Tularù, costruire una comunità partendo da filiera corta e agricoltura rigenerativa – Dove eravamo rimasti #12
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Rieti, Lazio - Quanti valori può avere il grano? Come rendere un pascolo sostenibile? E in che modo usare al meglio i prodotti dell’orto e del selvatico dei boschi? A tutti questi interrogativi ha risposto al meglio Tularù, l’azienda agricola in provincia di Rieti che, in un terreno di ben quarantacinque ettari, porta avanti numerosi progetti, dalla coltivazione di grani antichi per la produzione di pane e farina, ai prodotti dell’orto, le conserve e l’allevamento di una mandria di undici vacche e pollame con pollai mobili che contribuiscono anch’essi alla rigenerazione del terreno.
Abbiamo conosciuto i fondatori Miguel Acebes Tosti e la moglie Alessandra Maculan diversi anni fa e ne abbiamo raccontato le vicende. Oggi il loro progetto si è evoluto e abbiamo deciso di risentirli per farci raccontare le ultime novità all’insegna dell’agricoltura organica rigenerativa, della filiera corta, della progettazione culturale, dell’organizzazione di eventi e tanto altro.
Partiamo facendo un piccolo riassunto della genesi e degli obiettivi di Tularù.
Il progetto Tularù nasce con l’idea di chiudere le filiere produttive della carne, del grano e dei prodotti agricoli e utilizzare il valore sociale e culturale che queste producono. Con il tempo i nostri tre capisaldi li abbiamo portati avanti consolidando e chiudendo le filiere, in certi casi direttamente in azienda, e in altri casi li chiudiamo in collaborazione con altri soggetti. L’intreccio di queste attività si protrae e si autoalimenta generando anche relazioni sostenibili.
In tal senso nel 2020 abbiamo costituito la Cooperativa dei Grani antichi del reatino, nata come ente che raggruppa venti soggetti a Rieti e Roma tra agricoltori, trasformatori e commercianti che hanno lavorato su una superficie totale di circa una quarantina di ettari con una produzione di quattrocentocinquanta quintali, alla base di una forte economia locale e solidale dove il prezzo del grano viene costruito e condiviso da chi quel grano lo produce insieme a chi lo consuma.
Avete ancora un rapporto con il pastificio Chitarra Antica, il pastificio La Mattera di Rieti e il gruppo di acquisto solidale?
Sì, questi rapporti sono importantissimi: il nucleo di Tularù. Li abbiamo portati avanti, rafforzati e allargati ulteriormente includendo anche un forno di Roma, il Garage Forno, a cui forniamo la farina e che ci permette di fare il pane che si vende a Roma direttamente in città. È importante far parte di questa filiera soprattutto nell’ottica di creare dei rapporti non di concorrenza, ma di collaborazione.
Da tempo siete al centro di una rete che considera il grano uno strumento per riscoprire valori comunitari. Questo rimane uno dei vostri capisaldi?
Sì, siamo immersi in questa rete che è soprattutto un percorso di microeconomia territoriale al centro del quale c’è il grano, che si è rivelato essere un grande strumento di coesione in grado di muovere meccanismi relazionali importantissimi che variano in base a chi li attiva e in base alle proprie esigenze e capacità. Dalle aziende che producono il grano e lo forniscono alla cooperativa fino a quelle che sono parte attiva di una collaborazione territoriale e di attività: tutti sono protagonisti di un circuito virtuoso al centro del quale c’è il grano. Tutto ciò lo dimostriamo e lo mettiamo in pratica ogni giorno con le molteplici attività e progetti che facciamo.
Come sono andati avanti i lavori a Tularù, avendo scelto di finanziarli tramite laboratori aperti a tutti?
Alcuni sono andati molto bene. Abbiamo finito le compost toilet, una delle quali si è evoluta in una biogas toilet diventando un bagno che produce biogas che usiamo per un fornellone esterno a uso del campeggio. Altri progetti hanno esaurito la loro funzione nel momento in cui sono stati realizzati: parlo della vasca di fitodepurazione, l’intonaco in terra cruda del magazzino e altri lavori fatti con i laboratori aperti a tutti. Solo il covid ci ha frenato, ma per poco tanto che il percorso laboratoriale prosegue ancora con nuovi progetti.
