“Andare per erbe ci ricorda che noi non andiamo in natura, noi siamo natura”
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Genova - Oggi le erbe spontanee sono tornate a essere le protagoniste di una cucina meravigliosa, contadina, che sa tanto di nonne. Spesso considerate “erbacce”, queste piante in realtà sono una risorsa – a patto che si sappiano riconoscere! –, d’altronde in natura non c’è niente di inutile. Ecco perché è utile conoscerle, con un occhio di riguardo a quelle commestibili, benefiche e anche molto buone.
Ne ho parlato con Marco Fossati, erborista genovese, esperto e studioso di erbe selvatiche e da poco guida ambientale escursionistica, che spesso accompagna gruppi di persone di tutte le età in mezzo ai prati a due passi dalla città alla ricerca delle preziose piante che compongono il preboggiòn, la tipica miscela di erbe spontanee liguri.
Marco, raccontaci: com’è nata la tua passione per le erbe selvatiche?
In realtà tutto è nato dal contatto con la natura e con i boschi. Durante alcune esperienze di connessione profonda in natura, qualche anno fa, sono cambiato molto e da razionale ed estremamente scientifico che ero ho messo in discussione il rapporto con l’ambiente che mi circonda. Da lì ha preso vita un mio personale processo di ricerca e di studio che mi ha portato all’università di Pisa, dove ho studiato scienze erboristiche. Da lì ho preso un po’ più confidenza con le piante.
Nel momento in cui mi sono messo a fare ricerca sulle erbe salutistiche della Liguria, per la stesura della tesi di laurea, mi sono reso conto che non esisteva una letteratura univoca in materia. Magari trovavo una persona che raccoglieva erbe a Sori, un’altra a Montoggio. Tutti coloro a cui chiedevo però mi parlavano delle erbe commestibili, in particolare del preboggiòn.
E da lì ho cominciato il mio viaggio in questo mondo, grazie anche a un’amica nutrizionista, la dottoressa Linda Sacchetti, che mi ha fatto conoscere tante persone, sia che lo raccolgono in base alle sue caratteristiche più tradizionali, tramandate di famiglia in famiglia, sia che si occupano di ricerca scientifica e ambientale.
Sono riuscito così a scrivere la mia tesi sul preboggiòn, analizzando l’aspetto nutraceutico di questo insieme di antiche erbe liguri che non si mangiavano solo per tradizione, ma soprattutto perché fanno bene. Durante la mia ricerca ho trovato anche quelle officinali spontanee che spesso vanno a braccetto con quelle commestibili, sia come specie che come luoghi dove si possono trovare.
In natura ci sono diverse piante molto simili tra loro, con proprietà però decisamente diverse: a volte una pianta selvatica commestibile somiglia ad altre che invece risultano tossiche e in alcuni casi anche fatali. Come si impara a riconoscerle, a raccoglierle in sicurezza e soprattutto a consumarle senza rischi?
È vero, ci sono piante tossiche e addirittura velenose che sono più facilmente identificabili, altre invece sono abbastanza simili a quelle “buone”. Si tratta di far pratica e studiare molto; e poi più si va per erbe più si sviluppa un certo “sesto senso” integrato dentro di noi, soprattutto se lo sguardo è molto allenato. Infatti se è vero che da una parte ho studiato parecchio, perché l’università mi ha fornito una base teorica da cui partire, è stato altrettanto importante aver seguito più e più volte esperti, signore che custodivano i saperi ancestrali dei loro avi oltre ad aver preso parte incontri con persone che oggi fanno formazione durante uscite di educazione ambientale. In ogni caso servono pratica e ripetizione.
E il lato positivo è che in questo allenamento si passa del tempo nel verde, il che porta numerosi benefici, senza contare che si imparano a riconoscere tante piante che ci fanno bene. È un sistema win-win. In ogni caso va sottolineato che anche le persone che già raccolgono da tanto tempo queste erbe, così come chi va per i funghi, sanno che non va fatto con leggerezza. Lo dico sempre durante le mie uscite alla ricerca di erbe: è sempre meglio raccogliere una pianta in meno che una in più, se questa ci lascia dubbiosi. In ogni caso, un controllo in campo e uno a casa prima di consumarle è d’obbligo per essere il più tranquilli possibili.
Un tempo per i bambini e i ragazzi la ricerca delle erbe commestibili era un passatempo divertente: tanti adulti di oggi raccontano delle loro avventure estive o domenicali lungo gli argini dei fossi per raccogliere le piantine da mettere in frittate o da cuocere nel risotto, magari stanandole tra rovi e siepi, cercando di non urticarsi in mezzo a cespugli di ortiche. Oggi come vedi quest’attività per le nuove generazioni?
Per parlare di questo c’è un fattore molto importante da tenere presente: se i bambini raccoglievano le piante significa che qualcuno aveva loro spiegato come fare e soprattutto quali scegliere. Il passaggio dei saperi è uno degli anelli più importanti in questo ambito. Fino agli anni ‘40 la raccolta delle erbe per tante famiglie era una pratica quotidiana o quasi. Era un’abitudine familiare, esattamente come fare l’orto, tenere gli animali, andare a prendere l’acqua alla fonte. E questa divulgazione dei saperi era connaturata tendenzialmente alla formazione delle bambine, le conoscenze passavano di nonna in madre in figlia.
C’è stata poi una fase successiva in cui queste nonne, nei periodi in cui non c’era scuola, tramandavano ai nipoti un po’ di questa loro relazione con la natura, autentica ma più vacanziera. Oggi, essendo passata ancora una generazione, questa linea dei saperi s’è interrotta. Abbiamo però delle conoscenze in più, ci possiamo aiutare con il confronto con altre persone, frequentando corsi specifici; e poi si creano svariate occasioni in ambiti educativi o divulgativi, anche nelle scuole, utili a diffondere questo sapere, legato al fare e alla manualità, che è un buon gancio per i ragazzi per riportare la loro attenzione sul proprio territorio.
Secondo te che valore ha al presente l’atto di raccogliere le erbe spontanee?
Tornare a saper riconoscere e raccogliere le erbe significa fare ritorno sui sentieri, percorrendo spesso itinerari che risalgono a tempi ancestrali, il che ci porta a pensare quante persone sono passate di lì prima di noi, riporta la nostra attenzione ai prati, sia coltivati che no, alle tipicità del territorio, alla stagionalità. Andare per erbe può ricordarci tutto questo e soprattutto che noi siamo parte della natura e dell’ecosistema. Noi non andiamo in natura, ma siamo natura.
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