Mangwana: “Aiutiamo chi ha bisogno partendo da ascolto e costruzione delle autonomie”
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Pisa, Toscana - Cos’hanno in comune una yurta immersa nella campagna toscana, la giungla del Madagascar, crociere in barche a vela e le discariche del Senegal? Ciò che li lega si può riassumere in una parola: Mangwana. Ok, lo ammetto. In effetti mi rendo conto che anche così non ho fugato molti dubbi e allora proviamo a passare la palla a Massimiliano Ciucci, la mente che c’è dietro questi arditi parallelismi.
«Mangwana è un’associazione di promozione sociale nata nel 2006, frutto di una mia scelta di vita piuttosto radicale ma soprattutto della volontà di mettermi a disposizione di chi ha più bisogno, in Italia e all’estero», mi spiega Massimiliano, che anche attraverso il video che al tempo stesso ci separa e ci unisce tradisce un’emozione che consente di cogliere l’entusiasmo viscerale che ammanta ciò che fa.
DALLA BANCA AL MADAGASCAR
Per capire la storia di Mangwana partiamo da quella personale di Massimiliano. «Ho fatto una marea di lavori nella mia vita – saldatore, stalliere, magazziniere – poi sono stato assunto da una banca locale che era in fase di espansione e ho fatto carriera; ero bravo a fare il mio lavoro, anche se non mi piaceva». I desideri di Massimiliano sono ben altri. Una barca a vela – la sua passione – con le opportunità professionali che offre e il bisogno di dedicarsi a qualcosa di più utile e importante lo ha spingono a licenziarsi.
Poi la partenza: «Avevo una conoscente che viveva in Madagascar, così dopo le dimissioni ho costituito l’associazione Mangwana impiegando le risorse economiche che mi erano rimaste dopo il licenziamento e sono volato sull’isola per aprire una scuola calcio. Per molti mesi ho fatto avanti e indietro fra Africa e Italia, nel frattempo ho imparato il malgascio, ho tessuto relazioni, sono entrato in sintonia con il luogo e i suoi abitanti».
Dopo una minuziosa ricerca, Mangwana ha trovato un partner locale con cui ha stretto un patto di collaborazione incentrato sulla costruzione di un’autonomia operativa. «L’associazione si chiama Vanona – traducibile con “integrità, responsabilità” – e con loro portiamo avanti attività sui diritti fondamentali, in particolare di donne e minori, e microrealizzazione, ovvero attività artigianali sostenute con microcredito, grazie al quale abbiamo costruito campi e granai di comunità, più un centro polifunzionale di educazione e formazione, un ecovillaggio con due bungalow e attività di rimboschimento con focus sull’aspetto ambientale, acqua e sanità».
ALMAINES & LARIA E L’OASI MANGWANA
Ma torniamo in Italia, per la precisione in Toscana. Già, perché l’attività di Mangwana è ben radicata anche sul territorio d’origine, grazie a progetti di educazione e iniziative imprenditoriali. «L’Oasi è la nostra casa: è uno spazio in campagna con una yurta e una casetta in legno dove svolgiamo attività di formazione – ne abbiamo uno chiamato “La salute nell’aria”, rivolto alla disabilità –, incontri culturali, laboratori ricreativi, pet teraphty, musicoterapia, giardinaggio e tanto altro». Non solo: nelle provincie di Lucca e Pisa Mangwana cura anche percorsi di educazione ambientale, integrazione, pace e accoglienza soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado.
Della yurta nella campagna toscana abbiamo parlato dunque e del Madagascar pure. Ma la barca a vela? «Navigare è sempre stata una passione mia e di altri soci, così abbiamo pensato di integrarla con l’attività di Mangwana. Siamo quattro skipper associati e proponiamo corsi di vela e piccole crociere che ci consentono non solo di autofinanziarci, ma anche di formare volontari che grazie alla vela hanno iniziato a condividere i valori e partecipare alle attività dell’associazione». Sulle barche Almaines e Laria organizzano veleggiate sociali, iniziative di turismo responsabile insieme gli associati che passano una vacanza nell’arcipelago toscano dando un contributo e al tempo stesso vengono informati sulle attività di Mangwana.
SENEGAL ED ECONOMIA CIRCOLARE
Arriviamo così in Senegal, dove Mangwana ha avviato un progetto di gestione rifiuti raccogliendo l’input di un’associazione locale, il cui presidente vive in Italia. «La loro sede è in una banlieu di Dakar – spiega Massimiliano, che ha svolto i primi viaggi esplorativi, anche per conoscere la realtà locale – e il problema di rifiuti e discariche abusive è enorme, il sistema di raccolta era inesistente, anche se ora grazie anche all’iniziativa di Mangwana si sta cominciando a investire».
Nell’enorme discarica di Dakar arrivano tonnellate di rifiuti non differenziati che vengono gestiti da recuperatori informali, i quali differenziano e rivendono sottobanco, il tutto al di fuori di qualsiasi normativa. «Quello che abbiamo fatto è stato provare ad adattare al contesto locale il modello Rifiuti Zero di Capannori e insieme a Rossano Ercolini e Zero Waste abbiamo attivato un servizio di raccolta differenziata facendo fare differenziazione domiciliare a circa 2000 famiglie».
Non solo: dai rifiuti organici viene realizzato compost per progetti agricoli, mentre con gli oli esausti vengono prodotti saponi in barre grazie a una filiera che include soprattutto donne, per trasmettere competenze, valorizzare i rifiuti e creare opportunità di reddito. «Abbiamo fatto anche formazione per il miglioramento delle tecniche agricole e di compostaggio e lanciato un progetto basato su permacultura e orti sinergici. Ora ci stiamo affacciando anche in altre località del Senegal per sviluppare sempre di più queste esperienze e permettere ai partner locali di essere autonomi grazie alla produzione agricola».
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE SECONDO MANGWANA
Leggendo la storia dei progetti avviati da Massimiliano e dall’associazione avrete intuito che le loro modalità operative rispondono a criteri innovativi e ben precisi: «Cerchiamo sempre partner locali con cui ci rapportiamo in maniera orizzontale ed egualitaria, valorizzando il più possibile chi già conosce il territorio. Arriviamo in punta di piedi: per iniziare a collaborare con i nostri attuali partner ci abbiamo impiegato quasi due anni e ci siamo attivati solo nel momento in cui è arrivata una richiesta esplicita da parte della comunità locale».
La discussione porta Massimiliano a esprimere le sue perplessità riguardo all’operato di una certa fetta del mondo della cooperazione internazionale: «Spesso si immettono risorse e competenze senza verificare che le comunità locali ne abbiano davvero bisogno, manca tutta la parte conoscitiva e di ascolto, che invece è fondamentale. Costi di funzionamento, congressi, studi, ricerche, onorari di professionisti troppo alti… c’è tanto che non va. Noi però non ci vogliamo limitare alla critica, ma cerchiamo di proporre qualcosa di diverso».
Ciò che contraddistingue Mangwana infatti, oltre alla gestione coerente delle risorse – i costi di funzionamento sono molto bassi, in modo che ciò che viene raccolto vada direttamente ai progetti –, è aver fatto sempre interventi in modo trasversale: «Analizziamo attentamente la situazione e teniamo presenti tutte le variabili, anche quelle culturali; lavoriamo con le famiglie e le piccole comunità per spiegare l’importanza dei diritti, soprattutto quelli di donne e bambini, e per dare loro le risorse per essere autonomi e non dipendenti da qualcuno che li sostiene da lontano».
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