Harnet Streets: riconoscere le tracce del colonialismo italiano con la voce della comunità eritrea a Roma
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Roma, Lazio - Nel curare la tematica “decoloniale” per la sezione Ispirarsi di Hangar Piemonte abbiamo individuato alcune “buone pratiche”, esperienze che fanno la differenza, laddove in generale si fa fatica a riconoscere semplicemente l’assetto transculturale delle nostre società. Nella scelta del “come” raccontarle ho riflettuto sul fatto che il formato intervista non mi fa sentire a mio agio. Per me è molto importante non esercitare nessuna forma di “potere” rispetto allo spazio enunciativo. Gli spazi di enunciazione sono quasi sempre gestiti da persone euro-discendenti che “danno voce” agli “altri”.
Vorrei che la mia posizione non fosse quella di “dare voce”, ma quella di “aprire uno spazio”. La differenza sta nel fatto che la prima posizione implica che il controllo del discorso resti il mio, mentre la seconda implica un’autonomia dei soggetti coinvolti, che non restano “oggetti” del mio discorso, ma sono soggetti del loro stesso discorso. È uno stare accanto, in una relazione di co-autoralità. Per questo mi limito a scrivere questa piccola intro, per poi “passare il microfono” al Collettivo Tezeta.
Roma conserva molte tracce della storia del colonialismo nelle architetture, nei monumenti e nell’odonomastica. Uscendo dalla stazione Termini, vi sarà capitato di trovarvi a Piazzale dei Cinquecento e di chiedervi chi sono questi cinquecento a cui è intitolato uno dei luoghi più frequentati della città. La targa non lo dice. Lo dice un monumento poco lontano, che ricorda i caduti (italiani) nella battaglia di Dogali. O meglio, la sconfitta di Dogali del 1887, una sconfitta trasformata in “esempio di fulgido eroismo” (Triulzi in Borelli, Memoria necessaria, Viaindustriae, 2022).
La Storia viene raccontata dai vincitori. Molte storie e punti di vista vengono silenziati nella costruzione di una memoria pubblica. Anche in Italia è in atto da anni un processo di ri-significazione delle tracce più problematiche e violente dell’imperialismo, che ha disegnato di simboli coloniali i luoghi in cui dovremmo tutte/i riconoscerci come comunità. Il racconto della storia attraverso i simboli, i nomi, le architetture e i monumenti non è un esercizio legato al passato, ma parla sempre al presente: serve a dirci chi siamo oggi. Il passato spesso non passa, ma continua a illuminare o gettare ombre sul nostro presente.
NARRAZIONI ERITREE NEL “QUARTIERE AFRICANO” DI ROMA
Tezeta è un’associazione interdisciplinare, parte della rete Yekatit 12-19 febbraio e della Federazione delle Resistenze, che svolge attività di ricerca, disseminazione culturale e didattica nel territorio romano, occupandosi della storia del colonialismo italiano e del fenomeno migratorio contemporaneo. Obiettivo principale dell’associazione è favorire la conoscenza dei rapporti tra Eritrea e Italia dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi.
In tigrino, Tezeta vuol dire nostalgia, ma anche memoria, desiderio. Harnet Streets invece – nome del primo progetto dell’associazione – può essere tradotto con “strade di liberazione” ed evoca la strada principale di Asmara, Harnet Avenue, che ha cambiato nome più e più volte nel corso del tempo. La “s” finale di Streets aggiunge un richiamo alla pluralità. Harnet Streets: contro-mappe eritree in Roma è un progetto volto alla creazione di una “contro-mappa” partecipata del quartiere africano – un’area del quartiere Trieste così chiamata non in virtù di una significativa presenza “multietnica” ma poiché raccoglie ben 49 odonimi legati alla geografia delle ex-colonie –, che fa della toponomastica coloniale uno stimolo narrativo e l’oggetto di un passato da problematizzare attraverso pratiche di risemantizzazione collettiva.
