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Name: Gli amanti manichini
Autore: Simone Morini
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Arrivò, come ogni giorno, l’orario di chiusura. Gli ultimi avventori raggiunsero le uscite del centro commerciale e le aree di parcheggio. Poi fu la volta dei dipendenti che si allontanarono dandosi appuntamento al giorno dopo.
Restarono solo un paio di guardie a svolgere il consueto giro di ricognizione, quindi andarono via anche loro, restituendo al grande magazzino il silenzio che gli era stato negato per tutta la giornata dall’orda dei consumatori.
Scese la notte sull’edificio, ma non l’oscurità: all’interno le luci elettriche erano state lasciate accese come al solito, quasi si attendesse l’arrivo di misteriosi visitatori notturni. I corridoi erano illuminati a giorno e così i negozi. Al secondo piano, in una vetrina di abbigliamento, il sonno di due manichini sembrava disturbato da tanto chiarore.
«Oggi sei particolarmente bella», disse a bassa voce il manichino maschio.
Il manichino femmina restò impassibile al complimento. Lui riprese a parlare.
«Se potessi muovermi, verrei vicino a te e…».
«Piantala con ‘sta storia!», sbottò lei interrompendolo. «Sai bene che non si può, ci caccerebbero! A chi servono due manichini in movimento?!».
Il silenzio malinconico che seguì questa constatazione fu reso ancora più evidente dalla vista del corridoio deserto davanti alla vetrina. I due non si parlarono per alcuni minuti, poi lei riprese sottovoce.
«Comunque, anche tu non sei male».
«Come?».
«Dicevo, anche tu stai molto bene con questi abiti».
Lui sorrise o almeno questa fu la sua intenzione, negata dall’immobilità del volto di plastica.
«Grazie», rispose timidamente e diede un’occhiata rapida ai vestiti che indossava. Fino a quel momento non li aveva osservati più di tanto, forse perché non gliene importava molto.
In fin dei conti non erano davvero suoi, erano destinati ai clienti. Fissò alcuni secondi il passaggio antistante alla vetrina, quindi sospirò.
«Se non ci fosse tutta questa luce, la notte potremmo fare l’amore».
A queste parole, lei ebbe l’impressione di arrossire, benché la cosa fosse resa impossibile dall’assenza di sangue dentro la sua struttura.
Pensò alle volte in cui le era capitato di vedere dei manichini nudi durante il cambio di abiti. Il primo dettaglio che le era saltato agli occhi era la loro totale asessualità. La cosa le apparve ridicola: in quelle condizioni, la loro storia di passione avrebbe fatto poca strada!
Tuttavia, quella proposta sfacciata diffuse in lei un impeto di calore sconosciuto. Istintivamente si convinse a chiamarlo vita, un concetto del quale aveva sentito parlare e che si vedeva davanti agli occhi tutti i giorni nel continuo viavai della gente, ma di cui non sapeva niente.
Pensò che se avessero fatto davvero l’amore, forse avrebbe potuto sentirsi come quelle persone: un essere vivente. E allora sarebbe stata uguale a loro e avrebbe potuto varcare la barriera di vetro che aveva davanti.
Questa riflessione la portò per la prima volta a sospettare che fosse il mondo intero che vedeva al di là a essere racchiuso in un enorme vetrina e che lei e il suo compagno fossero le sole entità libere. Gli unici spettatori privilegiati.
Si rivolse a lui: «Ti prego, spogliami!».
Lui fu colto alla sprovvista da una richiesta tanto decisa e non riuscì a replicare. Lei lo esortò nuovamente.
«Non è quello che avresti sempre voluto? Ora lo voglio anch’io. Proviamo a muoverci e facciamo l’amore!».
Il manichino maschio si sentì percorso dallo stesso soffio caldo che aveva pervaso lei. Tentò di imprimere forza alla propria struttura, provò la sensazione di un formicolio profondo.
Un rattrappimento antichissimo che stava per essere vinto da una nuova manifestazione di vita. Riuscì a ruotare il collo, poi fu la volta di braccia e gambe. Arrivò infine a chiudere e aprire gli occhi e a modellare il volto in espressioni facciali.
Incoraggiata da quel tentativo riuscito, anche lei si mosse. I due si misero l’uno di fronte all’altra e si unirono in un abbraccio ancora rigido.
«Spogliami, non voglio più abiti che non mi appartengono», disse lei.
Lui iniziò a sfilarle gli indumenti. Lei fece lo stesso con lui, quindi tornarono ad abbracciarsi e fecero per rimuovere le ultime barriere alla nudità.
Si abbassarono reciprocamente l’intimo, facendolo scivolare lungo le gambe. A ogni gesto diventavano sempre più sciolti.
I loro volti avevano ormai raggiunto un’espressione di serenità estatica, ma quando gli ultimi indumenti toccarono il pavimento, i loro lineamenti mutarono in una smorfia stupita di orrore.
I corpi tornarono improvvisamente rigidi; nelle posizioni innaturali, assunte con quei pochi movimenti, la loro ritrovata immobilità di plastica non riuscì più a garantire l’equilibrio.
Si abbatterono a terra. I pezzi di cui erano composti si sparpagliarono per la vetrina e lì rimasero fino al mattino successivo, quando il personale tornò al lavoro. I commessi, vedendo quel disordine, si chiesero come avessero potuto cadere. Ma la cosa che non riuscirono proprio a spiegarsi fu in che modo si fossero sfilati gli indumenti.
Quei corpi mutilati dalla caduta e accostati nudi l’uno all’altro rimandavano all’immagine macabra di due amanti sorpresi e fatti a pezzi da un partner geloso.
I dipendenti, insieme ai primi clienti giunti al grande magazzino, scherzarono per un po’ sull’idea di quell’amore finito in tragedia, dopodiché si decisero a rimettere in ordine la vetrina prima che arrivasse qualche dirigente.
I rimasugli furono ricomposti alla buona e spostati in un ripostiglio, in attesa di decidere cosa farne.
Lì accalcati in un angolo erano due corpi morti nella loro già non vita.
Spogliati del loro unico possibile senso di esistere: gli abiti.
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