Un telaio nel bosco, lo spazio che fra mare e foreste diffonde la tradizione del “saper fare”
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Genova - Tessere non è solo questione di trama e di ordito. Me lo insegnano le parole di Luisa Stagnaro, sarta, tessitrice e impagliatrice di Riva Trigoso. Mentre mi racconta del suo Telaio nel bosco, scopro che dietro la tessitura ci sono delicati equilibri, tensioni e nuove inizi inaspettati, magari quando quell’unico filo di lana che tiene tutto insieme sfugge e non resta altro da fare che ricominciare.
SOGNARE CON LE MANI
Autodidatta, caparbia e appassionata, Luisa impara a tessere quattro anni fa. Un telaio nel bosco, il suo laboratorio sartoriale, esisteva già da qualche anno. «All’epoca si chiamava Arrorró, come il titolo di una ninna nanna argentina», mi racconta. Ma questa creatività ha radici molto più profonde: «Sin da piccola, ho sempre amato lavorare con le mani – prosegue Luisa –, nonostante i miei avessero in mente per me un percorso completamente diverso».
Nata a Broni (PV) e cresciuta in campagna insieme alla nonna, Luisa ha imparato a cucire da bambina. Avrebbe voluto studiare al liceo artistico, ma i genitori, entrambi medici, hanno voluto che si diplomasse allo scientifico. «Con mia nonna ho sempre avuto un legame fortissimo. Lei aveva studiato alle magistrali in tempi di guerra e quindi anch’io mi ero decisa a studiare scienze dell’educazione, sebbene non fosse la mia strada», mi racconta.
Ma si è sempre in tempo per riprendere il filo dei propri sogni e così, dopo gli studi universitari, Luisa va a prendere lezioni di cucito da una sarta di Sestri Levante e poco dopo si diploma all’istituto tecnico della moda e dell’abbigliamento. «Sono convinta che le passioni ci salvino, in un modo o nell’altro. Così come lo studio, che ho sempre considerato un rifugio sicuro. E questo, devo ammettere, me l’ha insegnato mia madre».
Un telaio nel bosco è per Luisa un porto sicuro, il cuore della sua curiosità insaziabile e del desiderio di sperimentare forme e tecniche nuove. Non solo cucito e tessitura, ma anche impaglio, secondo quattro diversi metodi fondamentali che ha imparato un po’ per volta, dopo aver partecipato a un importante raduno che raccoglie gli impagliatori provenienti da tutta Italia.
MATERIA CHE PARLA
«Per me i tessuti, le canne essiccate, la paglia, sono tutti dei materiali vivi: lo sento quando li lavoro. A volte mi intendo molto meglio con la materia che ho tra le mani tutto il giorno, che con le persone», sorride Luisa. «Lavorare con le mani mi insegna a rimanere radicata», prosegue. «Per me la bellezza è la gioia che ti dà creare qualcosa da zero, anche una piccola asola o un orlo rifatto».
Questo l’ha imparato con l’esperienza, osservando i suoi figli e una piccola allieva di nove anni che da qualche mese frequenta il suo laboratorio. «Mi piacerebbe tramandare agli altri questi preziosi saperi. Oggi quasi più nessuno è in grado di riattaccare un bottone o sistemare l’orlo di un pantalone. E invece sono quelle piccole cose che regalano una soddisfazione immensa», commenta Luisa.
NOMADE COME UN TELAIO
Quando le chiedo come mai abbia deciso di chiamare il suo laboratorio Un telaio nel bosco, mi racconta di avere un telaio nomade e che quando può appoggia il bastone con la parte finale dell’ordito sul ramo di un albero e inizia a tessere. Una cintura assicurata intorno alla vita le permette di tendere i fili di lana e con l’aiuto di un pettine liccio, costruire la trama.
«Sogno spesso di avere un grande telaio fisso, come quello che le donne adoperavano anticamente – mi dice Luisa prima di salutarci, – ma non è ancora arrivato. Forse perché in fondo questo mi permette di essere libera di spostarmi: è nomade come un po’ lo sono anch’io». Così, mentre ascolto le sue parole, la immagino mentre tesse nel bosco come fosse una danza, regolando con il proprio corpo la tensione dell’ordito. E tutto si regge solo grazie a delicatissimi fili sospesi.
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