Gianluca Gotto e quell’uomo con una tunica e una scopa che gli ha cambiato la vita
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Gianluca Gotto è in giro per l’Italia, ospite di librerie e centri culturali, per presentare il suo ultimo libro Profondo come il mare, leggero come il cielo, un viaggio di scoperta dentro sé stessi per ritrovare la propria serenità attraverso gli insegnamenti e la pratica del buddismo zen. Il focus è incentrato sul quesito: si può possedere tutto ciò che si desidera e credere di essere forti, sereni e in equilibrio per poi scoprire un giorno, in cui la vita ci mette il bastone tra le ruote, di essere interiormente fragili?
Per Gianluca sembra proprio di sì: «La serenità è un processo di conquista interiore indipendente da ciò che accade o realizziamo all’esterno». Siamo stati a una delle sue presentazioni, sempre interessanti e gremite di pubblico e condividiamo con voi il suo racconto arricchito di aneddoti della sua recente storia personale. «Mi trovavo nel momento più felice della mia vita in assoluto. Il momento in cui mi sentivo più appagato, in cui avevo ottenuto tutto quello che desideravo conquistare e realizzato gran parte dei miei sogni, soprattutto, quelli più improbabili».
«Improvvisamente – continua Gianluca – è successo che un giorno una zanzara posandosi sulla mia pelle mi ha trasmesso la dengue. In quel momento io non realizzai ciò che mi stava accadendo perché ero concentrato a vivere al massimo la vita che ero riuscito a conquistarmi, il mio sogno, quindi non diedi ascolto ai primi sintomi. Iniziai a sentirmi molto male, molto debole, e a ritrovarmi una mattina a non essere in grado di alzarmi dal letto».
È stato durante il suo ricovero in ospedale che Gianluca dice di essersi accorto di una cosa importante: «Tu puoi conquistare tutto quello che vuoi intorno a te – il lavoro e la vita dei tuoi sogni, la donna della tua vita, puoi vivere nei luoghi perfetti per te – ma se dentro di te non sei a posto, se nella tua mente non sei a posto, è tutto inutile. È come avere il paradiso attorno a te mentre dentro hai l’inferno. Quindi tu vivi nello stato che hai dentro e non fuori».
Gianluca se n’è reso conto per la prima volta perché quando è stato dimesso la sua vita era la stessa di prima, era perfetta come prima, però era cambiato tutto. «Quindi che cosa era cambiato se nulla era cambiato intorno a me? Era cambiato tutto dentro di me. Era cambiato il modo in cui io guardavo e percepivo la vita nei miei pensieri, nel mio stato d’animo, nel mio mondo interiore che era stato messo sottosopra. Quindi mi sono reso conto che non avevo una soluzione».
«Ogni volta che io nella vita avevo riscontrato un problema o semplicemente avevo sperimentato un certo tipo di sofferenza – aggiunge – cambiavo le cose intorno a me: città, lavoro, amicizia, abitudini, stile di vita. Tutto ciò aveva sempre funzionato fino a quel momento. Si tratta di una cosa importantissima, va fatta ma non possiamo pensare che sia sufficiente perché nella vita ci sono tante forme di zanzare che possono arrivare un giorno all’improvviso, pungervi e trasmettervi qualcosa che fa crollare tutto. Nel mio caso la felicità era sicuramente reale ma se era bastata una zanzara a far crollare tutto, significa che ero anche molto fragile».
Gianluca si è sono reso conto di questo ed è letteralmente andato nel panico perché si è accorto di non avere una soluzione: «La mia vecchia soluzione, quella che aveva funzionato per quasi dieci anni della mia vita, di cambiare le cose intorno a me, non funzionava più. Ho anche provato ma non serviva a nulla perché per quanto io avessi conquistato qualcosa al di fuori di me, dentro andavo a fuoco. Dovevo trovare un modo per curarmi dentro e non per curare il mondo intorno a me».
