Andare oltre al proprio corpo per guarire attraverso il teatro e la scrittura
Seguici su:
Imperia - Cosa definisce chi siamo? Quale parte di noi caratterizza la nostra essenza, il nostro sé reale? Guardandomi allo specchio, mi capita di scrutare il mio corpo e di chiedermi quanto di questa macchina biologica possa definire davvero me. O meglio, sono solo questo? La domanda continua a tornare ogni qual volta noto qualche cambiamento, segno di invecchiamento, imperfezione che compare senza chiedere il permesso.
Così torno a guardarmi, cercando quale parte di esso sia me. E non trovando risposta, passo allora a scrutare i miei pensieri, nel loro fluire nei momenti di rilassamento, ricercando tra essi qualcosa che possa definirsi me. E proprio allora mi rendo conto di quanto neanche essi possano rappresentarmi, in quanto cambiano con il cambiare del mio umore, del mio volere, di qualcosa che non risiede né nella mia testa, né tanto meno nel mio corpo. Questa ricerca si è acquietata con la conoscenza di Patrizia.
Ero infatti al Teatro dell’Attrito a Imperia giorni fa, quando mi accennano della storia di Patrizia Petri, attuale presidentessa dell’associazione e appassionata del mondo teatrale che da anni si trova a fare i conti con la sclerosi multipla. Nel raccontarmi di lei gli occhi di Giovanni si illuminano e mi dice: «Dovresti conoscerla, è un esempio per tutti noi che ci ricorda giornalmente cosa è reale e quali sono le cose importanti in questa vita».
Decido quindi di contattarla per incontrarla da vicino. Inizio una premessa molto lunga e articolata, cercando di non turbarla e metterla a proprio agio, ma risulta tutto molto goffo e inutile, visto che Patrizia di disagio non ne prova. Anzi, è contenta di potermi raccontare il suo vissuto, le tappe che l’hanno portata a essere chi è oggi.
L’AMORE PER IL TEATRO
«La mia prima esperienza – mi racconta Patrizia – nel mondo del teatro è stata a 15 anni attraverso un laboratorio scolastico ed è continuata successivamente con corsi a Teatro Nuovo di Torino. Le reazioni che ciò aveva in me era evidente: ero una ragazza molto timida e il teatro mi dava la possibilità di sviscerare ciò che ero. Ho compreso che il teatro ti porta alla verità, perché ti obbliga a raccontare te stessa: non puoi sottrarti dal metterti in gioco e tirare fuori parti di te. Puoi recitare, ma non fingere. Per me il teatro è sempre stato importante e lo è ancora di più in questi ultimi anni della mia vita».
LA DIAGNOSI
A cambiare il decorso della sua vita è stata una diagnosi arrivata intorno ai suoi 25 anni e il colpo è stato terribile. «Avevo avuto in pochi mesi diversi sintomi dal nulla: episodi di diplopia, poi una paresi facciale. Dopo tempo passato alla ricerca della causa, attraverso medici specialisti in diverse città, fui ricoverata alle Molinette per accertamenti. All’epoca – era il 1986 – non c’era però ancora la risonanza magnetica, che arrivò solo parecchi mesi dopo, e solo con essa la diagnosi definitiva mi piombò addosso senza più dubbi: sclerosi multipla».
Patrizia mi racconta di come, nonostante avesse incontrato diversi specialisti, fu un medico di base a porre dentro di lei chiarezza attraverso semplici ma fondamentali parole: «Questa è la tua malattia, ci dovrai combattere: sappilo e lavoraci sopra». La conferma che portasse in sé un male non curabile, ma che possedesse tutti gli strumenti per poterci avere a che fare senza esserne schiacciata, trasformò il suo ruolo da vittima della malattia a coprotagonista.
IL PERCORSO DI RICERCA INTERIORE
Dal momento della diagnosi Patrizia inizia così un suo percorso di ricerca, che passa attraverso diverse fasi: dai sensi di colpa alla spinta a ricercare cause scatenanti esterne, alla rabbia e paura dilaganti, fino ad arrivare dopo anni all’accettazione e alla convivenza pacifica con la malattia. Un percorso pieno di difficoltà e momenti più complessi di altri, ma denso di significato per riuscire ad arrivare fino a dove Patrizia è giunta oggi.
«Ho dedicato molte energie in questi anni a comprendere ciò che di esterno a me mi avesse condotto ad ammalarmi, come l’alimentazione o le relazioni sociali, ma non arrivavo mai davvero a una conclusione. Oggi ho finalmente compreso che il motivo non è stato solo uno: dopo anni in terapia di gruppo e lavorando su diversi aspetti del mio essere, mi sono resa conto delle mie difficoltà a stare a contatto con le persone, in questo mondo».
Non un momento di illuminazione, ma un processo di consapevolezza che giorno dopo giorno è cresciuto in lei, trasformando la percezione di sé stessa. E la scrittura è stata determinante nell’aiutare a mantenere una visione di insieme del suo percorso, che con il suo potere intrinseco chiarificatore l‘ha supportata nei momenti più complessi a scorgere laddove il corpo aumentava i limiti, come il suo sé andava via via a espandersi e trovare chiarezza.
«Tempo fa, al sorgere dei primi momenti di perdita di sensibilità delle gambe, scrissi che nella mia vita avevo conosciuto la perdita di luoghi, affetti, cose, ma non ancora la perdita di parti di me, del mio corpo. Mi sono domandata per diverso tempo come potessi compiere l’elaborazione di questo lutto dentro di me e la risposta è arrivata solo lo scorso anno».
Durante la visita di un amico che lamenta un male al ginocchio infatti, Patrizia nel sostenerlo e consigliarlo sul da farsi si rende conto che la perfezione che pensava essere perduta del suo corpo in realtà esiste ancora, ma è semplicemente cambiata: «Mi resi conto parlando con lui, che se il mio corpo non fosse perfettamente funzionante non avrebbe avuto modo e forza di trovare il modo di sopravvivere a tutto ciò e io non potrei essere ancora in vita».
CIÓ CHE SEI, APPARI: IL POTERE DELLA MENTE
Così Patrizia sempre più consapevole di non essere solo il suo corpo e sicura di voler ascoltare i suoi limiti corporei – grazie alla fisioterapia neurocognitiva del dottor Perfetti –, continua per anni la scoperta di sé e la narrazione ad altri del suo percorso attraverso il teatro. «Dopo anni, quando ho avuto un peggioramento finendo in sedia a rotelle, ero pronta a lasciare il teatro, convinta di non poter più stare sul palco. Per me il teatro è sì la parola, ma anche l’espressione corporea, il movimento».
«È stato quindi un lungo percorso in cui mi sono riappropriata di me, andando oltre ai miei limiti corporei e la sorprendente conferma mi arriva sempre più spesso dagli spettatori, che a fine spettacolo mi si avvicinano increduli per raccontarmi che dopo poco non vedevano più la sedia a rotelle sotto di me. La mia più grande soddisfazione è dimostrare che posso fare, che sono in grado, perché siamo noi che ogni giorno decidiamo di portare miglioramenti nella nostra vita, e lo facciamo attraverso la mente consapevole, che ha l’immenso dono e la capacità di creare», conclude. Usiamola, dunque, uscendo dai nostri limiti: la realtà può sorprenderci se glielo permettiamo.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento