Paolo Ferrari: “Vi racconto come si vive in un territorio di confine” – Meme! #44
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Alessandria - Arrivare dalla città alla Val Borbera è come prendere una boccata di ossigeno. Qui l’aria è fresca e pulita ed è proprio quello che ci serve mentre ci mettiamo alla guida per percorre le piccole strade che costeggiano queste montagne verdissime. Saliamo, saliamo e saliamo ancora, passando in rassegna i piccoli paesi della valle. Cantalupo Ligure, Rocchetta Ligure, Albera Ligure, Cabella Ligure. Piccoli Comuni, disabitati la maggior parte dei giorni dell’anno, ma ancora ricchi di fascino e tradizioni che in questa valle hanno scandito il passare del tempo.
I nomi di questi paesi danno l’impressione di trovarci in Liguria. In effetti l’alta valle è stata a lungo governata da importanti famiglie genovesi, eppure oggi fa parte del Piemonte, nonostante la sua anima sia indissolubilmente legata al mondo ligure. La Val Borbera, così come decine di valli adiacenti, sono infatti aree marginali situate in un ampio territorio di confine.
LA VAL BORBERA, UNA VALLE CHE SUPERA I CONFINI
Questa valle, come tante altre non molto distanti da qui, si trova nel territorio delle Quattro Province, un’area che se da un lato si trova a cavallo tra Genova, Alessandria, Pavia e Piacenza – e le rispettive quattro regioni di appartenenza –, dall’altro appare culturalmente e antropologicamente omogenea. A parlarcene oggi è Paolo Ferrari, ricercatore e antropologo, la cui conoscenza di questo pezzetto di mondo appare ai nostri occhi sconfinata. Sulle Quattro Province ha scritto libri, è coordinatore di un ecomuseo e ha co-creato il sito Dove Comincia l’Appennino, che è il principale punto di riferimento per chi si avvicina a questo territorio.
Nonostante sia cresciuto a Milano, il cuore valligiano di Paolo queste terre non le ha mai abbandonate: in età adulta è ritornato a viverci e, incuriosito dalle forti tradizioni culturali, musicali e storiche, ha iniziato a raccogliere testimonianze, a parlare con gli abitanti, a farsi raccontare dalle persone anziane com’era la vita un tempo. Così è iniziata la sua attività di ricerca, che prosegue tuttora.
Paolo Ferrari ci porta alla scoperta di questo territorio e insieme parliamo di aree interne, di spopolamento e di cosa significa vivere in un territorio di confine. Come ci spiega, «vivere in una terra di confini come questa significa sperimentare l’assurdità della nozione stessa di “confine”. Sappiamo che i confini non esistono, sono invenzioni umane. Noi parliamo di “quattro province” utilizzando questa denominazione di tipo politico-amministrativo, ma più per negare la realtà dei confini che per affermarla».
MUSICA, DIALETTI E CIBO. QUANDO LE TRADIZIONI SI MESCOLANO
Scopriamo che la storia delle Quattro Province è fortemente legata a un tipo di musica tradizionale che è arrivata ai nostri giorni, sempre ed esclusivamente per trasmissione orale. Lo strumento principe è un oboe popolare che localmente è detto piffero e chiamato appunto “Piffero delle Quattro province”. «Il piffero suonava principalmente per far ballare la gente nelle feste che ancora animano questi paesi. Ci sono dei giovani che ancora oggi imparano a suonare questo strumento, ascoltando gli altri suonatori».
Come la musica, in queste terre le tradizioni e le usanze sono sempre state in grado di superare qualsiasi confine. Ne sono esempio i dialetti o l’alimentazione, che era quella tipica della montagna, con piatti poveri a base di polenta, castagne, patate, riso o focaccia. Ma sono le alte valli le zone dove più si esprime un carattere di unitarietà e dove avvenivano gli scambi commerciali tra un paese e l’altro: pensiamo alle antiche vie del sale, un tempo sentieri commerciali che oggi sono divenuti percorsi di trekking.
GLI EFFETTI DELLO SPOPOLAMENTO NELLE AREE INTERNE
È affascinante scoprire dai racconti di Paolo Ferrari che ancora oggi qualcuno al proprio matrimonio chiama i pifferai a suonare. Ciò però avviene meno frequentemente di una volta, a causa del noto fenomeno dell’abbandono del territorio. Uno spopolamento che ha fatto sì che molte delle comunità che si organizzavano ritualmente e convivialmente intorno a questa musica si siano con il tempo disgregate.
