Dambe so: in Calabria c’è un ostello sociale che combatte il lavoro nero
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Reggio Calabria - Nella piana di Gioia Tauro da un anno c’è un ostello sociale che restituisce dignità ai lavoratori braccianti nella fredda stagione della raccolta. E pratica turismo solidale nei mesi più caldi, quando le campagne si svuotano e resta pochissimo da lavorare, persino nello sfruttamento. Per questo chi ha dato vita al progetto ha scelto il nome Dambe So e cioè “casa della dignità” in lingua bambarà, una delle più diffuse nell’Africa occidentale.
Siamo nel quartiere Era Nova di San Ferdinando, dove un vecchio albergo in disuso e abbandonato è stato riqualificato grazie all’iniziativa di Mediterranean hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche e realizzato grazie a diversi finanziamenti ad hoc. In soli due anni sono stati ripristinati abbastanza appartamenti da accogliere 21 braccianti e, dal prossimo inverno, terminati i lavori nell’altro piano, la struttura potrà ospitare fino a 42 lavoratori.
Prima di proseguire però è bene fare un piccolo passo indietro. Ricordate la rivolta di Rosarno del 2010? Da allora baraccopoli e ghetti si sono susseguiti senza sosta, tra sgomberi e riapparizioni, mentre migliaia di braccianti continuano a raccogliere gli agrumi calabresi in condizioni di schiavitù o immersi nel “lavoro grigio”. Nulla è cambiato nel sistema che ci piace definire “capitalismo criminale”, dove la grande distribuzione incontra lo sfruttamento organizzato. Proprio lì, nel punto esatto in cui la filiera che comprime i salari incontra la frontiera che comprime i diritti.
Eppure in questi anni tra Rosarno e San Ferdinando la cittadinanza ha sopperito come ha potuto al vuoto istituzionale: dall’hospitality school, una scuola di italiano nata nel 2018 a pochi passi dal ghetto di Rosarno, al Giardino della Memoria, un parco rigenerato in ricordo dei braccianti della Piana che hanno sacrificato la vita nella lotta per i diritti. Tutti i braccianti: da Giuditta Levato a Soumaila Sacko. O ancora come Sos Rosarno, l’alleanza di piccoli contadini, braccianti, attivisti, piccoli artigiani e operatori di turismo responsabile. E adesso in questo faticoso ma resistente lavorìo, c’è anche Dambe so, una filiera di accoglienza che tiene al centro i lavoratori e i loro diritti.
«Sperimentiamo un modello alternativo ai campi di accoglienza, alle baraccopoli e alla logica dell’emergenza, un’alternativa ai ghetti di Rosarno, San Ferdinando e Taurianova», ci racconta Francesco Piobbichi, responsabile del progetto. Piobbico, come lo chiamano tutti, è perugino di Umbertide e ha scelto di vivere in Calabria quattro anni fa. Perché questo, ne è convinto, «è il luogo ideale in cui costruire pratiche di mutualismo. Non è vero che qui fa tutto schifo», spiega mentre ci accompagna a visitare la struttura.
Al piano terra troviamo gli spazi comuni, dalla lavanderia fino a una saletta pronta ad accogliere una radio che dia voce alle notizie dei paesi di origine dei braccianti stranieri. Ai piani superiori ci sono gli appartamenti abitati dagli affittuari che vivono in autogestione. Proprio così, affittuari, perché Dambe so non è uno spazio gratuito ma i lavoratori contribuiscono alle spese con una quota di 90 euro al mese.
Solidarietà, sostenibilità ed economia circolare sono le vie maestre di questo progetto. Oltre ai contributi dei lavoratori infatti, una parte dei costi è sostenuta dalla quota sociale proveniente dalla vendita delle arance della filiera di Etika, un progetto sostenibile dal punto di vista ambientale e dei diritti dei lavoratori, che Mediterranean hope costruisce insieme a SOS Rosarno: «Puntiamo a una rete di acquisto tra le chiese e il mondo associativo che garantisca un prezzo equo per chi lavora e contribuisce all’accoglienza dei lavoratori». Il progetto insomma non pesa e non vuol pesare sullo Stato ma redistribuire i profitti all’interno della filiera.
L’ostello punta a far convivere la dimensione mutualistica con i diritti del lavoro e forme basilari di welfare. Proprio come nelle prime forme di società di mutuo soccorso, le prime camere del lavoro romagnole dell’ottocento e il sindacalismo rivoluzionario americano dell’Industrial Workers of the World [Lavoratori Industriali del Mondo, ndr]. Allora – erano i primi del Novecento – si combatteva contro una tradizione corporativa razzista nei confronti degli immigrati e disinteressata verso i lavoratori non qualificati. Oggi, decenni dopo e dall’altra parte del mondo, l’obiettivo è di fatto lo stesso.
Perciò, i lavoratori che abitano Dambe so non solo possono contare su un’abitazione dignitosa al ritorno dalle fatiche nei campi, ma anche sull’assistenza per transitare dal lavoro “nero” o “grigio” al lavoro pieno. La questione del lavoro grigio è determinante in Calabria: spesso i braccianti stranieri vengono assunti con un regolare contratto, ma a fine mese hanno in busta paga meno giornate di quelle lavorate.
Con questo sistema, oltre alla riduzione del denaro guadagnato, c’è anche una privazione di diritti: per esempio, non possono accedere ai sussidi come la disoccupazione o dimostrare alle istituzioni il diritto di avere il regolare permesso di soggiorno. Senza contare che, con il nuovo decreto Cutro che toglie la “protezione internazionale” a molti di loro, la strada del sommerso e dello sfruttamento sarà certamente la favorita. Dambe so è quindi un segnale alla politica: «Con la nostra presenza dimostriamo che è possibile smontare la logica dei ghetti e dell’emergenza», dice Piobbico.
Nei mesi estivi, quando gli appartamenti si svuotano insieme ai campi di raccolta, Dambe so apre le porte ai turisti responsabili e solidali. «Collaboriamo con le associazioni non profit del territorio che, tra le altre cose, sono anche impegnate nella promozione dei prodotti locali». In Calabria anche un’altra vacanza è possibile.
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