A Genova i ragazzi di una scuola superiore scoprono i benefici dell’orto didattico
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Genova - Quella mattina, mentre stavo raggiungendo a piedi il Liceo Gobetti, fantasticavo visualizzandomi per un momento di nuovo al liceo: ogni giorno arrivavo trafelata correndo, con in spalla il mio Eastpack lilla, e salivo le scale della scuola a due a due facendo mente locale su cosa aspettarmi da quella giornata. Fisica, matematica, latino, storia, filosofia, tedesco, inglese, italiano, scienze della terra, chimica, biologia.
In mezzo a quale di queste materie ci sarebbe stato posto per un orto didattico? In quella scuola lo spazio esterno veniva usato solo dai più grandi per “uscire a fumare” e tutto quello che non era strettamente legato allo studio era considerato dal corpo docente fondamentalmente inutile. Erano i primi anni 2000 e la mia era una classe molto competitiva, per questo mi sentivo continuamente fuori posto: non mi interessavano i voti dei compiti in classe degli altri, né la loro media, studiavo per me, non per il voto in pagella. E detestavo i numeri. Anche se poi finalmente all’università ho trovato la mia dimensione, quei cinque anni sono stati duri e faticosi.
Con questa nuvola di pensieri sopra la testa, appena varcata la cancellata mi imbatto in diversi gruppi di ragazzi con le mani sporche di terra intenti a coordinarsi tra loro. È una prima dell’indirizzo Economico Sociale del liceo. C’era chi annaffiava con materiali improvvisati ma efficaci – uno tra tutti un flacone di ex detergente lavavetri usato come spruzzino per inumidire il terreno –, chi martellava delle travi in legno per costruire una staccionata, chi andava a tastare a mano il terriccio per verificarne l’umidità.
Dallo scorso anno questa scuola superiore ospita nel suo spazio esterno un orto didattico, il primo di Genova curato e gestito da studenti di quest’età. Nonostante si conoscano bene i benefici di queste attività, gli orti sembrano concludere la propria funzione educativa una volta acquisita la “licenza elementare”, senza però una vera motivazione. L’importanza di riscoprire il contatto stretto con la natura in città, comprendere il ciclo vitale delle piante, accogliere il concetto di filiera corta e, allo stesso tempo, acquisire competenze legate al lavoro di squadra e soprattutto cooperativo, anziché competitivo, sono capacità essenziali a tutte le età. E questo liceo lo dimostra.
«L’orto didattico si fa da tempo sia alla scuola infanzia che alla primaria, ma è molto utile a qualsiasi età e ha notevoli ricadute didattiche positive», sottolinea la professoressa Daniela Malini, l’ideatrice dell’iniziativa che mi racconta come l’impatto di questa attività sia evidente sul piano dell’attenzione, delle relazioni e del rendimento scolastico complessivo.
Mi trovo all’interno dello spazio della scuola, al di qua della cancellata d’ingresso, e seguo Daniela, che insegna lettere e storia, muoversi tra questi rettangoli di terra seminati a ravanelli, fragole, insalate e dieci diverse varietà di erbe aromatiche, tra sciami di quindicenni che le chiedono consigli e istruzioni sul da farsi, anche se in realtà vedo anche buona parte di loro lavorare in autonomia. «Prof ci faccia lavorare, ci dia un compito!», incalza un ragazzo, che dopo poco torna dai compagni raggiante con un nuovo obiettivo: iniziare a cintare l’area verde. «Raga, dai: chiodi e martello!».
L’ORTO DIDATTICO IN UNA SCUOLA SUPERIORE: TEMPI E GESTIONE
Rispetto a una scuola infanzia o a una primaria, i momenti per dedicarsi a un progetto come questo nel groviglio delle materie scolastiche, tra compiti in classe e interrogazioni, sono differenti. «Ci occupiamo dell’orto nei ritagli di tempo, ricavando qualche minuto durante la ricreazione, per esempio, o chiedendo una mezz’oretta qui e là a qualche collega», mi spiega Daniela, indicandomi le varie piantine già rigogliose. Mentre io e lei chiacchieriamo, arrivano esultando due ragazze: «Sono nati i bambini, venite a vedere, sono nati i bambini!».
Ci avviciniamo e ci mostrano i germogli che dopo otto giorni hanno fatto orgogliosamente capolino dalla terra umida. Mi aggiro con il mio taccuino a osservare questo intenso lavorio: vedo questa prima superiore divisa in tanti piccoli gruppi concentrati a progettare, dividersi i compiti e riflettere sulla pianificazione dei rettangoli di terra. «Come vedi, non c’è nessuna regia – evidenzia Daniela – perché lavorano in autogestione».
Mentre li guardo, noto che in alcuni punti il terreno bagnato e concimato è stato pacciamato con del cartone e due di loro mi spiegano che buona parte del materiale che stanno utilizzando è di recupero. «Poi c’è anche chi ci fa dei regali: una bidella ci ha portato quel limone!», mi racconta una ragazza, indicandomi un alberello.
L’ORTO DIDATTICO COME CHIAVE DI LETTURA TRA DIVERSE GENERAZIONI
L’idea del progetto è nato in lockdown. «Ci siamo resi conto che i ragazzi stavano malissimo e ci siamo attivati con questa iniziativa didattica. E così una scuola è rinata dal basso proprio su questo progetto», mi spiega Daniela. Quest’anno il liceo ha coperto i costi della terra e del legno per le staccionate, lei ha portato il fertilizzante naturale e le attrezzature. «Bisogna autofinanziarsi, la scuola non può sovraccaricarsi di spese», sottolinea Daniela.
Occasionalmente arrivano anche “insegnanti” esterni: «Un nonno qualche tempo fa è venuto qui e ha insegnato tantissime cose ai ragazzi che hanno poi scavato solchi per le patate, messo cenere di ossa contro le lumache, concimato con letame di mucca e molto altro. Ci ha regalato alcuni attrezzi, terriccio e poi… ci ha portato anche la focaccia!», dice sorridendo. Un progetto che pur andando avanti senza una vera e propria progettazione formale si avvale anche della collaborazione di diverse famiglie, tessendo una rete intergenerazionale che sostiene la crescita, in un’età così delicata. E così, dalla teoria alla pratica, i risultati sono evidenti.
In un’oretta di osservazione è stato semplice realizzare che tutti gli studenti coinvolti lavorano davvero, senza distrarsi davanti a cellulari; perché sono motivati sì, ma soprattutto perché si divertono. «Zero progetti, zero stress!», sottolinea Daniela. «E il bello è che qualcuno si offre anche per i “compiti a casa”, cioè costruire la staccionata per le piante aromatiche con legno di recupero. Qualcuno chiede anche di fermarsi dopo l’orario scolastico per innaffiare meglio. Altri vorrebbero venire a fare l’orto anche al pomeriggio». La grande partecipazione denota il grande fermento di questo gruppo e l’entusiasmo che ho visto quando ci è stato annunciato che le piantine sono nate mi ha letteralmente tolto il fiato.
Sono andata via pensando a come sarebbe stata diversa la mia esperienza al liceo se anche io avessi avuto questa preziosa possibilità di mettere le mani in terra, di dedicarmi a qualcosa di diverso dall’incamerare date, dal tradurre versioni di latino e al mettere insieme cifre una dietro l’altra per risolvere problemi di fisica e analisi matematica. Quante volte per i docenti gli studenti al liceo sono solo un nome, un cognome e una fila di numeri sul registro? «I ragazzi hanno solo bisogno di essere visti», mi dice più volte Daniela. E lei li vede eccome.
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