I Calcaterra: “Così promuoviamo il cammino lento nei territori spopolati”
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Piacenza, Emilia-Romagna - Calpestare la terra, passo dopo passo, alla scoperta del mondo. Loro di impronte ne hanno lasciate tante in questi anni e i loro scarponi hanno attraversato le superfici più disparate: sentieri sterrati, prati, strade asfaltate, ponti, pietraie, argini dei fiumi. Li conosciamo come I Calcaterra, un gruppo variegato di guide ambientali escursionistiche, ma anche e soprattutto amanti del trekking e appassionati del loro territorio – di cui sono veri e propri custodi – o ancora “camminatori dei confini”. Infatti dal 2019, tra i vari percorsi, propongono anche un accompagnamento in natura nell’Area delle Quattro Province, a cavallo tra Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna.
Proprio qui, in questo territorio marginale dove i confini si confondono e l’Appennino domina la vista, I Calcaterra avvicinano giovani e adulti al cammino fatto con lentezza, facendo appassionare alle innumerevoli storie, agli aneddoti e alle curiosità che raccontano durante il percorso. A parlarci del progetto è Giuseppe Noroni, geografo, cartografo, guida ambientale e grande conoscitore del territorio delle Quattro Province, con il quale ci confrontiamo sul progetto de I Calcaterra e su cosa significa vivere in un territorio di confine.
Giuseppe, ci racconti quando nasce il progetto de I Calcaterra e da chi è composto?
I Calcaterra nascono per dare un’impronta territoriale più incline all’accompagnamento in natura, inteso come narrativa, racconto e divulgazione e sempre meno intesa in maniera sportiva e sfidante. Tutti i nostri eventi sono sempre molto inclusivi e uno degli obiettivi che ci siamo dati dall’inizio è rendere le nostre camminate fruibili a tutte le fasce della popolazione. Siamo un gruppo assortito composto da otto guide ambientali che hanno fatto un percorso formativo all’interno di canali Aigae, ovvero l’associazione italiana Guide Ambientali Escursionistiche, che è il punto di riferimento per la nostra categoria.
Del nostro gruppo fanno parte esperti ed esperte che hanno alle spalle un’attività di accompagnamento decennale: i fondatori del progetto sono Annalisa Guaraldo che è educatrice ambientale e Fabrizio Zaretti che di formazione è archeologo; poi, oltre me, ci sono Laura Ferrari, molto attiva in Val Trebbia e in Val Tidone, Valentina Cerroni, guida ambientale esperta della zona ligure e delle aree costiere, Giorgio Iacchetti, attivo nelle valli piacentine e sui laghi lombardi, Nicola Donetti, educatore ambientale molto attivo nelle attività con le scuole, e infine Antonio Silva, appassionato conoscitore di fauna selvatica e fotografo naturalista.
Che tipo di attività proponete?
Le nostre attività sono alimentate dalle diverse competenze e conoscenze di ognuno e ognuna di noi: c’è chi si occupa di aspetti naturalistici, chi di aspetti culturali o storici, chi si muove con la tenda e chi accende fuochi con un archetto. Proponiamo cammini per adulti nei weekend che durano uno o più giorni oppure attività con le scuole in zone diverse della provincia e nelle aree limitrofe, in pianura così come in Appennino.
Cosa rappresentano per voi il territorio e i suoi confini?
Parlando di confini, noi membri de I Calcaterra facciamo regolarmente attività in due o tre regioni: ad esempio c’è chi svolge attività a cavallo tra il crinale che divide Lombardia ed Emilia Romagna o chi propone escursioni sui sentieri che arrivano fino al confine con Piemonte e Liguria, come le antiche Vie del sale o chi con viaggi che dalla Liguria puntano al mare. Sono questi i territori a cui apparteniamo: io ad esempio sono cresciuto a Bobbio, un centro importante dal punto di vista turistico che si trova in Val Trebbia. Intorno ai centri maggiori però sono presenti vaste aree che sono fortemente marginali e frammentate.
Per questo ci piace l’idea di poter creare delle proposte nelle zone che sono state storicamente più colpite dallo spopolamento, dove si stanno facendo largo piccole realtà produttive ed economiche che vivono a cavallo delle Quattro Province. Muovendoci sul territorio dell’appennino, quindi, abbiamo creato in questi anni una serie di collaborazioni con piccole realtà del territorio che ci piace coinvolgere e far conoscere.
A proposito del tema dei confini, in che modo tu intendi il concetto di “confine” sul territorio? Ci fai qualche esempio?
