Stretto di Messina, una storia antibracconaggio lunga 40 anni
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Messina - «Fino a dieci anni ho vissuto a Milano e la domenica con papà andavamo allo zoo per studiare come liberare gli animali dalle gabbie. Quando ci siamo trasferiti a Messina mi sono comprata la bicicletta per andare a piazza Due Vie: lì con la paghetta settimanale compravo i cardellini [in vendita illegalmente, ndr] e li liberavo nella campagna dei nonni a Gesso. Qualche anno dopo ho scoperto che la migrazione degli uccelli, di cui ero tanto innamorata, avveniva nei monti dietro casa, ma anche che c’era chi li uccideva. Era illegale, dovevo fare qualcosa».
Comincia così la lotta di Anna Giordano, una delle leader del WWF in Sicilia, vincitrice del Premio Goldman per l’ambiente nel 1998 e nel 2021 insignita del premio nazionale Luisa Minazzi – Ambientalista dell’anno, attiva da quarant’anni nelle attività antibracconaggio sullo stretto di Messina. Quarant’anni di difesa e impegno anche attraverso i numerosi campi organizzati proprio in questa area.
I primi sopralluoghi sul posto hanno fatto scoprire a lei e ai primi volontari coinvolti una realtà agghiacciante: centinaia di rapaci e cicogne massacrati a fucilate, nonostante si trattasse di specie non cacciabili e la stagione della caccia fosse chiusa. Un fenomeno tollerato perché ricondotto a una sorta di tradizione locale.
Così nell’aprile del 1984 è iniziata una delle avventure più affascinanti nella storia dell’attivismo e della protezione della natura in Italia: il campo antibracconaggio sullo Stretto di Messina. I primi tempi i volontari hanno rischiato molto: i bracconieri erano armati e per nulla disponibili ad abbandonare la loro “tradizione”. Minacce, inseguimenti, messaggi intimidatori e accerchiamenti erano all’ordine del giorno. Solo l’arrivo delle forze dell’ordine consigliava agli sparatori di deporre le armi.
«Tutti i bracconieri si credevano il “male minore”, ma io spiegavo loro che se ammazzano un falco a primavera, è come se ne uccidessero 5, perché quel falco non potrà più riprodursi. In questa rotta migratoria, una delle più vulnerabili del pianeta, circa il 50% degli uccelli in migrazione primaverile muore per selezione naturale. E quelli che riescono ad arrivare, tu, bracconiere, li uccidi? Per fortuna alcuni hanno capito che non ne valeva la pena, che era molto meglio sostituire i fucili con i binocoli, ma la battaglia contro il bracconaggio è ancora da vincere», continua Anna.
Effettivamente si tratta di una zona molto importante, la rotta migratoria primaverile più importante al mondo per quattro specie di rapaci: l’albanella pallida, il grillaio, il falco cuculo e il lodolaio. Ma quest’area è attraversata da moltissime altre specie, alcune delle quali a rischio di estinzione. I migratori che passano sullo Stretto affrontano le più ampie distese di ambienti ostili: 2.700 km di deserto (Sahel e Sahara) e non meno di 140 km di mare (il canale di Sicilia).
La mortalità in questi ambienti è altissima. Vederli arrivare fin qui è un vero miracolo. E i dati, per fortuna, sono in netto miglioramento. Dal 3 aprile al 13 maggio 2006 il radar della stazione ornitologica svizzera ha censito 4 milioni e 300 mila uccelli in volo di notte sullo Stretto di Messina, il record giornaliero è stato registrato il 5 maggio del 2000 con 9729 rapaci che volarono in “volo cieco” e nella nebbia. Sullo Stretto sono state censite 328 specie diverse di uccelli.
«Nel 1984, anno del primo campo, contavamo 3.198 rapaci e udimmo 1.187 spari. Nel 2022, 52.289 rapaci e zero spari. Oggi, ormai da 7 anni, il falco pecchiaiolo nidifica dove prima veniva ucciso» racconta Anna. Sono numeri che riassumono un cambio di atteggiamento verso i migratori negli ultimi 40 anni sullo Stretto di Messina. Un cambiamento avvenuto anche grazie allo storico campo antibracconaggio avviato in un periodo in cui sparare ai falchi era una consuetudine.
Oggi i fucili hanno lasciato il posto ai binocoli e alle macchine fotografiche, ma oltre al bracconaggio ci sono tanti altri pericoli per gli uccelli: avvelenamenti, intossicazioni, distruzione degli habitat, impatto contro le strutture aeree e il Ponte sullo Stretto. L’avvento dei cellulari ha sicuramente migliorato le segnalazioni e mentre prima l’attività principale era reprimere le azioni dei bracconieri chiamando le forze dell’ordine, negli ultimi 15 anni è diventata prevenire. Il rischio che si spari però esiste ancora.
«Ogni riconoscimento ricevuto è sempre un grande piacere, perché l’unico grazie che mi sono mai aspettata nella vita è stato il volo libero dei falchi. Il premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’anno è stato davvero inaspettato, bellissimo e magico. Quando ho capito di aver vinto mi sono emozionata: questa gratitudine umana mi ha riempito il cuore e mi ha fatto dimenticare tutta la frustrazione della lotta dell’ambientalismo nell’era moderna, dove tutti si riempiono la bocca di ambiente, ma coi fatti andiamo verso la catastrofe. Un sacco di volte ho avuto paura e pensato di mollare, ma la rabbia ha sempre vinto. Nulla è impossibile. Mai pensare che una battaglia non si possa vincere», conclude Anna.
La tutela della diversità della vita è l’unico modo che abbiamo per salvare il futuro e soprattutto la nostra stessa esistenza. La storia di Anna, della battaglia del fronte antibracconaggio e di tutte le persone che come lei si impegnano in prima linea per la tutela e la difesa della biodiversità è la dimostrazione che nulla è impossibile, anche in quei luoghi considerati irraggiungibili e intoccabili. Provare per credere!
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