La sfida di un gruppo di giovani: creare comunità attraverso i videogiochi
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Torino - Fondato da un gruppo di amici che realizzano giochi all’interno di un garage – come mitologia digital vuole –, Dramatic Iceberg è un piccolo studio di sviluppo di giochi con sede a Torino, in Italia. Spinti da una passione di lunga data per i videogiochi, con un pizzico di ambizione lavorano per creare e condividere giochi divertenti, come quelli che amano e con cui giocano. Abbiamo incontrato Tommaso Verde, co-fondatore e PR dello studio, che ci racconta la sorprendente, seppur recente, storia di questo gruppo di creativi e amici.
Tommaso, vorrei cominciare chiedendoti di raccontarci com’è nata l’idea di Dramatic Iceberg? Quanti siete e come vi siete conosciuti?
Dramatic Iceberg nasce come idea intorno al 2020: eravamo, ma ancora adesso siamo, un gruppetto di amici, nonché studenti della Event Horizon School, ovvero la scuola di videogiochi italiana che ha sede a Torino. Ci siamo conosciuti attraverso i diversi corsi di Game Production della scuola: proprio alla fine del corso, ognuno stava facendo un po’ i conti di cosa voleva fare, come trovare lavoro in qualche grande azienda, prendere commissioni, specializzarsi o scegliere l’opzione più “rischiosa” che era quella di andare “Indie”, cioè aprire la nostra azienda e fare videogiochi. Un po’ un salto nel vuoto ma ci eravamo dati una scadenza.
Ci siamo detti: “Se entro dodici mesi non riusciamo a trovare riscontri, opportunità o qualche tipo di finanziamento chiudiamo tutto o quanto meno ridimensioniamo in maniera significativa”. Fortunatamente in quel periodo siamo riusciti a fare un sacco di cose, tra cui essere selezionati per il programma di accelerazione Quickload, qua a Torino, con sede alle OGR, oltre che partecipare a diverse fiere e mettere su una collaborazione proprio con la Event Horizon.
Perché avete scelto di sviluppare videogiochi come main product della vostra start up?
L’idea di fare videogiochi è sempre stata l’unica che abbiamo deciso di sposare. Sia della nostra formazione a EH (per quanto tutti noi abbiamo seguito percorsi radicalmente diversi prima di incontrarci), sia come chiave che ci accomuna. Era un sogno che eravamo disposti a inseguire tutti insieme e così ci siamo lanciati nel business videoludico.
Perché avete scelto Torino come sede? La città/ la regione vi sta sostenendo in qualche modo?
Ci siamo ritrovati a Torino per seguire il corso presso Event Horizon. Però poco a poco tutti quanti ci siamo resi conto di quanto Torino, in realtà, fosse la città perfetta dove appoggiarci per crescere. La regione/città non ci sta aiutando in qualche maniera particolare, ma la comunità crescente di sviluppatori che si è creata nei dintorni di Torino, anche grazie a IGDA Torino e altri diversi enti, ci ha permesso di trovare opportunità e conoscere molte persone che ci hanno aiutato nel nostro percorso.
Una cosa che sicuramente ci sprona a rimanere è la quantità di eventi e situazioni che si creano in maniera spontanea in città, sia rivolte ai giovani che in generale al mondo start-up tech. Ad esempio, abbiamo avuto modo di collaborare con GYGA per un bellissimo progetto sulla sostenibilità, insegnando a dei ragazzi a sviluppare due videogiochi “verdi” su Roblox. Sono queste situazioni che mi fanno pensare che Torino sia la città giusta per noi.
La tesi di fondo di questa mia rubrica è che l’arte e la creatività in chiave digitale possano essere delle “palestre di comunità”, spazi accoglienti dove far avvicinare il pubblico più generalista ai linguaggi digitali, facilitando la comprensione anche di quei tools e di quelle buzzwords che spesso spaventano. Fornendo insomma maggiore consapevolezza di cosa significhi transizione digitale. Siete d’accordo? Pensate che il mondo del gaming e le vostre produzioni possano avere anche questo ruolo a livello culturale e sociale?
