Pena di morte, omofobia, razzismo e altra amenità: come affrontarle in classe attraverso la filosofia?
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All’interno dei miei corsi di formazione per docenti alle pratiche filosofiche insisto sempre su due aspetti: il primo è che l’obiettivo di questa pratica non è quello di trasmettere determinati contenuti, quanto piuttosto di accompagnare bambini e bambine, ragazzi e ragazze a formarsi un proprio pensiero, in maniera critica e consapevole. Il secondo è che, in ragione di ciò, per facilitare un laboratorio di dialogo filosofico è necessario mettere da parte le proprie idee e i propri valori assumendo una posizione di neutralità.
Questo vale certamente da un punto di vista teorico. Tuttavia, nella pratica le cose non sono così semplici. Una delle sfere tematiche che affronto più spesso in classe è quella afferente alle questioni etico-politiche e quindi i temi che hanno a che fare con giustizia, differenza tra il bene e il male, diritti civili e così via. In questi ambiti viene a crearsi in me una sorta di contrasto tra due diversi obiettivi educativi: da un lato mi preme che bambini e ragazzi formino autonomamente e consapevolmente una propria posizione su queste questioni; dall’altro lato, il mio obiettivo è trasmettere determinati valori morali che ritengo essere imprescindibili e che penso la scuola dovrebbe avere la funzione di insegnare.
Racconto un esempio. Questa settimana ho condotto un laboratorio con dei ragazzi di prima superiore a partire da un esperimento mentale. Ho chiesto loro di immaginare di essere naufragati su un’isola deserta e di doversi organizzare per sopravvivere alcune settimane sull’isola. “Pensate che dovremmo metterci delle regole?” è stata la prima domanda che abbiamo affrontato. È emersa subito l’idea di come, inevitabilmente, anche se si mettono delle regole, le persone finiscano sempre per infrangerle.
“Come si potrebbe fare quindi per far rispettare le regole?”, ho chiesto a questo punto. Ed ecco che in diversi, in forme più o meno forti, hanno iniziato a difendere la pena di morte o una qualche versione della legge del taglione. “Se qualcuno non rispetta le regole lo uccidiamo, così tutti capiscono che le regole devono essere rispettate!”, oppure “se qualcuno ruba gli tagliamo una mano, così impara la lezione!”. Ho spostato la discussione dal contesto immaginario dell’isola alla nostra società, ma anche qui, in diversi, hanno continuato a difendere la pena di morte come un buono strumento per contrastare la criminalità. Come comportarsi in questi casi? Rimanere neutrali è certamente piuttosto difficile.
Prima di cercare di rispondere, vorrei dire che c’è un senso in cui ritengo che sia importante che credenze di questo tipo emergano, poiché soltanto in questo modo possono diventare oggetto di discussione e, auspicabilmente, essere decostruite. Per questa ragione, nei miei laboratori in classe, cerco sempre di creare un clima all’interno del quale bambini e ragazzi si sentano completamente liberi di esprimersi, pungolandoli, in alcuni casi, quando mi accorgo che danno risposte preconfezionate e troppo perbeniste.
Spesso, ad essere sincera, me ne pento, come è accaduto nell’esempio appena raccontato. Oltre alla liceità della pena di morte, mi è capitato di sentire bambini e ragazzi sostenere l’idea per cui gli uomini sono superiori alle donne, promuovere l’uso delle armi e esaltare la guerra, esprimere idee apertamente razziste e omofobe. Ritorna quindi la domanda: che fare in questi casi? Qui teoria e pratica si scindono di nuovo. Ciò che dovrebbe accadere in teoria è che gli altri compagni contrastino queste idee, facendosi loro stessi promotori di controargomenti funzionali a mettere in discussione opinioni di questo tipo.
Quando ciò accade è estremamente potente: non è un’autorità – un insegnante o un genitore – ma sono i tuoi pari che ti mostrano il perché la tua idea è sbagliata o, perlomeno, che è possibile pensarla diversamente. Nel laboratorio che ho raccontato sopra è accaduto qualcosa di questo tipo: è intervenuto a un certo punto un ragazzo che ha difeso la posizione per cui nessun tipo di punizione è veramente efficace come deterrente. Ha portato come esempio le note che si danno a scuola “mettere le note non serve a niente, così non ci insegnano e non impariamo nulla”.
Il suo intervento ha ribaltato la direzione del dialogo: la pena di morte e altri tipi di punizione sono stati rimessi in discussione e il laboratorio si è concluso parlando dell’importanza di rieducare e rintegrare le persone che hanno commesso degli errori. Certo, non tutti hanno cambiato idea, ma alcuni sì e questo fa già una differenza enorme. Il solo essere esposti a idee differenti dalle proprie, o forse da quelle che sono state più o meno consapevolmente assorbite dal proprio contesto di riferimento, ha un grande potere trasformativo.
Ma quando questo non avviene? Quando non c’è nessuno che contrasta determinate idee cosa dovrebbe fare il facilitatore? Infrangere il vincolo delle neutralità e farsi promotore di determinati valori oppure accettare che lo sviluppo del pensiero autonomo può prendere direzioni che non ci piacciono? La risposta a queste domande forse dipende anche dalla visione che si ha dei valori morali: se si pensa che esistano dei principi morali universali imprescindibili o se al contrario si ritiene che non ci sia un fondamento e che, a patto che sia ben argomentata, qualsiasi posizione è sostenibile. Personalmente propendo per la prima di queste ipotesi e mi è capitato in diverse occasioni di intervenire.
Posto che mettersi in cattedra e dare una lezione di moralità mi sembra essere inefficace sotto ogni punto di vista, mi chiedo a questo punto: come intervenire per fare in modo che determinate opinioni possano essere criticamente e consapevolmente messe in discussione? È davvero possibile farlo o bisogna accettare che alcune idee sono così radicate che non possono essere modificate all’interno di un semplice laboratorio di filosofia? In tutta onestà non ho una risposta definitiva a queste domande, procedo nella mia pratica per prove ed errori e lasciarle aperte fa sì che continui interrogarmi su quali dovrebbero essere gli obiettivi dell’educazione.
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