Conoscere per coesistere: la vicenda di JJ4 e i tanti interrogativi sugli orsi oggi
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Trento, Trentino Alto Adige - Nello specifico di JJ4, secondo me non dobbiamo cadere nella trappola delle due scelte, uccisione o reclusione e neanche deportazione. La sua cattura è stata decisa su una base emotiva, senza alcun senso logico o ragionamento etologico. […] La reintroduzione potrebbe facilmente avvenire nella stessa zona dove è stata catturata, magari lei può andare a ricercare i suoi figli/figlie, se si trovavano con lei al momento della cattura c’era evidentemente una ragione biologica. Reintrodurre è una prassi logica ed etologica, non un vago richiamo alla libertà. Poi saremo sempre in tempo a dirle: “Scusaci, ci siamo sbagliati a catturarti”.
Parliamo di orsi. Questo post dell’etologo Francesco De Giorgio, biologo e naturalista, pubblicato qualche giorno fa su Facebook ha suscitato in me un ulteriore slancio di curiosità nei confronti della vicenda che sta scaldando l’opinione pubblica da qualche settimana a questa parte. Dopo la cattura dell’orsa JJ4, ormai definita “assassina”, oggi si discute sul suo abbattimento.
E mentre l’Ordine dei Medici Veterinari di Trento prende posizione contro l’eutanasia, anche i colleghi lombardi supportano le considerazioni dei trentini: “L’orso risulta specie protetta tutelata con legge dello Stato. Alcune associazioni private si sono offerte di pagare l’eventuale costo di trasporto in altri spazi, anche al di fuori del territorio nazionale, senza alcun aggravio di spese pubbliche”. Perché quindi optare per l’abbattimento? Ho fatto due chiacchiere con Francesco De Giorgio per approfondire la sua posizione.
Oggi il dibattito sul tema è infiammato e alcune prese di posizione a difesa dell’orsa JJ4 vengono spesso tacciate di “animalismo”. Qual è secondo te in questa vicenda il confine tra la biologia e l’animalismo?
Questo in realtà è un argomento scientifico molto travisabile da una prospettiva animalista, mentre invece si tratta di pura biologia. Ogni orso ha un’importanza per la propria specie, quindi non esiste alcun esemplare sacrificabile “per il bene della specie” come dicono invece alcuni ecologi. Le linee guida internazionali che propongono soluzioni per i cosiddetti animali “problematici” costituiscono una direzione negoziabile e da valutare caso per caso, ma dal mio punto di vista sono inutili, perché non scongiurano la possibilità che arrivino altri esemplari con quegli stessi comportamenti.
Ogni specie è composta da tante diverse soggettività e anche solo sacrificare un esemplare significa non garantire quella specie, vuol dire sostanzialmente fare quello che si vorrebbe fare in teoria e che invece in pratica non si fa. D’altronde una specie non è fatta di numeri, ma di gruppi familiari, di legami, di socio-cognitività. Ogni orso ha diritto a essere orso, a essere quell’orso, e noi abbiamo il dovere di essere attenti al mondo in cui viviamo, di cui non abbiamo l’esclusiva.
Nel caso di JJ4 come valuti etologicamente il suo comportamento?
Assolutamente naturale, nella norma, un comportamento caratteristico di un’orsa con i cuccioli al seguito. Insomma, io non lo trovo anomalo. Il punto qual è? Spesso chi va a fare sport all’aria aperta considera la natura come una palestra, portando avanti attività che gli sembrano del tutto innocue, ma che a volte non lo sono. Per esempio, fare un trekking in un sentiero di montagna con il proprio cane libero irrita e spaventa gli animali nel bosco, dagli scoiattoli ai caprioli.
Muoversi in contesti naturali richiede un riassetto del nostro vivere il mondo, gli altri e noi stessi: la natura non va considerata una palestra, un centro benessere o una grande area cani. Mi chiedo perché allora non creare dei percorsi da praticare in accompagnamento a guide ambientali ma anche a “guide dell’animalità”, preparate per portare le persone proprio in questi luoghi?
Per esempio?
Posto che va ricordato che l’orso non ha tendenzialmente nessuna voglia di interagire con l’uomo – gli attacchi degli orsi si verificano raramente, quando vengono sorpresi, provocati o mentre difendono i cuccioli – potrebbe essere sufficiente legarsi un campanellino alla caviglia per farsi sentire, parlare ad alta voce se si è in gruppo per annunciare la propria presenza e non cogliere l’orso di sorpresa.
