12 Mag 2023

Beyond Growth: quale futuro immaginare per gli oceani?

Scritto da: Benedetta Torsello

Come arrestare la crescita infinita in un mondo dalle risorse finite? Chiara Fracasso di Seas At Risk ci porta nell’habitat più esteso del nostro pianeta – l’oceano – per provare a capire quale sia il futuro degli ecosistemi marini e costieri oltre la crescita, beyond growth. L'occasione per farlo e dare attuazione pratica alle teorie elaborate sarà un incontro che si terrà a Bruxelles dal 15 al 17 maggio.

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In quello che non si prospetta essere di certo il migliore dei mondi possibili, da qui ai prossimi dieci o vent’anni, stravolgere un paradigma radicato come quello della crescita economica illimitata e calcolata sulla base del Prodotto Interno Lordo, è una sfida complessa ma necessaria. Con l’idea di immaginare e provare ad attuare linee di azione per un mondo post-crescita, che combini il benessere sociale e lo sviluppo economico, a Bruxelles il Parlamento europeo ospiterà una tre giorni – 15,16 e 17 maggio 2023 – per co-progettare delle politiche mirate alla prosperità sostenibile in Europa.

Beyond Growth appunto – questo il titolo scelto per la conferenza -, oltre un’idea di crescita sbagliata rispetto alle sfide di oggi. La conferenza è stata pensata come un’opportunità unica, che proprio nel cuore dell’Europa coinvolga tutte le parti interessate, dalle istituzioni coinvolte nei processi decisionali dell’Unione Europea al mondo della ricerca, dalle parti sociali alle organizzazioni della società civile.

Si è deciso di partire da diverse domande a cui si proverà a dare una risposta attraverso un ricco programma di incontri che si succederanno nel corso delle tre giornate. Dalle possibili politiche necessarie ad affrontare le odierne sfide ambientali, sociali ed economiche, a quale narrazione adottare per spostare il focus dal concetto di crescita – intesa nella maggior parte dei casi in termini economici e di PIL – a quello di prosperità.

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Trovare delle risposte soddisfacenti, è una sfida ambiziosa e per farci un’idea di cosa accadrà tra qualche giorno a Bruxelles, abbiamo intervistato Chiara Fracasso, che lavora come Junior Shipping Policy Officer per la ONG Seas At Risk, dove si occupa di politiche climatiche e giustizia sociale. Seas At Risk – che organizzerà un panel tematico nell’ambito di Beyond Growth – promuove in particolare politiche di protezione degli ecosistemi marini e costieri, che tengono conto delle comunità, nell’ottica di preservare la vita negli oceani e nei mari dalla minaccia di qualsiasi attività umana.

Cosa ti ha spinto a unirti a Seas At Risk?

Un forte senso di urgenza. La volontà di fare qualcosa rispetto alla crisi ecoclimatica e sociale che stiamo vivendo mi ha spinto a cercare un lavoro che puntasse a ridurre l’impatto umano sulla Terra e che al contempo si occupasse di giustizia sociale. Le emissioni del settore dei trasporti via mare riguardano i commerci globali, equilibri geopolitici, giustizia ambientale e sociale: è un lavoro trasversale e sistemico. La mia è stata una scelta mossa da un senso di responsabilità verso l’ambiente e la collettività. Anche perché un respiro su due che facciamo è proprio grazie all’ossigeno prodotto dagli oceani. È urgente occuparsi della loro salute: ne va della nostra.

Come si inserisce l’impegno di Seas At Risk nel quadro delle tematiche su cui è incentrata la Beyond Growth?

Seas At Risk lavora per un cambio sistemico. Il paradigma della crescita infinita all’interno di un sistema finito non è compatibile con la vita della nostra stessa specie su questo pianeta. È necessario un cambiamento strutturale e credo che la Beyond Growth abbia il potenziale di innescare sinergie e collaborazioni per questo tipo di cambiamento. Uno dei progetti a cui lavoriamo punta a cambiare la narrazione che promuove unicamente la crescita economica con una prospettiva che mette l’economia stessa al servizio della società e del pianeta.

L’industria dei trasporti marittimi in particolare gioca un ruolo chiave – le emissioni di questo settore infatti sono pari al 3% delle emissioni totali, equivalenti a quelle di Germania o Giappone – perché rende possibile il commercio globale, fa girare l’economia e ci permette di avere i prodotti che usiamo tutti i giorni. Quindi ha un impatto importante su tutti gli altri settori dell’economia: le navi portacontainer, ad esempio, trasportano il 90% di tutte le merci scambiate nel mondo. La nostra è una visione di un mondo con consumi equi, porti sicuri, commercio sostenibile. Un mondo di cui tutti vogliamo far parte.

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Si parla in alcuni casi di “corsa all’oro blu”: quali sono le principali minacce per gli ecosistemi marini di un modello basato sulla crescita e non sulla prosperità?

È in atto un processo di industrializzazione degli oceani che sta mettendo a rischio l’equilibrio di ecosistemi marini e la loro capacità di autorigenerarsi. Settori come i trasporti marittimi, la pesca intensiva, la geoingegneria – ad esempio la costruzione di isole artificiali –, l’espansione del settore eolico offshore costituiscono minacce per la vita nei nostri mari. Continuare a espandere tali settori, in nome della crescita infinita, significa di fatto depredare e uccidere la vita negli oceani.

A Bruxelles si parlerà anche di un’economia oceanica del benessere e di Blue Doughnut. Di cosa si tratta?

Quando parliamo di Blue Doughnut [ciambella blu, ndr], intendiamo l’applicazione alla vita nell’oceano del modello economico proposto dall’economista di Oxford Kate Raworth in Doughnut Economics e basato sul quadro dei limiti planetari individuati da Johan Rockstrom e colleghi dello Stockholm Resilience Centre. La Blue Doughnut è l’interpretazione di Seas At Risk del modello economico Doughnut, secondo cui la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale non sono obiettivi separati da mettere in contrapposizione, ma due facce della stessa medaglia.

La Blue Doughnut è costruita su una base sociale, per invertire le crescenti disuguaglianze e impedire che le persone vengano lasciate indietro e per garantire che l’umanità non oltrepassi collettivamente i confini planetari. Tra la base sociale e il soffitto ecologico [la capacità di autorigenerarsi degli ecosistemi, ndr] si trova uno spazio a forma di ciambella che è sia ecologicamente sicuro che socialmente giusto: uno spazio in cui l’umanità e il nostro pianeta possono prosperare

Cosa dovrebbe prevedere un’economia blu sostenibile?

Dovrebbe tener conto innanzitutto dei limiti fisici, chimici e biologici della Terra ed essere a servizio della società. Dovrebbe prevedere efficaci misure di salvaguardia e protezione ambientale, climatica e sociale, che siano implementate e monitorate adeguatamente. Questo significa, per quanto riguarda l’ambito dei trasporti ad esempio, applicare standard più stringenti per i carburanti usati dalle navi, prevenire incidenti e disastri ambientali, ma anche ridurre le quantità di beni che spostiamo su nave, ridurre le distanze percorse attraverso la regionalizzazione delle catene di produzione e attraverso l’economia circolare.

Qual è la posizione di Seas at Risk rispetto alle fonti rinnovabili offshore?

La nostra visione è che il cambiamento climatico e il collasso della biodiversità debbano essere risolte insieme. L’oceano svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del clima del pianeta e sostiene tutta la vita sulla Terra. Tuttavia, può continuare a svolgere questo ruolo solo se dispone di ecosistemi sani e fiorenti. I nostri mari sono già sovrasfruttati e degradati e i parchi eolici offshore contribuiranno alla loro industrializzazione.

È essenziale che lo sviluppo su larga scala dell’energia eolica offshore nei mari europei avvenga in modo positivo per la natura e che la pianificazione sia fatta nel pieno rispetto delle normative ambientali dell’Unione Europea. È altrettanto importante che vengano eliminate gradualmente le attività dannose – ad esempio le trivellazioni di petrolio e gas, la pesca a strascico. Parallelamente al passaggio alle energie rinnovabili, è altrettanto necessario compiere sforzi enormi per ridurre drasticamente il consumo di energia in generale.

Un respiro su due che facciamo è proprio grazie all’ossigeno prodotto dagli oceani. È urgente occuparsi della loro salute: ne va della nostra

Uno dei quesiti a cui si intende trovare possibili risposte proprio a Bruxelles riguarda le politiche e gli indicatori necessari per costruire una società che si concentri sulla soddisfazione del benessere dei suoi cittadini nel rispetto dei confini planetari. Quale potrebbe essere una proposta di Seas At Risk?

Una cosa fondamentale da fare è chiedersi sempre se le politiche ambientali adottate permettono una transizione equa e giusta. Nel contesto del trasporto marittimo questo si potrebbe tradurre in una politica volta a eliminare l’uso dei combustibili fossili, che garantisca anche che le persone abbiano accesso a importazioni ed esportazioni a prezzi equi, al fine di soddisfare i propri bisogni umani fondamentali. L’utilizzo del modello del Blue Doughnut sarebbe uno strumento utile per un cambio sistemico che permetta da un lato di soddisfare i bisogni primari delle persone e dall’altro di rigenerare gli ecosistemi all’interno di un determinato luogo, garantendo al contempo che l’impronta globale dell’economia locale sostenga il benessere sociale e l’integrità ecologica su scala planetaria.

Mentre allineiamo le industrie ai limiti del pianeta e riduciamo l’inquinamento, dobbiamo assicurarci di non aumentare le disuguaglianze o aggravare le condizioni di povertà. Ciò potrebbe significare dare priorità a soluzioni che decarbonizzano le catene di approvvigionamento per le comunità insulari, ad esempio. Interessante è l’iniziativa delle isole Marshall, dove si stanno sviluppando navi da carico a vela per ridurre i combustibili fossili e utilizzare direttamente una fonte di energia rinnovabile: il vento!

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