The Smiling Van: il pulmino blu che porta la psicologia di strada tra i giovani
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Torino - Oggi vi portiamo a conoscere The Smiling Van, una realtà torinese giovane e intraprendente che in questi anni ha scelto di uscire dalle quattro mura e di portare il supporto psicologico nelle strade di Torino. Per raccontarvi di cosa si tratta incontro Chiara e Alessandro che mi raccontano la loro storia e quella del loro pulmino blu: un mezzo che negli anni della pandemia ha incontrato decine di giovani nelle periferie torinesi per dare loro, gratuitamente, una mano.
Che cos’è The Smiling Van e come è nato?
The Smiling Van è un progetto di psicologia di strada rivolto principalmente ai ragazzi tra i 14 e i 21 anni, avviato nel 2021 grazie al bando di Compagnia di San Paolo Giovani per i Giovani. Il progetto è nato dal nostro incontro con Francesca – e in principio anche con Nader e Mattia – in co-progettazione con Gruppo Abele e Associazione Acmos. L’idea era di spostarci in varie zone di Torino e di offrire gratuitamente servizi sul tema della salute mentale. Per questo, dopo aver vinto il bando della durata di due anni, abbiamo acquistato il van blu che ci contraddistingue e abbiamo dato vita al progetto.
Il progetto prevedeva il nostro impegno per tre pomeriggi a settimana, in tre luoghi diversi di Torino: in Piazza Montale nel quartiere Vallette, in centro presso Aria Spazi ReAli e nel quartiere Barriera di Milano accanto al Giardino di Via Mascagni: tre zone molto diverse alle quali corrispondono modalità di servizio altrettanto differenti in base al territorio, peculiarità di un servizio itinerante.
Quali iniziative avete avviato durante la pandemia?
Il progetto è nato a cavallo tra il 2020 e il 2021 e quindi in piena emergenza sanitaria: per questo le attività sono state principalmente laboratori di gruppo esperienziali, in modo da rispondere alle esigenze di più persone possibili contemporaneamente, data la grande affluenza. “Spazi d’animo”, per esempio, prevedeva l’esplorazione delle emozioni in modalità pratico-esperienziali e anche creative, attraverso attività legate alla pittura, alla musica e al gioco. In questo modo si esperisce in maniera pratica il legame tra mente-corpo e le emozioni; si impara a riconoscerle e a gestirle in maniera costruttiva.
Oltre alle attività di gruppo sono stati attivati percorsi di supporto psicologico individuale, di consulenza e di sostegno brevi, per affrontare determinate tematiche “a tu per tu” con le persone, comunque sempre con il consenso dei genitori nel caso i ragazzi fossero minorenni. In questi casi come specialisti abbiamo sostenuto e valutato le risorse dei soggetti e li abbiamo riorientati nel mondo, tutto in maniera completamente gratuita e informale.
Avete preso spunto da qualche realtà simile per creare The Smiling Van?
Paradossalmente dopo aver dato vita al progetto abbiamo scoperto che negli anni ‘70-‘80 a Torino esisteva qualcosa di simile, ma incentrato sulla prevenzione dell’abuso di sostanze. Abbiamo scoperto che alcuni dei nostri procedimenti operativi in passato erano già stati standardizzati e categorizzati. L’andare in giro e fare domande specifiche su bisogni e necessità veniva chiamato “incursione”, il setting all’aperto era stato denominato “a geometria variabile”, così come era stata definita la metodologia su come lavorare in strada attraverso ruoli ben definiti.
Quando avete iniziato a operare in strada qual è stata la situazione con cui vi siete interfacciati?
Durante la pandemia dilagavano le situazioni di disagio psicologico e ancora adesso ne vediamo gli strascichi. Talvolta si manifestava come semplice malessere, mentre altre volte come disturbi conclamati. Quello che invece abbiamo notato a prescindere dalla pandemia è che i ragazzi non si sentono minimamente ascoltati né tantomeno capiti dal mondo degli adulti. Né a casa né scuola riescono a comunicare i loro bisogni e le loro esigenze.
