Spendiamoli insieme, il progetto che monitora il buon uso dei fondi per la democrazia partecipata in Sicilia
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Messina - Secondo la legge regionale 5/2014 ogni anno i Comuni siciliani sono tenuti a spendere almeno il 2% dei fondi che ricevono dalla Regione attraverso processi decisionali di democrazia partecipata, coinvolgendo i cittadini nella scelta dei progetti da realizzare. Non esiste un’altra regione in Italia ad avere una legge simile, la Sicilia è un unicum. Da allora la norma ha subito una serie di modifiche: nel 2015 è stata introdotta una sanzione per i Comuni inadempienti, dal 2018 ogni Comune deve dotarsi di un regolamento per la spesa dei fondi che permetta un effettivo processo partecipativo e dal 2020 le somme restituite dai comuni inadempienti vengono ripartite tra i comuni virtuosi, ovvero quelli che hanno impegnato le somme.
Si tratta di circa 4,5 milioni di euro l’anno da dividere tra 391 comuni in base a criteri di popolazione. Una città come Palermo, ad esempio, riceve all’anno 300mila euro, un comune di 5mila abitanti 10.000 euro circa. Purtroppo però la comunicazione da parte della Regione è molto poco efficace, dati importanti che necessitano di essere conosciuti e diffusi velocemente vengono, al contrario, divulgati a distanza di anni.
I dati del 2019, ad esempio, sono stati presentati solo alla fine del 2022. Per sopperire a questa mancanza, grazie anche alle richieste di un gruppo di cittadini messinesi, nasce il progetto Spendiamoli insieme dell’associazione locale Parliament Watch Italia. Un’azione di monitoraggio civico che grazie a una rete di persone e associazioni sta contribuendo a costruire la prima affidabile fonte di informazione sull’utilizzo passato e presente delle risorse per la democrazia partecipata. Un osservatorio che analizza i risultati di applicazione della legge e fa conoscere in tempo reale le azioni del proprio Comune, se è inadempiente o no, permettendo così ai cittadini di intervenire tempestivamente.
«Il lavoro che facciamo ha carattere regionale, ci occupiamo di tutti i Comuni. Promuoviamo pratiche di governo aperto cercando di riavvicinare i cittadini alle istituzioni, favorendo un percorso trasparente di apertura degli enti locali anche attraverso il rilascio di dati e informazioni utili che la cittadinanza può comprendere. Abbiamo così iniziato un lavoro di monitoraggio che ci ha permesso di ricostruire i processi di democrazia partecipata per tutti i Comuni, dal 2016 ad oggi. Quanti e come vengono spesi questi soldi sono i punti da considerare», racconta Giuseppe D’Avella, uno dei fondatori di Parliament Watch Italia.
Sul sito dell’associazione infatti, per ogni Comune esiste una scheda che raccoglie tutte le informazioni che permettono di fare una valutazione più precisa e dettagliata dell’andamento del processo partecipativo dei cittadini. Secondo la legge, i Comuni dovrebbero dotarsi di un regolamento per l’utilizzo dei fondi, attraverso un avviso pubblico dovrebbero invitare i cittadini a presentare i progetti che poi verrebbero valutati dagli uffici tecnici comunali. Una volta selezionati si procede con la votazione da parte dei cittadini. Ad eccezione di alcuni Comuni in cui si sfiora o addirittura si supera il 10% dei votanti, in tutti gli altri a votare è lo 0,3/0,5% dei cittadini.
«Questo succede perché manca un modello realmente virtuoso che prevede un’adeguata comunicazione, un giusto numero di incontri pubblici ad accorpare le varie fasi del processo. Viviamo in una regione in cui manca quasi del tutto la fiducia tra cittadinanza e amministrazioni locali. Ora abbiamo l’opportunità per ricostruire tale fiducia. L’ente locale deve comprendere il valore di processi partecipativi come questi che richiedono tempo e attenzione, perché solo così è possibile avviare un cambiamento e lavorare sulle coscienze di tutti», continua Giuseppe D’Avella.
Nonostante nel 2022 siano 95 su 391 (24,7%) le città che non avendo attivato i processi sono destinate a perdere le somme disponibili e nel 2022 risultino ancora senza regolamento 85 municipi – più di un quinto del totale (21,4%) –, poco più di trenta Comuni comuni sparsi tra le varie province – tra cui la stessa Palermo che finora non aveva mai attivato il proprio iter di democrazia partecipata perdendo oltre due milioni di euro, circa 300mila euro all’anno – stanno avviando un cambio di passo con segnali importanti.
Nel 2022 per la prima volta dopo molti anni questi trenta Comuni si sono risvegliati o hanno attivato processi di democrazia partecipata, rispettando le scadenze e portando a compimento le varie fasi del processo. Una piccola evoluzione si registra anche nel numero delle persone che partecipano alle votazioni. Sono stati ripartiti anche i soldi dei Comuni inadempienti a quei municipi considerati virtuosi in tema di democrazia partecipata.
«L’anno di riferimento per quest’ultimo punto è il 2019 e sono 207 i comuni considerati virtuosi. Secondo noi almeno 135 di questi 207 non lo sono per niente. In 10 Comuni non ha partecipato nessun cittadino, 36 comuni agiscono in evidente contrasto con la legge e in 89 comuni non si trova nessun tipo di documento. La regione usa un metodo per la rilevazione dei dati a nostro avviso poco corretto che non permette una vera valutazione della virtuosità del processo. Basterebbe poco per cambiarlo. Non sono sempre malafede o corruzione ad avere la meglio, spesso è un problema di trasparenza che è poi ciò che determina una vera apertura», continua Giuseppe.
Insieme a lui Francesco, Rocco, Iria e Alessia ogni giorno si attivano affinché il loro lavoro possa trovare un seguito a conclusione del loro progetto. Che sia un’azione degna di essere sostenuta lo ha compreso anche una fondazione tedesca, Civic Europe, che nel 2020 ha finanziato progetti in tutta Europa per interventi in contesti definiti “deserti fisici”, tra cui Spendiamoli bene, poi è arrivato il finanziamento di Open Society Foundations e adesso di Fondazione con il Sud.
«Una corretta informazione – conclude Giuseppe – è uno dei fattori più importanti per l’efficacia della democrazia partecipata. Oltre a documenti, dati e informazioni che continuiamo a raccogliere e pubblicare nelle pagine dedicate ai 391 Comuni siciliani, aggiungiamo quindi un investimento ulteriore in termini di impegno e risorse finanziarie e una nuova responsabilità. Siamo convinti che “far parlare” i dati sia anch’esso un servizio civico irrinunciabile a favore delle comunità. Così cerchiamo di tirar fuori storie e analisi capaci di far riflettere».
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