’animo.
Giuseppe, e non solo lui, spera che l’attenzione che Agrigento avrà per essere stata scelta come capitale della cultura 2025 possa essere l’occasione per dare nuovamente fiato all’intera provincia e far conoscere le storie, le valli e i territori oggi dimenticati da molti. «Sono stato capo dell’ufficio tecnico comunale di un piccolo paese, conosco bene le problematiche delle amministrazioni, sono tante le priorità, pochi i soldi. Serve stimolare le persone al livello locale, essere cittadini attivi, proporre e imparare a voler bene alla propria comunità. Solo partecipando ci si può rendere conto delle problematiche. Attraverso il giornale e le attività che proponiamo sul territorio vogliamo valorizzare la nostra comunità».
«Abbiamo luoghi pieni di storia, ma è il presente che deve suscitare delle emozioni e solo nel modo in cui si raccontano si può fare la differenza. La maniera nostalgica, utilizzata molto spesso anche per raccontare le storie delle miniere, non ha avuto un buon effetto in questi anni. Serve cambiare pagina e, di certo, serve puntare agli aspetti più positivi per lanciare messaggi di ottimismo e di speranza. Solo così potremo contribuire a migliorare Aragona», conclude Giuseppe Chiarelli. Come dargli torto? È più semplice lamentarsi che agire per cambiare le cose. L’azione richiede impegno, tempo, forza e passione. Quanti di noi sono veramente disposti a impegnarsi per farlo?
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