Soleinsieme, la sartoria sociale che combatte la ‘ndrangheta e sostiene le donne
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Reggio Calabria - Nel centro storico di Reggio Calabria, a due passi dal vecchio Castello aragonese, dal 2016 c’è una bottega di “ricamatrici di speranza”. Una sartoria sociale ubicata in un bene confiscato alla ’ndrangheta e gestita da una cooperativa di sole donne. Sole insieme, anzi, Soleinsieme. Varcata la soglia, centinaia di spagnolette colorate, bottoni, taglia asole, puntaspilli e metri arredano l’ambiente. Il grande tavolo sul retro è carico di stoffe e abiti imbastiti, mentre tutto intorno manichini e macchine da cucire non smettono mai di ricordarci dove siamo.
«Benvenuta». La voce è quella della presidente Giusy Nuri, che mi accoglie insieme alle socie lavoratrici e pochi minuti dopo mi accompagna nel cortile interno per non disturbare chi sta lavorando. È uno spazio accogliente, vocato a iniziative pubbliche in città, a disposizione delle associazioni che ne vogliano fare buon uso. «Siamo in un bene confiscato, è il minimo restituirlo alla città», spiega Nuri. E infatti questi locali, che un tempo hanno ospitato una bottega di alimentari prima di trasformarsi in un magazzino semi-abbandonato, sono stati confiscati a Giocchino Campolo, il “re dei videopoker”, insieme ad altri beni per oltre 300 milioni di euro.
Quando l’allora giovane cooperativa beneficiò dell’assegnazione dal tribunale, la scommessa era rimetterli in piedi. Un’altra piccola vittoria. In tempi record e con una spesa di soli 21.000 euro, lo spazio è stato ristrutturato grazie allo sforzo collettivo di un network: insieme alla cooperativa hanno fatto squadra le istituzioni locali, la Casa circondariale reggina, il Tribunale, la Confcommercio, l’Associazione Industriali, non poche associazioni e imprese private e un team di professionisti della rigenerazione urbana, Pensando meridiano.
Per sei mesi i detenuti inseriti nel percorso di giustizia riparativa della Casa circondariale hanno lavorato alla ristrutturazione degli interni, mentre i professionisti seguivano i lavori e alcuni privati regalavano molti degli strumenti che troviamo ancora oggi. Il piano terra del vecchio palazzotto di via Possidonea è stato ristrutturato con garbo e restituito all’economia sana della città. All’ingresso le insegne presentano inequivocabilmente l’interno con una serie di parole chiave incise sul ferro: legalità, solidarietà, esperienza, lavoro. Tutte tappe di un percorso a ostacoli che molte donne si ritrovano a percorrere sulla strada verso libertà e indipendenza.
Del resto, questa sartoria è l’evoluzione dello sportello anti-violenza della città che da anni offre accoglienza, supporto, consulenze e formazione alle donne in difficoltà. Qui non si fanno solo riparazioni e confezioni su misura, si ricuciono storie di vita. Donne incontrate allo sportello anti-violenza oppure tirate fuori dall’immobilismo dei centri di accoglienza. Mamme sole con figli piccoli, vittime di violenza domestica, sociale o istituzionale.
E il lavoro come strada per la liberazione e indipendenza. Per questo la cooperativa ha affiancato alla sartoria un’impresa di pulizie, per aumentare le possibilità di occasione, di autonomia per le donne in difficoltà. «Ci occupiamo della fase successiva all’uscita dalla violenza domestica – dice Giusy –, quindi di donne che vogliono ricominciare, che spesso non hanno mai lavorato o che non hanno mai messo a reddito le proprie capacità».
Sette anni dopo la sartoria è un’attività riconosciuta appieno dalla città, non solo per il suo valore sociale ma anche per quello professionale. In sette anni si possono contare più di cinquanta casi presi in carico, oltre venti donne reinserite sul lavoro e almeno diecimila persone coinvolte grazie alla formazione, ai gemellaggi e ai progetti con le scuole.
Quali progetti per il futuro? «Sembra semplice visto da fuori, ma ti assicuro che è durissima. Le cose da fare sono tante, i progetti anche. Le leggi prevedono opportunità e strumenti, il problema più che altro si incontra nel tessuto produttivo locale, che spesso gli enti non incentivano. Di sartorie sociali ce ne sono molte, lo sappiamo – conclude Nuri –, noi vogliamo fare la differenza andando oltre i laboratori e la formazione fine a sé stessa. Il nostro obiettivo è dimostrare che, in un perfetto connubio tra profit e no profit, il sociale non è solo assistenzialismo ma si può fare impresa, generare lavoro». Si può essere da sole, ma insieme. E fare le differenza.
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