Poi anche dire che l’orso è un grande predatore non è del tutto corretto. Lui in realtà ci sta un po’ stretto nella categoria dei grandi carnivori: si nutre per lo più di bacche, semi, noci, radici, erba, insetti, pesci. Certo, può predare anche qualche capriolo se debilitato o qualche pecora se non adeguatamente protetta, ma mangia anche carcasse, assolvendo a una importantissima funzione ecologica di “pulitore del bosco”. Gli unici orsi veramente carnivori sono i Kodiak dell’Alaska e gli orsi polari. In questo senso trovo che si debba ragionare un po’ più scientificamente.
Secondo te, per una migliore convivenza, sarebbe opportuna una maggiore comunicazione con la cittadinanza?
Assolutamente. Non manca solo una corretta comunicazione alla popolazione, ma anche un monitoraggio delle persone che passano, per esempio, nel parco. Ci vorrebbe un investimento per fare una comunicazione adeguata anche nelle città, a Trento stessa, formando ragazze e ragazzi che potrebbero distribuire brochure informative con un decalogo di comportamenti da adottare all’interno del parco.
E poi per me è sempre molto importante l’educazione dei più giovani. Si potrebbero pianificare delle uscite nel bosco per insegnare ai più piccoli a “leggere” le tracce degli animali e a riconoscerne i segnali di passaggio. Non solo lavorare sulla comunicazione quindi, ma anche sulla formazione.
Per esempio sarebbe importante che i bambini imparassero a distinguere i diversi fruscii nel bosco, per capire se denotano il passaggio di una lucertola o di un serpente, oltre ad altre accortezze. Se sai riconoscere degli escrementi di orso, soprattutto se freschi, rallenti il passo, torni indietro piano piano e cambi sentiero. Sono accorgimenti piccoli ma essenziali da interiorizzare. Quello che manca è proprio la possibilità di camminare in un bosco esplorando il terreno alla ricerca di tracce: è biologicamente qualcosa di nostro, ma che abbiamo dimenticato.
Ti sento molto accalorato nel rispondermi: cosa ti infastidisce di più di questa vicenda?
Sono irritato con le istituzioni che, pur essendo responsabili della popolazione, non fanno adeguatamente informazione, non aiutano le persone a ragionare e non le guidano. Qui si dovrebbe ribaltare tutto il paradigma: ci vorrebbero architetti e ingegneri, che ri-pianifichino da zero le città, che inseriscano soluzioni semplici, economiche e sostenibili per facilitare la coesistenza con i selvatici. E poi abbiamo bisogno di menti nuove che facciano corretta informazione su questi temi per capovolgere tutto quello che sinora si è fatto e detto.
Se JJ4 si è comportata così, significa che ha provato un senso di insicurezza rispetto al contesto in cui si trovava in quel momento, questo non significa che sia un’orsa problematica o che sia stata colpa del runner: si è semplicemente creata una situazione “di incidente”. Mi viene quindi una riflessione: in quest’era di allerte di tutti i tipi, metereologiche in primis, perché non creare delle allerte stagionali, nel periodo delle cucciolate, dopo l’inverno, per chiudere determinate aree considerate più a rischio? D’altronde, gli attacchi spesso avvengono proprio quando ci sono i cuccioli da proteggere, i quali restano accanto alla mamma fino a un anno e mezzo circa.
Agganciandomi ai cuccioli di JJ4, se in quel momento erano insieme alla mamma c’era una ragione etologica, evidentemente avevano ancora bisogno di capire come evitare i pericoli, come evitare l’umano e come procurarsi da soli il cibo. Non basta che un cucciolo cammini da solo per considerarlo autonomo. Anzi, ora si trovano senza una madre che li indirizza, possono sviluppare comportamenti problematici. Proprio per questo, se si decide di perseguire la sicurezza come missione, sarebbe ancora più opportuno lasciare in equilibrio i gruppi animali.
L’opinione pubblica è divisa, ma sembra ci siano reazioni ancora più “di pancia” rispetto alla vicenda di M49: tu che ne pensi?
Sto in effetti rilevando un cambiamento culturale in corso, vedo prese di posizione nette e noto che la gente inizia a essere sempre più insofferente di fronte a queste decisioni drastiche nei confronti degli animali. Il mio lavoro ora è proprio quello di supportare questo cambiamento in atto.
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