A passo lento in Lunigiana, terra di borghi, cammini e natura selvaggia – Io Faccio Così #379
Seguici su:
Massa-Carrara, Toscana - È un lunedì mattina, io e Paolo Cignini usciamo dall’autostrada a Pontremoli seguendo il navigatore e parcheggiamo lungo il fiume. Qui il clima è diverso rispetto a Genova, così recupero dalla macchina la mia pashmina. Zaini con attrezzature e telecamera in spalla, andiamo alla ricerca del primo intervistato della nostra fitta giornata, Pierangelo Caponi. Partiamo proprio da lui e dalla città di Pontremoli per questa esplorazione della “porta” della Lunigiana, una terra di cerniera tra il nord, il centro Italia e il mar Mediterraneo, solcata da grandi cammini come la via Francigena.
Pierangelo, socio della cooperativa Sigeric e di Farfalle in Cammino, associazione di turismo responsabile nata a Pontremoli nel 2004, dopo averci presentato il tenero gatto Rino, la mascotte color carota della città, ci invita in una delle caffetterie della piazza e davanti a un espresso ci conosciamo. Lui è un ex ingegnere che lavorava tra Milano e Parma e che con il tempo ha iniziato a rivedere la sua scala di priorità: a un certo punto della sua vita è scattata una molla che l’ha spinto a cambiare direzione. Ha sentito di aver bisogno di dedicarsi al turismo responsabile e alla valorizzazione del proprio territorio, così lascia tutto per dedicarsi a questa sua nuova vocazione.
“Sulla terra a passi lievi come battiti d’ali” è il claim della vostra associazione: raccontaci, com’è nata l’idea?
Il nome Farfalle in Cammino porta proprio questo significato di leggerezza e rispetto e in più custodisce la storia della città di Pontremoli. L’idea è nata da un semplice ragionamento: viaggiare nel mondo verso determinati Paesi e destinazioni in maniera sostenibile, responsabile, senza sfruttare i territori, ma lasciando anche un valore aggiunto alla comunità, non andando a deturpare né a modificare le tradizioni locali. Quasi vent’anni fa, quando abbiamo iniziato, per certi versi era più difficile; oggi invece si tratta di temi più digeribili ed è più facile comunicare questi valori, anche se allo stesso tempo bisogna fare un po’ di slalom tra tutte quelle realtà che utilizzano queste parole chiave esclusivamente per fare business.
E come si è evoluta Farfalle in Cammino?
Rispetto al 2004 l’associazione è cresciuta nel numero di soci ed è diventata un incubatore, uno spazio culturale dove le persone si incontrano e sviluppano idee ed eventi di promozione del territorio. Ora è proprio un hub dove ci si ritrova e dove prendono vita tanti progetti collaterali – come Start Working – che hanno trovato in Farfalle in Cammino un primo luogo di confronto.
Nel corso degli anni le esigenze sono un po’ cambiate, così da questa realtà culturale nel 2017 ha preso corpo una cooperativa di comunità che abbiamo chiamato Sigeric, dal nome di Sigerico, l’arcivescovo di Canterbury che nel 990 d.C. arrivò a piedi a Roma per far visita al Papa e che nel suo viaggio di rientro segnò quelle che poi diventarono le tappe ufficiali della via Francigena.
Quello che è nato come un esperimento, oggi è una bella realtà che dà lavoro a tanti ragazzi del territorio – annualmente stabilizziamo una persona a tempo indeterminato –, sempre tenendo la barra dritta nell’ambito del turismo sostenibile e responsabile. Noi siamo una cooperativa di comunità, ci riuniamo nelle “classiche” sale riunioni ma anche in cantina, seduti intorno a un fiasco di vino. Quello che rileviamo è che il panorama del turismo sostenibile in questi anni è cambiato, così come quello delle relazioni.
Chi fa parte di Sigeric e quali sono le attività che proponete?
In Sigeric c’è chi si è formato come guida turistica, chi come guida ambientale e anche chi lavora nel mondo della comunicazione digitale. Negli ultimi anni abbiamo partecipato a bandi pubblici e ora gestiamo diversi punti informazioni sul lunigianese, oltre a ostelli e palazzi storici, sia pubblici che privati. Proponiamo un ampio spettro di attività, soprattutto in questo territorio. La Lunigiana è la nostra casa, anche se il nostro raggio d’azione si è ampliato negli anni: ora svalichiamo in Emilia e in Liguria, idealmente copriamo l’area dal fiume Magra sino al mare di Forte dei Marmi, con anche parte della provincia di Parma, di Reggio Emilia e Piacenza.
