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«Se non si troveranno soluzioni credibili alla tendenza verso la polarizzazione delle attività innovative in poche grandi città, la crescita delle disuguaglianze rischia di mettere in crisi quel modello di capitalismo imprenditoriale che abbiamo conosciuto nelle democrazie liberali». Inizia così il saggio Periferie Competitive – Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza. Gli autori, Giulio Buciuni e Giancarlo Corò, prendono in esame le dimensioni e le principali ragioni della divergenza tra centri e periferie, che costituisce una delle più insidiose forme di diseguaglianza nelle economie avanzate, mettendone a rischio l’assetto democratico.
Se in passato l’attenzione agli squilibri economici si concentrava prevalentemente sul differenziale tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, oggi lo scarto di prosperità si registra sempre più all’interno dei confini nazionali. Questa tendenza si nota un po’ ovunque ed è molto forte anche in Italia, dove il divario centro-periferia – intese non solo tanto dimensioni urbane, quanto piuttosto come poli di accentramento di ricchezza, servizi, popolazione, potere – rischia di ampliarsi sempre di più.
I “LUOGHI CHE NON CONTANO”
Secondo le evidenze fornite dagli autori, il modello di sviluppo economico basato sull’innovazione ha in realtà premiato un numero ristretto di luoghi – dalla Silicon Valley a New York, da Londra a Dublino, da Berlino a Milano – in cui si sono concentrati i migliori talenti e il capitale finanziario. Questo modello ha tuttavia raggiunto un punto di rottura. La minore possibilità di accesso dei ceti medi ai vantaggi economici e sociali dell’innovazione ha minato la coesione sociale, alimentando quel risentimento politico che l’economista Andrès Rodriguez-Pose ha riassunto come “la vendetta dei luoghi che non contano”.
E questi “luoghi che non contano” in Italia sono sempre di più: periferie urbane, borghi spopolati, territori di confine difficilmente raggiungibili. Eppure sembra che la tendenza si stia invertendo e sono diversi i progetti che intervengono su queste aree per valorizzarle, riqualificarle, riportare alla luce la bellezza e la ricchezza sociale che custodiscono.
Da progetti di rete di imprenditoria in montagna al lavoro sull’educazione giovanile nelle periferie, fino agli studi antropologici che analizzano le ragioni di questo degrado, sono molte le iniziative da segnalare – qui abbiamo fatto una panoramica. In questa opera, un ruolo chiave lo riveste la digitalizzazione e come viene fatta.
IL RUOLO DELLA DIGITALIZZAZIONE
«Molti si attendevano che i processi di digitalizzazione dell’economia avrebbero diffuso le opportunità di crescita, riducendo la distanza tra aree centrali e periferiche», affermano Buciuni e Corò. «La realtà è stata molto diversa, con una accentuazione dei divari tra centri metropolitani e aree periferiche che ha creato fratture sociali e politiche sempre più difficili da rimarginare. Da un lato città attrattive e progressiste, dove accorrono i talenti e si concentra il capitale finanziario, dall’altro periferie urbane e rurali nelle quali si è perso il senso del futuro e dove sta montando un pericoloso risentimento politico».
Il quadro che emerge aiuta a capire la spinta ai processi di polarizzazione impressa dall’economia della conoscenza, ma anche gli elementi su cui agire per creare “periferie competitive” e ristabilire condizioni di maggiore equilibrio nella distribuzione territoriale dei fattori critici dello sviluppo. Come infatti spiegano gli autori, uno sviluppo territoriale più equilibrato, sostenibile e inclusivo è possibile. A partire da un rapporto più forte tra imprese e sistema educativo, in particolare l’Università.
Il libro documenta alcuni interessanti casi – negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia – di territori periferici che hanno saputo rilanciare il proprio sviluppo e generare innovazione grazie a un insieme di competenze distintive, centri formazione specializzata, investimenti multinazionali e una finanza locale che sostiene la nuova imprenditorialità. Al contrario, concludono Buciuni e Corò, «contrapporsi alla polarizzazione dell’innovazione attraverso politiche regressive – come sono quelle protezionistiche – non può che portare, alla fine, a una perdita per tutti, periferie comprese».
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