Questo per dare nel nostro piccolo uno spunto di riflessione di un marchio indelebile sulla coscienza della collettività che ha segnato le memorie per sempre, ma per il quale manca una qualche significativa responsabilità. Il progetto è suddiviso in due fasi distinte: una prima fase di contro-mappatura partecipativa, ovvero di produzione ed elaborazione della contro-mappa del quartiere tramite raccolta di testimonianze, e una fase successiva di restituzione e condivisione degli elaborati prodotti alla cittadinanza, tramite trekking di gruppo.
La raccolta delle testimonianze orali avviene appunto nel quartiere africano, in quelle che chiamiamo “passeggiate narrative”: lunghe camminate in compagnia di persone eritree alla ricerca degli otto odonimi che rimandano all’Eritrea contemporanea – via Agordat, via Asmara, via Assab, via Cheren, via Dancalia, via Massaua, via Senafè, viale Eritrea – attraverso i quali parlare di storia dell’Eritrea, di legami, lasciti e ferite del colonialismo italiano nella ex-colonia “primogenita”, di migrazioni recenti e passate, e di molto molto altro ancora.
Questa prima fase vuole offrire anche un momento protetto per rielaborare il riannodarsi dei fili strappati con l’esperienza del viaggio: la riflessione sul proprio percorso e la narrazione di sé attraverso i luoghi permettono di creare una continuità tra questi differenti universi temporali, geografici e culturali.
VERSO NUOVE STRADE DI LIBERAZIONE
Ci sono città, ed è il caso della capitale eritrea, le cui strade hanno cambiato nome più volte nel corso del tempo in ragione dei diversi contesti storico-politici. Nomi spesso in antagonismo tra loro. E ci sono invece città, ed è il caso del quartiere africano di Roma, i cui odonimi coloniali son rimasti tali e quali nel tempo. Letteralmente scolpiti nel marmo delle loro targhe. Ma – e qui sta il paradosso – nonostante la cristallizzazione degli odonimi che non cambiano, a cambiare giorno dopo giorno sono stati gli occhi presenti per leggerli, restituendone negli anni letture parziali, incomplete ed erronee.
Spesso i nomi sulla pelle delle nostre città restano muti al passante. Capita di parlare con persone del quartiere africano che non conoscono la vera origine coloniale dell’aggettivo. Questo perché a partire dal secondo dopoguerra, incominciò quello che diversi storici hanno indicato come una vera a propria rimozione di quel passato, liberale e fascista, “e una volta slegato il nome geografico dalla memoria degli eventi coloniali, ci restano solo luoghi dal sapore esotico” (Laura Ricci, La lingua dell’Impero. Comunicazione, letteratura e propaganda dell’età del colonialismo italiano, Carocci 2008, p. 192).
Oggi, forse più che in passato, quei 49 nomi possono ancora aiutarci a scalfire la rimozione che li ha silenziati. Possono essere riletti in controluce e con sguardi plurali, con le persone che provengono da quei luoghi a cui quegli stessi odonimi rimandano a casa a Senafè, Massaua, Cheren, Asmara, Dancalia, Agordat, Assab, Eritrea. Sono luoghi di un passato scomodo e violento, ma anche luoghi del presente: città e paesi lasciati ieri, oggi, domani da persone spesso in cerca della Harnet impossibile da trovare in patria (Gabriel Tzeggai, Il sapore della libertà, in Dirar, Palma, Triulzi, Volterra, a cura di, Colonia e postcolonia come spazi diasporici. Attraversamenti di memorie, identità e confini nel Corno d’Africa, Carocci 2011, p. 294-295).
Le vie hanno un utilizzo molteplice, vengono percorse sia per far emergere le memorie che per condividerle tramite dei trekking collettivi aperti alla cittadinanza. Quest’ultima attività è in particolar modo rivolta alle scuole di ogni ordine e grado: durante i trekking le testimonianze audio vengono riproposte in montaggi tematici usufruibili tramite QR-code e accompagnate da pannelli di contestualizzazione storica, da giochi di gruppo e da una merenda eritrea, per mettere in gioco il corpo e i sensi dei partecipanti. La pratica del cammino attraverso il paesaggio urbano permette di attivare un profondo coinvolgimento che aiuta a problematizzare l’eredità materiale e immateriale del colonialismo italiano. Augurandoci che, con il tempo, ci siano sempre più “strade di liberazione”.
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.
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