Oltre ai vari tour della Lunigiana a piedi o in bici, in inverno accompagniamo a fare ciaspolate e in primavera/estate facciamo river trekking lungo fiumi, torrenti e cascate. E poi portiamo avanti tante attività con le scuole che ormai non scelgono più le grandi capitali europee ma optano per un turismo di prossimità, chiedendo sempre di più i laboratori dove far mettere ai bambini e ai ragazzi le “mani in pasta”.
Pierangelo, tu sei un ingegnere “prestato” all’ecoturismo: raccontaci la tua storia e il tuo cambio vita.
Nei primi anni dell’università sono diventato socio di Farfalle in cammino, perché profondamente interessato alla valorizzazione di questo territorio. Poi mi sono laureato in ingegneria ambientale e ho iniziato la mia carriera nel nord Italia, tra Parma e Milano, lavorando per alcune aziende di consulenza ambientale nel settore del petrolio e del gas.
Nel tempo sono diventato parallelamente guida ambientale. Per i primi anni era un hobby, ma poi pian piano questa attività è diventata prevalente, non solo dal punto di vista del tempo dedicato, anche come impegno mentale. Quando lavoravo in azienda, al mattino quando ero alla scrivania la mia mente volava già al weekend pensando ai tour, ai gruppi che avrei accompagnato. E così ho deciso di dedicarmi a questa professione integralmente.
Qual è il vostro target?
Oltre ai viaggiatori italiani, i nostri clienti arrivano soprattutto dai paesi scandinavi, dal nord Europa e negli anni abbiamo avuto sorprese fantastiche: ci hanno contattato indiani, russi e giapponesi alla ricerca di quella che loro chiamano la “Toscana inaspettata”.
Cosa vi portate a casa dopo una giornata a contatto con persone di tutto il mondo?
Innanzitutto la possibilità di viaggiare pur restando vicino a casa. Abbiamo scelto questo lavoro perché a tutti noi piace scoprire il mondo, anche se lavorando nel turismo paradossalmente viaggiamo un po’ meno di quanto ci piacerebbe fare. Però riusciamo a farlo attraverso gli occhi degli altri. La scorsa estate, per esempio, ho conosciuto una famiglia di israeliani-palestinesi, con cui per tre giorni abbiamo discusso delle vicende del mondo: per me è stato come fare un viaggio in quei luoghi attraverso i loro racconti.
Quello che poi mi porto a casa è lo stupore delle persone, le parole dei turisti che quando vengono qui mi dicono: “Mi sento un locale, uno di qui”. Dopo la fuga di migliaia di persone che sono andate via per trovare lavoro, oggi ci sono migliaia di lunigianesi sparsi per l’Italia o per il mondo con una nonna in Appennino. E c’è chi viene qui proprio alla ricerca delle proprie radici.
Parlaci di cosa significa vivere in un’area di confine.
Per me significa definire un’identità. Chi viene da fuori ti attribuisce un’identità che non ti racconterà mai completamente: un lunigianese non si sente toscano, né ligure, né emiliano. È un valore di riconoscimento, perché ci si sente parte di una comunità con un’identità propria che non si confonde completamente con quelle vicine, anche se a pochi chilometri di distanza. Vivere in un’area di confine come questa significa anche raccontarsi attraverso un cognome, un accento, il modo di chiamare determinate cose, una tradizione culinaria.
Ha anche un risvolto negativo, perché tende a far chiudere in sé stessi, come se fossimo ognuno parte di un’altra storia. Bisogna invece cercare di mediare il più possibile questi due aspetti per aprirsi verso il mondo, anche solo andando a Firenze, il nostro capoluogo di regione, che è comunque a due ore e mezza da qui. Lì ci si rende conto di vivere nella stessa regione, anche se si parla in modo diverso.
E qual è la percezione collettiva?
Qui la percezione è un po’ ristretta, si tende a darsi un’ulteriore etichetta di differenziazione rispetto al contorno. C’è chi è di Aulla, chi di Bagnone, chi di Pontremoli. Probabilmente la ragione è storica: la Lunigiana è un territorio che nel corso della sua storia non è mai stato unito, ma sempre spezzettato tra Genova, Modena e il Granducato di Toscana. Come essere di confine in un territorio già di confine.
In realtà siamo molto toscani in questo, perché ognuno guarda un po’ il suo campanile, siamo molto guelfi e ghibellini. Eppure siamo tutti figli del territorio di Appennino, figli della castagna, che ha salvato le popolazioni nei secoli, ma anche figli dei borghi medievali che caratterizzano l’immaginario di chi vive questi territori.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento