Giannozzo Pucci, l’aristocratico ecologista e ribelle che sognava di fare il contadino – Io Faccio Così #376
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Firenze, Toscana - Vi è mai capitato di leggere la biografia di un grande personaggio della storia o della cultura? No, non parlo (necessariamente) delle centinaia di pagine o delle ore e ore di biopic o documentari che descrivono vita, opere, morte e miracoli di Beethoven o di Caravaggio, di Martin Luther King o di Audrey Hepburn. Parlo più banalmente di Wikipedia. Ecco, io sono un appassionato del genere. E la domanda più classica che in genere mi spinge a consultare l’oracolo informativo dei nostri tempi, è la seguente: come è germogliato, per ciascuno di essi, il seme che li ha spinti a inventare, creare, brigare, aggregare, innovare?
Ebbene, dopo anni di navigazione sul web, posso dire che le biografie dei personaggi si dividono in due grandi filoni. Quelli che ce l’hanno fatta perché erano dei predestinati e quelli che si sono fatti da soli. I primi sono facili da individuare: sono i “figli di” oppure i possessori di incontrovertibili talenti naturali. I secondi sono coloro che – generalmente “di umili origini” – a un certo punto hanno trovato, spesso per reazione, il modo di accendere e nutrire il sacro fuoco della determinazione.
Giannozzo Pucci, classe 1944, fortunatamente non appartiene a nessuno di questi filoni. Dico fortunatamente perché se fosse stato un predestinato avrebbe passato la vita a giocare a bridge; se avesse agito per reazione sarebbe diventato un operaio o un lavoratore del sociale. E, in entrambi i casi, noi avremmo perso la possibilità di ascoltare il parere di uno dei pochi intellettuali ribelli oggi viventi in Italia; certamente uno di quelli più all’avanguardia. Nel video qui sotto trovate la sua intervista.
Ma questo suo essere un po’ outsider rispetto alla norma non è l’unico elemento che mi ha fatto appassionare alla sua storia. Hanno inciso molto anche le battaglie a cui ha preso parte, i suoi successi e soprattutto le sue sconfitte, così importanti nel definire il patrimonio di saggezza che è riuscito ad accumulare e che ora sta mettendo a disposizione per le prossime generazioni. Per tutte queste ragioni ho deciso di chiedergli di raccontarmi la sua vita in 7 minuti. Impresa davvero ardua per uno come lui.
Editore, scrittore, politico, ecologista, traduttore, attivista, animalista, ideatore e organizzatore di eventi – fra cui la Fierucola, il primo mercato di agricoltura biologica in Italia –, amico di lunga data di alcuni fra i più grandi intellettuali ambientalisti del Novecento (su tutti Ivan Ilich e Teddy Goldsmith), Giannozzo mi accoglie nella sede della storica Libreria Editrice Fiorentina, la casa editrice di cui oggi è direttore e titolare. Quando iniziamo a registrare, mai avrei immaginato che alla prima, fatidica domanda sulle origini della sua ispirazione, mi avrebbe risposto non con un elenco di titoli da biblioteca, ma con un aneddoto sulla sua infanzia che pare una vera e propria folgorazione sulla via di Damasco.
Racconta Giannozzo che quando aveva dieci anni andò a trovare il nonno in Versilia e, dopo aver giocato tutto il giorno in strada con altri ragazzini – cosa che a Firenze non era previsto dall’etichetta dell’aristocratica famiglia di provenienza –, rimase solo davanti al mare illuminato dal tramonto.
In quel momento ebbe una sensazione di immensa felicità legato alla scoperta interiore della natura, che lo ha segnato come un inaspettato imprinting e che più avanti lo ha portato a ritenere che la libertà a cui ciascun umano dovrebbe ambire non si configura tanto come libertà di scelta, quanto come libera crescita all’interno della propria coscienza in armonia con le leggi della natura. Una libertà niente affatto illimitata, dunque – a differenza di quanto asserisce l’imperativo del nostro tempo, che impone di forzare il possibile per obbedire alla prospettiva sviluppista del dominio e della dismisura –, ma gioiosamente inclusa dentro i confini che la natura ha posto non solo a noi umani, ma a tutto il cosmo.
