Quanti sono gli Hikikomori in Italia? Ce ne parla lo studio “Vite in Disparte”
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Torino - “Ritirati sociali”: è questa la traduzione del termine giapponese Hikikomori. Sono molti i giovani o giovanissimi che smettono di uscire di casa e di frequentare scuola e amici per chiudersi nelle proprie stanze. Limitano al minimo i rapporti con l’esterno e gli unici contatti che mantengono sono attraverso l’uso di Internet. Non solo in Giappone. La pressione sociale e il disagio che spingono questi giovani all’isolamento ha assunto proporzioni drammatiche e non esime neanche l’Italia, dove il fenomeno è cresciuto silenzioso nel tempo.
Oggi questo problema, di cui risultavano finora pochi dati analitici, è oggetto di uno studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) e promosso dal Gruppo Abele di Torino in collaborazione con l’Università della Strada. Il report integrale è volto a definire una prima stima quantitativa dell’isolamento volontario nella popolazione adolescente: ha coinvolto un campione di oltre 12.000 studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.
LO STUDIO
Come riportato sul documento, le informazioni relative agli stili di vita nella popolazione studentesca oggetto di indagine sono state raccolte attraverso il questionario ESPAD®Italia 2021, uno strumento di rilevazione che analizza i consumi psicoattivi (alcol, tabacco, farmaci senza prescrizione medica e sostanze illegali) e altri comportamenti a rischio, come l’uso intensivo di Internet e il gioco d’azzardo, tra gli studenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni che frequentano le scuole secondarie di secondo grado.
Lo studio rappresenta un solido standard per il monitoraggio a livello europeo ed è condotto annualmente da oltre vent’anni. Si inserisce inoltre nell’omonimo progetto europeo ESPAD – European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs al quale, all’ultima rilevazione condotta nel 2019, hanno partecipato 35 nazioni dell’area europea. Nel 2021 il questionario ESPAD è stato arricchito di una sezione dedicata all’osservazione del fenomeno del ritiro sociale volontario. Nello specifico è stata indagata tra gli studenti la conoscenza del fenomeno, nonché la prossimità a soggetti che si sono ritirati da scuola o che possono essere definiti Hikikomori.
UN PO’ DI DATI
Giovani ragazzi e ragazze sono stati intervistati attraverso un apposito set di domande e i risultati si basano sull’autovalutazione dei partecipanti stessi. Come emerge dal Report, «il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca 15-19enne a livello nazionale, si può stimare che circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale», afferma Sabrina Molinaro, ricercatrice del CnrIfc.
«Questo dato appare confermato dalle risposte sui periodi di ritiro effettivo: il 18,7% degli intervistati afferma infatti di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi)».
Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo. L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media.
UN SENSO DIFFUSO DI INADEGUATEZZA
Dallo studio emergono anche significative differenze di genere, che si rivelano nella percezione del ritiro. Ad esempio, i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori. Rispetto all’utilizzo del tempo, le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Fra le cause dell’isolamento, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni: «L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e autosvalutazione», aggiunge Sonia Cerrai del Cnr-Ifc. «Un altro dato parzialmente sorprendente riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su quattro, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. Il dato è simile quando si parla degli insegnanti».
UN SEMINARIO PER OPERATORI, EDUCATORI E INSEGNANTI
Gruppo Abele, sulla base dei dati emersi e diffusi tramite il Report, intende stimolare una riflessione attraverso un seminario per operatori, educatori e insegnanti che verrà realizzato a Torino il 5 maggio. Prosegue intanto con un intervento educativo sperimentale, iniziato nel 2020, che si chiama Progetto Nove ¾. «Il progetto – ha spiegato Milena Primavera, responsabile del percorso – si è fatto finora carico di una quarantina fra ragazzi e ragazze le cui famiglie non trovavano risposta alla chiusura e all’isolamento dei loro figli».
Per loro si è attivato un affiancamento a domicilio: «Hanno la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato dove si svolgono attività individuali o in piccolo gruppo con “maestri di mestiere” a partire dagli interessi espressi dai ragazzi. Ai genitori è offerto, in parallelo, un sostegno psicologico volto ad acquisire maggiori strumenti per gestire le difficoltà dei figli. Una prima sperimentazione, in rete con il sistema scolastico e i servizi socio-sanitari, per tentare di accompagnare i ragazzi isolati dal mondo a un diverso progetto di vita».
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