14 Mar 2023

Silvia Franci: “Troppe donne sono vittime di realtà lavorative che le penalizzano nella scelta di essere madri lavoratrici”

Scritto da: Brunella Bonetti

Essere madri e lavoratrici è ancora troppo difficile oggi in Italia. Proviamo a capire perché attraverso l'esperienza di Silvia Franci, che nel mezzo di una carriera professionale intensa e impegnativa – è neurofisiopatologa e fisioterapista – ha scelto di diventare mamma. Nel raccontare la sua storia ammette di ritenersi fortunata e al tempo stesso condivide con noi auspici e considerazioni rispetto alle altre donne che invece subiscono discriminazioni.

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Roma, Lazio - Silvia Franci è una neurofisiopatologa e fisioterapista. Lavora ogni giono in ospedale ed è da sempre affascinata dalla riabilitazione neurologica. Quelli che vive ogni giorno in corsia sono un impegno e una responsabilità enorme, eppure, come molte altre donne, arrivano per lei un impegno e una responsabilità altrettanto grandi e prioritari: essere una madre lavoratrice. La sua storia diventa dunque uno spunto di riflessione sulla condizione di quelle donne che devono dividersi tra cura dei figli e lavoro.

Silvia fa parte della schiera delle madri lavoratrici e grazie a lei si può comprendere quanto la vita di ogni donna sia fatta di tanti tasselli, tutti ugualmente importanti seppur di diversa foggia e colore, che s’incastrano perfettamente a formare un mosaico unico ed irripetibile. Tutto ciò a patto che il contesto lavorativo glielo permetta e che la donna sia decisa a non venire meno a nessuno dei suoi impegni sia lavorativi che familiari.

Chi sei e di cosa ti occupi?

Sono Silvia, sono nata a Roma e ho sempre vissuto in questa splendida città. Dal 2007 sono un tecnico neurofisiopatologo dell’Ospedale San Camillo. A un certo punto della mia vita ho iniziato a provare curiosità per il mondo della riabilitazione neurologica, ma dopo la laurea in fisioterapia non ho mai esercitato la professione e sono sempre rimasta fedele al mio primo amore, la neurofisiopatologia.

silvia franci 2
Con la maternità ci sono stati cambi di prospettive, hai lasciato andare vecchi ruoli o credenze, hai assunto nuovi comportamenti?

Se ti dicessi che dopo l’arrivo dei miei figli sono rimasta la stessa, mentirei. La mia vita è stata scossa da un terremoto di magnitudo incalcolabile. La questione è che spesso viene data un’accezione negativa a questo tipo di cambiamento: a volte può essere interpretato come una rinuncia, altre volte ci si sofferma a pensare alla propria vita prima di essere madre con uno sguardo nostalgico.

La mia esperienza personale mi ha fatto riflettere sul fatto che questo tipo di  cambiamento è stato una sorta di adattamento alla mia nuova condizione di vita, avvenuto in maniera naturale e spontanea. D’altronde nessuno di noi vive un’esistenza statica, ma c’è un’evoluzione quotidiana e ogni giorno ci adattiamo ai cambiamenti per affrontare al meglio le sfide che ci si presentano. 

Che ruolo ha a tuo avviso la maternità per una donna lavoratrice? 

Prima, durante e dopo la nascita di Agnese e Andrea ho sempre potuto contare sul sostegno del loro papà e della famiglia. Quando non sei sola puoi affrontare scelte difficili senza che queste impattino troppo sulla tua vita. La prospettiva è cambiata in maniera radicale per entrambi noi genitori: all’improvviso ti trovi a non essere più responsabile solo della tua vita – intesa come individuo singolo con le proprie passioni, aspettative, sentimenti e chi più ne ha, più ne metta – ma diventi responsabile di un’estensione di te, che in un battito di ciglia si distaccherà. Ecco, io in questo breve battito di ciglia vorrei radicare nei miei figli ciò in cui credo per permettere loro di essere liberi e indipendenti. 

Quanto e come incide il tuo lavoro sul tuo essere madre?