Ebbene, dopo essersi laureato in Scienze Politiche, Giannozzo inizia a lavorare presso l’ateneo di Firenze come ricercatore e assistente di urbanistica. Ma il suo viaggio da intellettuale ribelle era già iniziato proprio in opposizione a certi concetti che aveva letto sui libri dell’università. A quei tempi, infatti, aveva già messo in discussione alcuni dei principi chiave del liberalismo, a partire dalla celebre citazione, semplicistica e antropocentrica, “la mia libertà finisce dove comincia la tua”.
Non a caso, dunque, quando gli propongono di lavorare all’università in pianta stabile, rifiuta e preferisce comprare una mucca per il terreno di famiglia a Ontignano, nel comune di Fiesole. Il suo sogno? Fare il contadino. Peccato che le conseguenze di un incidente in Germania gli fanno perdere non solo la gamba sinistra, ma anche la possibilità di coronarlo.
Il racconto di Pucci prosegue in un susseguirsi di capitoli sulla storia recente d’Italia e su come egli abbia sempre scelto, per ciascuno di essi, di percorrere la strada meno battuta, generalmente la più moderna e innovatrice. Qualche esempio? Il suo impegno come angelo del fango durante l’alluvione di Firenze del 1966, che lo spinge a rivedere il concetto classico di lavoro e a declinarlo come impegno per il bene comune, tema che lo accompagnerà poi per tutta la vita.
Oppure la sua personale adesione al ’68 come forma di protesta verso la società dei consumi, che lo porta a mantenere le distanze – anche grazie al messaggio di Don Milani – sia dalla deriva marxista che da quella violenta del movimento studentesco in Italia.
E poi la pratica della non violenza in antitesi con quella che ha finito per prevalere con i radicali di Pannella: prima attraverso i campi della Comunità dell’Arca di Lanza del Vasto, e poi tramite la loro riproposizione sulla sua tenuta, nel periodo 1980-85, come riflessioni sull’ecologia col nome di “Campi di Ontignano”.
O anche l’energia profusa nel tentativo di portare ai Verdi italiani quell’approccio culturale puramente ecologista di cui – a parte rari casi, come quello del povero Alexander Langer – erano totalmente privi, provenendo la maggior parti di essi dalle classiche organizzazioni di stampo partitico.
Fino all’incontro con il botanico e contadino giapponese Masanobu Fukuoka – che prima lo ispira a tradurre e pubblicare i suoi libri in Italia e poi a invitarlo e accompagnarlo in giro per il Belpaese nel 1981 – e alle battaglie per l’affermazione dell’agricoltura contadina come strumento di base per un’effettiva transizione ecologica della società.
Un aspetto, quello dell’agricoltura contadina, così fondamentale nel pensiero del Pucci da diventare il tema dell’ultimo numero de l’Ecologist italiano, da lui stesso edito e diretto (come collana della LEF) con il consenso dell’amico Teddy Goldsmith, che The Ecologist lo aveva fondato in Inghilterra 35 anni prima. A proposito, il tema del primo numero della versione italiana, datato 2006, era il cambiamento climatico. Dodici anni prima di Greta Thunberg e almeno dieci prima che la grande stampa iniziasse ad accorgersene.
Insomma, un lungo ma incompleto elenco di azioni e precursioni al quale aggiungo, allo scopo di integrare ciò che è rimasto fuori dal montaggio del video, il tentativo – già negli anni ’70 – di salvare le razze bovine autoctone in via di estinzione, fra cui la razza pontremolese, che fu la ragione indiretta del suo primo incontro con Goldsmith. E anche la presidenza, alla fine degli anni ’80, del calcio storico fiorentino, con l’obiettivo (poi sfumato per il mancato supporto degli altri dirigenti) di creare una squadra per ogni rione di Firenze e alimentare così lo spirito comunitario.
A questo punto non mi resta che terminare l’intervista con la più classica delle domande che si possano fare a un vecchio saggio. «Che consiglio daresti a un adolescente di oggi?». «Gli direi di stare per un po’ accanto a qualcuno che possa insegnargli del lavori manuali», mi risponde con la dolcezza che sempre lo accompagna, come note di un pianoforte che si ode in sottofondo, persino quando pronuncia le frasi più ribelli che abbia mai sentito negli ultimi anni.
«Di dedicare qualche giornata al mese alla coltivazione della terra – continua – sperimentando le nuove forme di agricoltura contadina, da quella naturale alla permacultura, che da un lato rigenerano il terreno rendendolo più fertile, e dall’altro restituiscono non soltanto cibo genuino, ma anche felicità e voglia di vivere, educando a stare al mondo e a confrontarsi con i limiti, quelli propri e quelli imposti dalla natura».
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