Tutte le volte che si parla di “confine” nelle Quattro Province mi vengono subito in mente le montagne, che noi guide spesso prendiamo come punti di riferimento per orientarci nelle nostre escursioni. In questi anni è capitato tante volte di conoscere persone che sono cresciute dall’altra parte, sul versante opposto, delle stesse montagne in cui sono cresciuto io – penso ad esempio al Monte Penice, al Monte Chiappo, al Monte Lesima – magari in un’altra provincia o addirittura in un’altra regione. Testimonianze diverse ma che suonano molto “familiari”, con tracce e significati che si mescolano e si ripetono.
Le storie, i detti o le musiche popolari di quando si era piccoli riecheggiano in forme diverse, ma emergono molti aspetti in comune, come ad andare a rimarcare il fatto che questo confine amministrativo, che spesso nella zona dell’appennino corre sulle montagne, in realtà è superato dalla cultura e dalle tradizioni che ci accomunano. È come se noi tutti abitanti delle Quattro Province – espressione evocativa oggi molto in voga anche tra i locals – fossimo cresciuti all’interno di un più ampio territorio che supera le singole divisioni amministrative.
Nonostante i confini, percepisci una continuità e una voglia di collaborare sul territorio?
Tutte le zone che frequento come escursionista sono caratterizzate da eventi che ritrovano nelle tradizioni, nella musica, nelle danze o nei dialetti molta della cultura popolare di questo territorio. Capita spesso ad esempio che nei paesi delle Quattro Province cantori e suonatori di piffero, piva o fisarmonica varchino con regolarità il confine regionale – anche più volte nella stessa giornata, come capita ad esempio nel periodo dei Cantamaggio – per partecipare a feste ed eventi, in cui valori, memoria storica e modi di fare sono evidentemente figli di una radice comune.
Mi vengono poi in mente zone che appartengono a regioni diverse dove il dialetto è praticamente lo stesso e i modi dire si ripetono, si mescolano e si diffondono, un po’ come succede per la cucina casalinga. Dal punto di vista culturale questo permette di sentirci vicini: è la familiarità culturale che accomuna questo territorio.
Percepisci, all’opposto, delle spaccature?
Se consideriamo gli aspetti pratici della vita di tutti i giorni, sì, ci sono delle spaccature: riporto l’esempio del Sentiero del Tidone, un itinerario escursionistico che accompagna tutto il correre del torrente. Una parte dell’itinerario si snoda in territorio lombardo, dove si trova la sorgente, mentre una parte in territorio piacentino, dove si trova la foce.
Per chi decide di muoversi con il trasporto pubblico e raggiungere il Km 0, ovvero la partenza dell’itinerario, c’è da superare l’ingombrante scoglio degli scarsi collegamenti tra zone marginali di un territorio amministrativo e l’altro. Mancano infatti connessioni dirette e il disagio si avverte anche per chi, banalmente, deve andare a scuola o al lavoro tutti i giorni. Da inguaribile ottimista, quello che noto però, a fronte di queste mancanze, è la voglia di ovviare a questi limiti che effettivamente esistono, soprattutto a cavallo della montagna. Così sono nate nel tempo soluzioni che possono essere creative e che intendono ridurre l’impatto di questi problemi.
Come percepisci il tema dello spopolamento in quest’area?
Negli ultimi anni tutta quest’area, dopo essere stata oggetto di un forte spopolamento, sta vedendo nuove migrazioni che hanno portato persone, anche giovani, a popolare zone altrimenti vuote. Le modalità sono diverse e ormai molto note: chi cerca ristoro nella seconda casa, chi riesce a ritagliarsi un weekend lungo grazie allo smart-working, expats che rientrano per iniziare una nuova vita in Appennino e questi ultimi sono i nostri preferiti! Una leggera contro-tendenza che sta stimolando positivamente il territorio, che si porta dietro una nuova ventata di idee e, perché no, a volte anche qualche cambiamento.
La mia convinzione è che approcci diversi alla vita in Appennino diventino il vero motore di un territorio che ha un gran bisogno di nuova linfa e che sempre più di frequente si compia quella “scelta d’amore” – tanto raccontata in questi anni di riscoperta, compiuta da chi resta o chi arriva – per cui si è disposti a mettersi in gioco in maniera creativa e propositiva. Questo è anche lo spirito con cui nasce il progetto I Calcaterra: per portare attenzione sui fenomeni, sulle storie, sui significati e tutte le preziose ricchezze di cui questo territorio si colora.
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