«Quello dello spopolamento del territorio è un fenomeno molto complesso che in Val Borbera si è verificato in forma molto più drammatica che altrove. Sono numerosi i paesi che nella stagione invernale rimangono privi di presenza umana stabile. Questo ha determinato la scomparsa di una civiltà contadina tradizionale e tutto quello che essa esprimeva sia in termini di cultura materiale che di cultura spirituale».
ABITANTI, UNITI PER RISOLVERE PROBLEMI COMUNI
La forza della comunità è un elemento che da sempre caratterizza queste valli e che, anche in questo caso, travalica i confini. «Capitava che in passato gli abitanti si unissero per “amministrare” le questioni locali quando sorgevano dei problemi. È sempre stato così, specialmente nei paesi più lontani dalle sedi comunali. Basti pensare che ci sono frazioni isolate come Cosola, dove la strada è arrivata negli anni 20 del ‘900 o anche più tardi in altre zone».
In questi luoghi tutto avveniva attraverso una forma di autogestione: oggi qualche esempio è rimasto, come gli acquedotti che sono ancora gestiti localmente e che sono un bene comune molto prezioso che. «Spero si riuscirà a mantenerli indipendenti dai grandi gestori» si augura Paolo Ferrari. Ma l’autonomia degli abitanti si rifletteva anche sul mondo agricolo: «Nella valle non esisteva il latifondo, i contadini erano tutti piccoli proprietari. Questi montanari vivevano difficoltà notevoli, però erano persone libere. Se volevano fermarsi a riposare quando mietevano o quando erano fuori con le mucche potevano farlo. Tutta la gestione dei pascoli e delle mulattiere era autogestita».
VAL BORBERA, UNA VALLE CHE SCOMMETTE SU SÈ STESSA
Oggi diverse iniziative stanno sorgendo in questo territorio e guardano verso un ritorno ad abitare queste terre. Paolo Ferrari ci racconta che negli ultimi anni in valle si è creato un gruppo di giovani che ha dato un grosso impulso alla valorizzazione del territorio. Come la pratica dell’escursionismo, nella forma che va al di là della semplice segnaletica e che promuove il trekking sociale. «Un esempio virtuoso è Il Cammino dei Ribelli: oggi grazie a un gruppo di collaboratori ha i suoi segnavia, ha ottenuto finanziamenti e collabora con il CAI: questo è un esempio di una bella sinergia tra persone e tra diverse realtà che si sono applicate in questo progetto».
Un altro esempio è poi il recente Ecomuseo dei Sette Ricordi, di cui Paolo è coordinatore, che ha come obiettivo quello di recuperare elementi etnografici che caratterizzano la cultura tradizionale del territorio. «Quasi in ogni paese delle nostre valli si trova un piccolo museo organizzato privatamente: una persona mette in mostra attrezzi e oggetti agricoli del passato, ma lo fa individualmente. Tutte queste realtà prima si ignoravano e oggi possono finalmente diventare parte di una rete che cerca di riunirle e valorizzarle».
Ma non solo. Le collaborazioni sul territorio sono capaci di superare la valle e le province: vedono relazionarsi progetti legati al mondo della musica, realtà che hanno ripreso a fare un’agricoltura tradizionale o che si occupano di allevamento. Persone e realtà che si riconoscono realmente parte dello stesso bene comune, al di là di qualsivoglia confine.
«Il nostro territorio è stato soggetto a dinamiche di popolamento e spopolamento numerose volte nel corso della storia. Per valorizzare queste valli non basta però che sia attrattivo il territorio di destinazione, deve essere repulsivo anche il territorio da dove la gente viene via. Questo potrebbe succedere ad esempio con i cambiamenti climatici, con il deterioramento sempre maggiore della qualità della vita nelle pianure o magari per un’epidemia come quella legata al Covid. In fondo, se da una parte questa potente riaffermazione di naturalità che ha interessato i nostri e altri territori rappresenta in maniera malinconica la fine del mondo contadino tradizionale, dall’altra offre un’incredibile risorsa per contrastare il degrado ambientale».
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