Mi piace molto pensare che i videogiochi possano aiutare ad avvicinare il pubblico a un linguaggio più digitale. Però essendo sistemi digitali, spesso più o meno complicati, vanno usati e dosati con cura, soprattutto all’inizio. Penso possano aiutarci anche tramite processi di gamification nel rendere più semplici o più giocose alcune situazioni. Non è una novità che i videogiochi vengano usati per fare simulazioni, addestramenti o in generale come strumento di lavoro per molti. Penso si possa avere difficoltà a capirli o approcciarli se non si è nati o cresciuti con essi, anche a causa di tanta disinformazione.
Oltre alla loro utilità pratica e interattiva, è facile rendersi conto delle infinite possibilità che i videogiochi vanno a creare. Giocare ci permette di sbloccare tante idee, soprattutto grazie alle interazioni che noi giocatori possiamo avere con questo mondo digitale. Esplorandolo, plasmandolo e vivendolo in tanti modi diversi.
In un attimo che ci si ritrova a parlare di Metaverso, senza renderci conto che tantissimi “metaversi” esistono già, solo che non hanno la forma che molti di noi si aspettano. Titoli come VRChat, EVE:Online, World of Warcraft, Final Fantasy XIV o Second Life, ci hanno già permesso di interagire e relazionarci diversamente con persone e ambienti online. Ci sono persone che riescono a guadagnare uno stipendio tramite questi videogiochi, chi incontra l’anima gemella o chi semplicemente trova un affiatato gruppo di amici.
Tutte queste cose sono già realtà, anche se possono sembrare incredibili. Senza tenere conto che ormai tutto questo mondo videoludico influenza, coltiva e aggrega un grandissimo numero di persone, volenti o nolenti. Persino la signora che si ritrova a giocare a Candy Crush sull’autobus è una inconsapevole videogiocatrice.
Perciò, sicuramente da parte degli sviluppatori si deve sempre cercare di spingere, dove possibile, sull’accessibilità e fruibilità anche per un pubblico che può essere più o meno esperto di questi linguaggi, ma dall’altra parte bisogna anche sapersi far trasportare dal progresso e dall’idea che ormai viviamo in un mondo che si sta poco a poco sempre più digitalizzando. Andando a creare esperienze digitali sempre più complesse ma anche sempre più variegate.
Serie tv come The Last of Us hanno lasciato un segno generazionale tramite la loro storia e sono stati protagonisti di un enorme salto da cult videoludico a serie TV di successo. Tanti altri giochi creano e ci mettono in situazioni, contesti e sentimenti complicati, ci fanno vivere un’esperienza, permettendoci di immedesimarci come pochi altri “medium” possono fare.
Guardiamo come This War of Mine affronta il tema di ciò che è la guerra, come Florence parla in una maniera dolce di una storia d’amore o di come Gris colora un mondo attraverso il lutto. Tutti questi titoli sfruttano la componente videoludica al meglio, tramite le molteplici sfaccettature stilistiche, narrative e interattive. Elevandosi a molto di più di semplici “giochi” ma a qualcosa di più simile a esperienze interattive.
Detto questo, mi piace pensare che il nostro ultimo progetto Garden In!, anche grazie alla sua semplicità, possa in qualche modo aiutare o aver aiutato persone più o meno pratiche dei videogiochi a capirne il potenziale e il fascino. É capitato che mia madre autonomamente riuscisse a comprare e scaricare il gioco, perché era davvero curiosa di provarlo e devo ammettere che tutto questo è stato sorprendente. Mi ha iniziato a parlare di quello che faceva nel gioco e a chiedermi consigli. Questa io la vedo come una piccola vittoria. Riuscire a fare da ponte per due generazioni radicalmente diverse e metterle in comunicazione.
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.
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