Il lavoro ha sempre occupato una grossa parte della mia giornata, non solo per gli obblighi che implicitamente comporta, ma anche per passione. Nella mia realtà professionale viviamo ancora oggi una condizione lavorativa decisamente ristretta: quando ho scoperto di essere incinta eravamo solo in cinque in tutto l’ospedale e io ero l’unica donna.

La normalità dovrebbe essere crescere professionalmente in un contesto che non precluda il raggiungimento degli obiettivi che ci permettono di realizzarci come esseri umani

Dal primo momento ho avvertito una sensazione di disagio: su di me gravava la responsabilità di essere costretta ad allontanarmi, mettendo inevitabilmente in discussione gli impegni e le vite dei miei colleghi. Ma loro, tutti uomini, al contrario di quanto si potrebbe pensare non mi hanno ostacolato in alcun modo, quindi non ho vissuto questa pausa forzata dal lavoro né come un intralcio alla professione, né come una crescita, ma semplicemente come il susseguirsi naturale degli eventi.

Com’è cambiata la tua vita dopo la maternità?

La maternità ha fatto sì che la mia vita ora sia “a misura di bambino”, ma non ho rinunciato alle mie passioni. I miei figli sanno che il  lavoro è uno dei tasselli del mosaico della mia vita e credo siano felici di vedermi contenta di quello che faccio. Credo che proprio i bambini mi abbiano spinto a fare qualcosa di più: quando Agnese aveva quattro anni e Andrea soltanto uno ho discusso la tesi di master, che ovviamente era dedicata a loro e alla forza che mi avevano trasmesso.

Il tuo lavoro di cura degli altri e il tuo ruolo di madre dispensatrice di cura dei propri figli hanno dei punti di contatto?

Credo che la vita di ciascuno di noi cresca con l’arricchimento reciproco di tutte le sfaccettature che la compongono. Nel mio lavoro cerco di dare il meglio, ma quando torno a casa con la consapevolezza di essere il punto di riferimento per la cura dei miei figli, spero che le esperienze che vivo con loro possano in qualche modo  riflettersi anche sul lavoro.

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Pensi che l’essere donna e madre siano ancora fattori penalizzanti nella nostra società?

Ho vissuto un’esperienza decisamente fuori dal contesto rispetto a tante, troppe donne che ancora oggi sono vittime di realtà lavorative che le penalizzano o quanto meno non le valorizzano adeguatamente, né le sostengono nella scelta di essere madri-lavoratrici. La normalità dovrebbe essere crescere professionalmente in un contesto che precluda in nessun modo il raggiungimento degli obiettivi che ci permettono di realizzarci come esseri umani. Quando ripenso al mio vissuto estremamente sereno di madre-lavoratrice non posso che sentirmi, purtroppo, una mosca bianca. 

Come fai a conciliare il tuo lavoro con gli impegni familiari?

A volte è indiscutibilmente difficile riuscire a conciliare tutto ed è necessario ricorrere a qualche rinuncia su entrambi i fronti. La parte più impegnativa è riuscire a trovare il giusto equilibrio, come in ogni cosa. Ma poi ci si riesce, diventa un’abitudine. E il risultato è sorprendente e molto soddisfacente.

Cosa consiglieresti alle Moderne Persefone che, come te, si barcamenano tra famiglia, lavoro, vita sociale, passioni, impegni quotidiani? 

Il mito racconta che Persefone fosse costretta ad alternare la sua vita tra l’oltretomba e la terra, in maniera equa; nei mesi in cui le era concesso di rimanere sulla terra, questa rifioriva semplicemente al suo passaggio. Nella mia piccola realtà c’è solo un consiglio che mi sento di dare a chi, come me, è una mamma lavoratrice: è normale, quasi scontato, che la nostra vita trascorra in un alternarsi di momenti luminosi e bui, proprio come per Persefone. Il segreto per non arrendersi credo sia cercare di far prevalere sempre la luce sul buio, imparando dalle difficoltà per far rifiorire con ancora più forza tutte le sfaccettature della nostra esistenza.

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