2 Mag 2023

Cronaca di un viaggio in India alla ricerca di un’alternativa

Scritto da: Lorenzo Caglioni

Domande, paure, incertezze da un lato. La voglia di scoprire la vita che c'è oltre la patinata quotidianità occidentale dall'altro. Il nostro collaboratore Lorenzo Caglioni non ha avuto dubbi quando si è trattato di scegliere ed è partito, destinazione India. In questo reportage ci racconta cos'ha trovato in quella terra e soprattutto nelle persone che la abitano, fra le bellezze e le contraddizioni che solo questo angolo di mondo sa offrire.

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Partire non è stato facile. Da qualche anno stavo maturando il desiderio di passare un lungo periodo in un contesto diverso da quello europeo, ma le scuse per restare le ho sempre trovate. “Non posso rifiutare questa opportunità di lavoro!”; “al ritorno sarò disoccupato.”; “come pagherò l’affitto?”; “perderò molte amicizie”. Tutti questi pensieri sono difficoltà reali. C’è voluto coraggio ad affrontarle, una alla volta. Ci è voluto soprattutto tempo e qualche sforzo per comunicare a tutte le persone questa scelta.

La decisione è avvenuta l’autunno scorso. Dopo un dottorato di ricerca in sociologia, da qualche anno lavoravo prevalentemente come freelance. I progetti di lavoro stavano diminuendo e nella mia vita si stava creando dello spazio. Subito la tentazione – ovvio, ragionevole – di cercare un lavoro stabile. Mi si è presentata qualche opportunità, ma era come se stessi reprimendo qualcosa che sentivo dentro. Anche Léo, compagno di vita e di molte avventure, condivideva questo desiderio. Aveva appena lasciato un lavoro e si preparava a una svolta professionale. Abbiamo deciso insieme di ascoltare questa spinta interiore, di lasciare la nostra routine quotidiana e di partire per l’India, la Thailandia e il Laos.

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L’India è stata la prima scelta: un paese che in qualche modo ci stava chiamando da tempo. Ci siamo andati principalmente per incontrare le persone e vivere con loro. Abbiamo deciso di passarci circa due mesi. Siamo partiti da Mumbai per risalire verso il Rajasthan, andare verso est a Kajuraho e a Varanasi. Da lì siamo scesi verso sud per restare tre settimane in un villaggio in Tamil Nadu. Abbiamo scelto di offrire il nostro tempo e lavoro in cambio di ospitalità all’interno di tre diverse realtà, facendo volontariato per dei progetti locali. Restare nei luoghi è stato fondamentale. Mi sono accorto dell’importanza di fermarsi, condividere con gli abitanti la loro routine, salutare ogni mattina le stesse persone, condividere pasti e feste.

In Rajasthan abbiamo preso contatti con un progetto di agricoltura e turismo sostenibili nella provincia di Jodhpur. In realtà ci siamo ritrovati a Sirana, un piccolo villaggio, nel bel mezzo di una cerimonia nuziale Rajput – nobile casta dei guerrieri – durata ben cinque giorni. Una cerimonia all’insegna dello sfarzo, costata una vera fortuna, pare circa 60.000 euro! Un fuoristrada tra i regali, abiti preziosissimi, gioielli d’oro massiccio. Insieme a questo abbiamo vissuto il contrasto con condizioni di vita molto umili. Abbiamo condiviso la stanza con altre sei persone dormendo su brandine di ferro e tela; ci siamo lavati con un secchio condividendo il bagno con tutti i maschi della famiglia.

Allo stesso tempo abbiamo sperimentato un’accoglienza calorosa e gratuita che non ha smesso di stupirci. Gli abitanti del paesino non hanno smesso di aprirci le porte di casa, chiedendoci insistentemente almeno di sederci su una sedia per qualche minuto. Per i bambini della casta più povera siamo stati un’attrazione irresistibile, tanto che proprio durante una processione del matrimonio siamo stati letteralmente assaliti da una settantina di loro che non riuscivano contenere la voglia di toccarci, creando non poco scompiglio nella cerimonia.

villaggio

A Kajuraho, in Madhya Pradesh, siamo rimasti qualche giorno nella fattoria di Om, un sacerdote agricoltore che vive dei suoi campi per mantenere moglie, bambini e anche i genitori anziani. Qui abbiamo aiutato nella raccolta del legno e seguito i ritmi della vita di campagna. Il periodo più prolungato l’abbiamo invece trascorso in Tamil Nadu, uno stato che ci è rimasto nel cuore per le bellezze della natura e per le tradizioni culturali antichissime. Qui abbiamo partecipato a un progetto sociale dedicato agli Irular, tribù indigena considerata al livello più basso della società Tamil. L’obiettivo dell’associazione di Albert, l’assistente sociale che ci ha ospitato, è di avvicinare gli Irular al resto della società, all’educazione, ai servizi principali.

Queste battaglie hanno buoni risultati a livello di integrazione, ma allo stesso tempo portano gli Irular ad abbandonare la foresta – loro habitat di origine –, a perdere alcune delle loro conoscenze in termini di costruzione, raccolta, caccia e impiego delle piante medicinali e a ritrovarsi poi con un nuovo grande bisogno: i soldi. Molti Irular trovano impieghi stagionali nelle fabbriche di mattoni, alcuni vengono coinvolti in corsi di dattilografia per diventare scrivani negli uffici pubblici, altri cercano di inventarsi nuovi lavori e una nuova identità, con l’aiuto degli assistenti sociali.

casa irular

La partecipazione a questo progetto mi ha aperto tanti interrogativi, soprattutto sul tema abitativo. Il governo Tamil infatti finanzia la costruzione di case in cemento, che stanno rimpiazzando le abitazioni tradizionali in legno, foglie di palma e paglia. Pare che la richiesta di case in cemento venga dagli Irular stessi: lamentano nelle loro abitazioni tradizionali l’umidità e l’esposizione a insetti e serpenti. Un giorno siamo stati invitati da alcuni Irular a visitare il loro villaggio nei pressi di Tindivanam. Dopo averci mostrato le case che avevano costruito con le loro mani, ci hanno annunciato con l’assistente sociale che fra tre mesi verranno tutte distrutte e sostituite con le case del governo. Immagino un villaggio così in armonia con la natura distrutto e sostituito dal cemento: veramente questa è la soluzione?

L’India è stata per me un continuo confronto con simili domande e contraddizioni. Quando sono partito cercavo alternative al modo di vivere occidentale, un contatto diverso con gli altri e con la natura. Che cosa ho trovato? Nelle città la confusione dei clacson, l’aria inquinata, quasi irrespirabile, l’odore dello smog e della spazzatura misto a quello degli incensi nei templi. Poi l’entusiasmo delle persone che ti chiamano per strada, l’atteggiamento irruento degli operatori turistici, la sovrappopolazione umana e animale (cani, mucche e scimmie ovunque!).

Nel contesto urbano abbiamo visto anche un volto dell’umanità che non conoscevamo. Le persone delle caste più basse respinte in quartieri-ghetto o agli angoli delle strade in capanne improvvisate o sul marciapiede come a Mumbai, dove il confine tra umano e animale diventa così sottile da spaventare. Ogni volta che siamo passati da una grande città ho avuto voglia di scappare. L’India rurale è un altro mondo, basato sui ritmi della natura: agricolo, lento, dove si lavora duro nei campi ma ci si prende il tempo per pregare e per fare festa. I sorrisi delle persone e dei bambini mi sono rimasti nel cuore: luminosi e candidi sui volti scuri, gli occhi grandi ed espressivi, una luce accesa a ogni ora del giorno e della notte.

Mi sono accorto dell’importanza di fermarsi, condividere con gli abitanti la loro routine, salutare ogni mattina le stesse persone, condividere pasti e feste

L’ospitalità ha sempre scandito le nostre giornate. All’accoglienza però spesso si contrappone la divisione. Mi ha colpito il fatto di non aver quasi mai mangiato con le donne. In Tamil Nadu le donne servono gli uomini, che mangiano per primi. In Rajasthan in tutti i pasti donne e uomini mangiavano in due spazi separati da una tenda e si mettevano in scena le differenze di casta. La casta dei Rajput mangiava sulle sedie, mentre le caste inferiori – abitanti del villaggio e servitù – mangiavano per terra. Noi venivamo sempre invitati a mangiare sulle sedie insieme ai Rajput. Più volte ho deciso di mangiare anche io per terra suscitando qualche reazione di stupore.

L’India per me è stata così: diretta, schietta, a volte un po’ dura, estremamente affascinante e accogliente. Non mi ha nascosto i suoi difetti ma nemmeno le sue bellezze, i suoi profumi, i sapori, i suoi colori, l’energia e l’entusiasmo delle persone. Il viaggio è poi proseguito, in Thailandia e in Laos, dove l’umanità ha saputo stupirmi ancora con altre sue sfumature e dove questo breve periodo della mia vita passato in India ha iniziato a prendere la forma di ricordi che per la prima volta qui ho cercato di raccogliere.

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