In che modo la Festa della Mietitura che organizzate rappresenta un’occasione di socialità costruita intorno all’agricoltura?
La Festa della Mietitura è sempre stata un avvenimento importante, oggi anche molto atteso, soprattutto da quelle persone con cui spesso ci ritroviamo. In tal senso si è perfino allargata, in quanto insieme alla ONG Crocevia, che si occupa di sovranità alimentare, alla CSA di Roma e all’associazione Fiumi di Cambiamento di Rieti, organizziamo delle giornate di scambio semi e di discussione intorno alla questione dei semi, e anche all’organizzazione di laboratori intorno a questo argomento. Questi progetti, costruiti su due giornate, saranno proprio inclusi nella Festa della Mietitura a testimonianza di un forte attivismo agricolo e perfino politico.
Avete portato avanti i progetti sul pascolo Voisin con Deafal, la ONG che si occupa di diffondere l’agricoltura Organica Rigenerativa?
Sì, insieme a loro e ad altre aziende del Lazio abbiamo partecipato a un PSR della Regione Lazio con l’Università della Tuscia, allo scopo di analizzare i prodotti animali derivanti dal pascolamento di questo tipo. Un progetto in corso e ad oggi nella sua fase operativa.
Finora abbiamo constatato una crescita significativa del pascolo che riesce a rispondere molto meglio ai momenti di siccità grazie al pascolamento dell’animale quando la pianta è a riposo e ha nelle radici le energie necessarie per poter germinare. Così, da una parte l’animale si nutre di piante a una basso contenuto di cellulosa, difficilmente digeribile, e dall’altra il campo aumenta le sue potenzialità di fertilità del suolo e di sequestro del carbonio. Inoltre, insieme alla Deafal stiamo creando un organismo che si occuperà di diffondere e tutelare l’agricoltura organica operativa.
Ad alcuni anni di distanza siete soddisfatti della scelta fatta di cambiare vita per Tularù?
Siamo molto soddisfatti della parte socio-agricola, nel senso che si è creato un bel movimento intorno a Tularù. Certo, è molto faticoso da un punto di vista sia fisico che mentale. Ma quando fai della tua attività una scelta di vita è normale non avere molti momenti di pausa. Però la soddisfazione è talmente grande che ne vale assolutamente la pena, anche a dispetto di tutta la fatica.
Quanto è stato importante scegliere di crescere i vostri figli in una realtà come Tularù?
È stata una scelta importante e di cui siamo orgogliosi. Soprattutto perché lasciamo i nostri figli liberi di scegliere e sono loro a confermarci quanto sono contenti di crescere qui.
Quali sono i nuovi progetti che portate avanti?
Da novembre abbiamo intrapreso un percorso di avvicinamento delle persone più vicine a Tularù e di programmazione partecipata: le abbiamo chiamate per coinvolgerli di più chiedendo loro quale potesse essere la funzione di un’azienda agricola nel territorio e a quali bisogni potesse rispondere. Si sono creati dei gruppi di lavoro, per esempio, sull’organizzazione di una festa della birra come un momento in cui scambiarsi tecniche e modalità di produzione della birra agricola. Intanto, ci sarà un festival del birrifici agricoli e artigianali della provincia di Rieti.
Sempre dai gruppi di lavoro è scaturita l’esigenza di migliorare la qualità degli operatori della Scuola Natura che organizziamo in estate per i bambini. In tal senso faremo delle settimane formative in collaborazione con Cenci Casa Laboratorio di Franco Lorenzoni e l’associazione Manes con cui è partito il progetto dell’Asilo nel Bosco. Con questa formazione creeremo un gruppo di operatori che potranno portare avanti la Scuola Natura. Tutti i nostri progetti, dunque, sono in un’ottica di coinvolgimento e di allargamento della squadra operativa, di passaggio delle consegne e di allargamento della partecipazione.
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