C’è un proverbio indiano che dice “è più saggio indossare dei sandali che tentare di ricoprire il mondo di tappeti” ed «era quello che avevo fatto fino a quel punto della mia vita. Ma in quel momento dei tappeti validi non ne avevo a disposizione. Dovevo costruire dei sandali. Dovevo costruire qualcosa che fosse mio e di nessun altro. Dentro di me. Ho cercato varie soluzioni, molte non hanno funzionato e questo aumentava ancora di più la mia sensazione di disperazione. In quei giorni l’unico sollievo che provavo era svegliarmi prestissimo al mattino, camminare per Bangkok senza meta per sentirmi più veloce dei miei pensieri».
Una mattina, particolarmente dura, gli capitò di incontrare una persona. In realtà di persone ne aveva viste tante ma non le aveva mai viste per davvero. «Quella mattina mi fermai a osservare un uomo. Era un monaco buddista. Non stava facendo niente di eclatante. Non era in meditazione, non stava facendo nulla. Stava semplicemente pulendo l’ingresso del suo tempio con una scopa, ma il sorriso che aveva sul suo volto alle 5 di mattina mi cambiò, perché in quel sorriso vidi una possibile soluzione. Quel monaco era in grado di stare bene indipendentemente da ciò che succedeva intorno a lui».
Nel suo sorriso Gianluca scovò ciò che lo avrebbe aiutato in quel momento, cioè un percorso che gli sarebbe servito per arrivare a quel punto: essere sereno. Non essere felice. «Quell’uomo non aveva niente che avevo io. Non aveva la donna dei miei sogni, non aveva il lavoro dei miei sogni, non aveva la vita dei miei sogni. Era solo con una scopa, una tunica arancione eppure sembrava essere la serenità fatta persona. Allora io dovevo investigare, mi avvicinai a lui e rimasi così folgorato da questi occhi, questa sua aurea che mi trasmetteva talmente tanta felicità che riuscii a fargli solo un sorriso e a non dire nulla di tutto ciò che avrei voluto dirgli».
Il monaco disse a Gianluca di seguirlo e lo portò nella parte interna, nascosta del giardino, dove iniziò a parlargli di un uomo che visse 2500 anni fa, Siddartha, che a un certo punto decise di dedicare tutta la sua vita a un solo scopo: aiutare l’umanità a superare la sofferenza. Ma quale sofferenza? Quella legata all’amore, al lavoro, fisica? «No, lui diceva che c’è la sofferenza alla base di ogni essere umano. Ognuno di noi per il semplice fatto di essere in vita porta con sé della sofferenza, si chiama dukkha, Questa sofferenza ci impedisce di realizzare la nostra vera natura».
«La nostra natura è quella di essere sereni, di essere calmi e di essere buoni verso gli altri, ma noi non riusciamo a farcela perché siamo costantemente coinvolti in questa lotta con il dukkha, con questa sofferenza esistenziale. Quindi prima di risolvere una sofferenza specifica – mi mancano i soldi, mi manca l’amore, mi manca il lavoro, mi manca la salute, ho perso mio figlio, ho perso mio padre, il lavoro – dobbiamo risolvere il dukkha cioè questa insoddisfazione. In questo modo riusciremmo a essere sereni indipendentemente da ciò che ci succede».
Siddartha decise di fare una cosa rivoluzionaria, soprattutto per i tempi in cui viviamo e in cui andiamo sempre di fretta, veloci. Lui decise di fermarsi. Vide un albero, si sedette ai piedi di quell’albero e decise di chiudere gli occhi e meditare finché non avesse trovato una soluzione a questa sofferenza, insoddisfazione. Rimase in meditazione con gli occhi chiusi per 49 giorni di fila finché una notte di luna piena trovò l’illuminazione, la soluzione alla sofferenza umana. Quando si risvegliò, Siddartha era diventato il Buddha, che significa risvegliato. Da quel momento dedicò la sua vita ad aiutare gli altri a smettere di soffrire.
«Quella storia sembrava scritta apposta per me, per quello che stavo attraversando. Quel monaco mi raccontò quella storia che è scritta per ognuno di noi. Quindi lui decise di donare quello che aveva visto meditando, cioè un percorso che chiunque può seguire e che lui descrisse sotto forma di quattro grandi verità di cui è protagonista il buddismo». E quali sono queste quattro grandi verità? Ne parleremo più avanti, proseguendo anche il racconto del viaggio che ha portato Gianluca dov’è ora.
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