Terre Solidali, il commercio equosolidale oggi, fra coerenza ai valori e sfide del mercato
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Imperia - Ricordo ancora la prima volta che entrai in un negozio equosolidale: alle porte dell’adolescenza, con idee e valori ancora in fase di definizione, fu il primo incontro con questo mondo. Curiosità, attrazione verso ciò che ancora non conoscevo e semi di riflessioni e domande si innestarono in quel momento nella mia mente e mi accompagnarono nel mio percorso di crescita. In questi vent’anni il mondo dell’equo solidale è cambiato molto: alcuni prodotti, una volta venduti solo all’interno degli appositi negozi, oggi si trovano anche sugli scaffali dei supermercati. Molte piccole attività sono state costrette a chiudere, o a trasformarsi.
Oggi vi racconto di Terre Solidali di Sanremo, una cooperativa storica di tipo B nata nel 2005 grazie all’iniziativa da un gruppo di soci che da dieci anni svolgeva attività legate al commercio equo solidale e alla diffusione di una cultura di consapevolezza sui temi legati al consumo. Da anni Terre Solidali gestisce il negozio SanremoBio di alimenti, oggettistica e cosmetica con una sensibilità all’eticità e alla salute.
Le difficoltà in questi anni non sono mancate e il progetto è cambiato molto rispetto alla sua idea iniziale, ma nonostante tutto oggi può contare su un negozio di commercio al dettaglio che da impiego a persone svantaggiate, le quali oltre ad apprendere un mestiere fanno scuola pratica di autostima. A raccontarmi cosa è avvenuto in questi anni è Sergio Spina, attuale presidente.
Sergio, ci racconti come è nato il progetto e che cosa è oggi?
Da anni i soci fondatori, tramite un’associazione di volontariato, si occupano di diffondere cultura su ciò che stava avvenendo in giro per il mondo e su cosa si nasconde dietro ai prodotti in commercio sugli scaffali dei negozi: sfruttamento, inquinamento, iniquità. Il gruppo ha quindi cercato di passare dalla teoria alla pratica, per contribuire attraverso il commercio solidale e dare una risposta concreta, seppur limitata, agli squilibri nel mondo. Ma non solo: ha deciso di unire a ciò anche una solidarietà strettamente legata al territorio, dando un’opportunità lavorativa a persone giovani, diversamente abili o con svantaggi sociali, con tutto ciò che ne consegue per il loro benessere.
Che tipo di benefici concreti avete visto in queste persone?
In generale ciò a cui abbiamo potuto assistere nelle persone inserite nel progetto è che avere un’attività giornaliera da svolgere, con orari fissi e responsabilità, porta in loro una maggior disciplina, un’ordine ritrovato interno che si traduce poi anche all’esterno, in primis nel rapporto con i colleghi.
E quando parlo di ordine è sì il ritmo della giornata scandito da orari precisi, ma anche una scala valoriale della loro vita, che va a modificarsi acquisendo esperienze aggiuntive e conoscendo molte più persone. Qui lavorano ragazzi e ragazze con disabilità di vario genere e vedere in loro crescere giorno dopo giorno la sicurezza e la fiducia e assistere da vicino a ciò che comporta nelle loro terapie è una grande soddisfazione.
Ci spieghi meglio?
Molti di loro sono in terapia per problemi psichici e dopo aver iniziato a lavorare qui hanno via via diminuito i dosaggi, fino in alcuni casi interromperli del tutto. Un’altra conseguenza visibile è l’aumento della loro autonomia, che si riversa anche nella vita all’interno delle loro abitazioni. Inoltre alcuni arrivano tramite segnalazioni del tribunale, ma nonostante questo non abbiamo mai avuto furti o problematiche di nessun tipo. Ciò dimostra come il dare fiducia e responsabilità a queste persone permetta loro di rispondere con fedeltà e rispetto reciproco.
Cosa è cambiato in questi anni?
Nonostante i valori fondativi siano rimasti gli stessi, molti cambiamenti sono avvenuti intorno a noi e ci hanno trasformato: da una parte la situazione geopolitica si è modificata e rispetto ai primi anni ‘90 paesi ritenuti poveri che sostenevamo oggi hanno economie floride, nonostante continuino ad avere sacche di grande povertà al loro interno. Mi vengono in mente il Brasile, il Vietnam, il Kenya, o l’Egitto. Dall’altra parte è cambiato il sistema su cui si basa il mercato equo solidale. Ci siamo trovati davanti a due strade: restare un’esperienza di nicchia mantenendo rigidità nei valori e di conseguenza nelle scelte o aprirsi a un mercato più ampio ricorrendo a espedienti di marketing e annacquando un po’ il messaggio.
Oggi infatti ciò a cui assistiamo è la scelta di aumentare in modo considerevole la quantità di prodotti offerti, ma con un sempre minore carico di contestazione del sistema che univa la critica a una proposta. Per esempio lo zucchero che proponiamo qui è diverso da quello in commercio e raccontiamo che dietro a questo mercato si nasconde uno sfruttamento radicato, proponendo però un’alternativa, basata su storie di libertà ed emancipazione che si possono così sostenere. In aggiunta però si sono uniti in questi ultimi anni elementi che prima non venivano presi in considerazione, come la sensibilità al tipo di packaging, alla plastica e tutto ciò che riguarda il tema della scelta dei materiali.
E al vostro interno ciò cosa ha comportato?
In questi anni abbiamo dovuto dimezzare il personale per far fronte alle spese ed evitare di dover chiudere: i costi sono quelli di un negozio qualsiasi, ma la forza lavorativa ha tempistiche diverse. Inoltre abbiamo dovuto rinunciare ai prodotti di artigianato locale che proponevamo perché non seguivano le regole del mercato della moda odierno. Prima infatti importavamo direttamente tessuti, monili, borse; poi il mercato ha cominciato a chiedere prodotti sempre diversi, ma con la nostra cooperativa di artigiane sudamericane non era possibile. Diciamo che è prevalsa una scelta di moda, piuttosto che una solidale.
Siamo riusciti però a rimanere un negozio indipendente, senza marchio di affiliazione né catene in franchising dietro. Vendiamo solo prodotti alimentari biologici privilegiando quelli fatti artigianalmente, attraverso i quali coltivare un rapporto diretto con i produttori, soprattutto di piccole realtà marginali come monasteri o circuiti di carceri o progetti come Libera Terra.
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