Per questo durante i laboratori di gruppo ci siamo concentrati molto sul lato emotivo, sulla comunicazione emotiva e il riconoscimento e la gestione delle emozioni stesse. Inoltre, è stato notato come i giovani si trovino a che fare con un’adolescenza sempre più anticipata, sia fisicamente che per le situazioni che devono affrontare, spesso accompagnata da problemi di autostima. Si cresce più in fretta: le nuove generazioni sono molto diverse da come eravamo noi alla loro età.
Quali sono i vostri punti forti, le vostre peculiarità?
Salvo che per alcuni spazi, come per esempio presso Spazi ReAli in cui c’era una segreteria dove si poteva prenotare, lavorando per strada questa parte di mediazione non c’era e il contatto era diretto. Per quanto riguarda le attività di gruppo bastava individuare il van attraverso le pagine social.
Qualora invece si volesse intraprendere un percorso individuale ci si metteva poi d’accordo in loco. In questi casi un minimo di struttura è fondamentale, soprattutto per quanto riguarda la cadenza degli incontri. Normalmente facevamo un primo colloquio a cui erano presenti tutti gli specialisti e poi si ragionava su chi fosse la persona più adatta a seguire il soggetto, assecondando anche le sue richieste.
La caratteristica peculiare di questo format è il setting: non uno studio bensì la strada, le panchine o il parco. Il contatto e la presenza sul territorio sono state fondamentali, diventando il collante con il quartiere e con le persone che ci vivono. Lo scopo è portare la figura dello psicologo fuori dagli studi, andare verso gli adolescenti. Questa intuizione ha giovato enormemente a combattere i pregiudizi nei confronti di questa figura, ha abbattuto le barriere che c’erano con i giovani, con le famiglie e anche con i colleghi educatori. L’informalità si è rivelata cruciale e ha contribuito ad abbattere i pregiudizi e lo stigma nei confronti degli psicologi e di chi ne usufruisce.
Ora che sono scaduti i due anni, che cosa resta di The Smiling Van? In che modo si è evoluto e che piani ha per il futuro?
Oltre alla parte operativa, durante quei due anni c’è stata anche la costruzione di una rete con diverse associazioni grazie alle quali successivamente sono nate diverse collaborazioni extra progettuali come laboratori nelle scuole superiori, spaziando anche su altri temi quali l’ambiente e la mobilità sostenibile: tematiche basate sui bisogni che sono stati rilevati parlando con i ragazzi.
Attualmente abbiamo partecipato ad altri bandi, con realtà differenti. Con Officine Caos e l’Informagiovani di Vallette da due mesi è ripresa l’attività su strada. Un altro bando di San Paolo al quale partecipiamo è Salute effetto comune, in modo da poter proseguire con il progetto. Ma la notizia più importante è che da una settimana The Smiling Van si è costituito come associazione: si chiama Inverso ed è l’evoluzione, se così possiamo chiamarla, del progetto originale. La nostra presidente è un’educatrice sempre affiancata da psicologi e l’intenzione è includere altri professionisti di ambito sociale che vogliono uscire dagli studi e votarsi ai quartieri.
Esistono altre esperienze simili in Italia?
Oggi la psicologia di strada si sta diffondendo in Italia: altri professionisti ci hanno contattati col desiderio di usare questo format in altre regioni. Abbiamo scoperto che esistono già altre equipe come in Piemonte a Mondovì oppure in Toscana, dove con un furgone e con il sostegno del Comune hanno dato vita a un servizio simile, ma molto più strutturato. The Smiling Van è più informale e così vuole rimanere. Sarebbe però interessante riunire tutte queste realtà ed esperienze per condividere questa metodologia ancora in evoluzione.
In tutto questo il vostro sorridente van dov’è finito?
Purtroppo era un vecchio van degli anni ’80 e ci ha abbandonati. Lo amavamo! Il van, oltre all’utilità concreta che ricopriva, è diventato anche un simbolo per farsi riconoscere, caratteristico del nostro format, e per questi motivi vorremmo acquistarne uno nuovo non appena riusciremo a recuperare i fondi.
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