Il culto della Dea Madre: il ruolo della Liguria tra storia e contemporaneità
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Savona - Dall’antichità arrivano prove tangibili di un culto che ha coinvolto l’intera umanità fin dai tempi della preistoria, unendola attraverso fili invisibili fra i diversi continenti e nel corso dei millenni: parliamo del culto della Dea Madre, chiamata anche Grande Madre, Grande Dea o Dea Cosmica, ovvero una divinità femminile primordiale. Le prove che tale credo arrivi da molto lontano ed è diffuso in molte aree del nostro pianeta sono molteplici: i ritrovamenti di raffigurazioni simili tra loro in diversi continenti, realizzate con svariati materiali, sono la conferma che culture, civiltà e popolazioni differenti onoravano e veneravano tale entità.
Le sue raffigurazioni ritraggono spesso la sagoma di un corpo femminile dalle generose forme del seno e dei glutei e talune volte anche della vulva: prova che non si trattasse di una persona specifica ma di un’energia, un’entità priva di un corpo fisico umano, è il fatto che in molti casi non venivano tracciate le linee del volto. Spesso infatti le statue che la rappresentano hanno una “testa a insetto”, allungata o persino in alcuni casi, un cerchio.
Attraverso Debora Augustoni scopro che alcune di queste statuine, raffiguranti proprio la Dea Madre, sono state ritrovate anche a Finale Ligure (SV), e sono ora parte del patrimonio visitabile nel Museo Archeologico del Finalese. Decido quindi di contattare Manuela Saccone, che da trent’anni lavora come guida ed è responsabile dei laboratori didattici di archeologia sperimentale.
In pochi giorni organizziamo l’incontro e senza lasciare troppo spazio alle presentazioni mi ritrovo tra i corridoi museali, con Manuela al mio fianco ad accompagnarmi in queste scoperte. L’emozione è tanta e altrettanta la curiosità. La nostra visita inizia dalla prima sala, dove Manuela mi mostra la riproduzione della sepoltura paleolitica del Giovane Principe, ritrovato nella Caverna delle Arene Candide nel 1940.
«Si tratta di un ragazzo vissuto circa 28 mila anni fa e dalla ricchezza del suo corredo si può dedurre fosse una persona importante: un copricapo di conchiglie, quattro bastoni forati, una grande lama di selce stretta in una mano, vari ornamenti in avorio di mammut».
Tale ritrovamento è particolarmente interessante per la sua datazione e per essere stato studiato molti anni fa dall’archeologa Marija Gimbutas, che è stata la prima a svolgere uno studio sistematico sulle statue della Dea Madre. E proprio attraverso lo studio degli ornamenti di questo giovane uomo, la Gimbutas riconosce simboli della Dea stilizzata: sia nel copricapo e nel bracciale, che nel ciondolo di ciprea, il quale visto da vicino ricorda molto l’organo genitale femminile.
LE STATUINE
Le prime statue legate al culto della Dea Madre rinvenute sono liguri! «Sono state ritrovate ai Balzi Rossi, nell’imperiese, alla fine dell’800: un certo Julienne ha trovato infatti in due caverne quindici statuine molto piccole incise su steatite verde e gialla, ma anche su avorio. Finiscono a punta perché si presuppone che venissero infilate nel terreno, probabilmente all’interno del luogo sacro dedicato al culto alla Dea».
Julienne mostra così i suoi ritrovamenti, ma viene deriso e non creduto. Negli anni ‘20 viene poi ritrovata la famosa statua di Willendorf in Austria, la cui testa richiama molto il copricapo del Giovane Principe finalese, e la somiglianza fa sorgere dubbi sulla veridicità e autenticità di quelle liguri, che viene poi però confermata anni dopo e la cui datazione viene fissata a 25mila anni fa. Ma ormai è troppo tardi, perché parte di esse sono state vendute a dei musei francesi, altre fanno parte di collezioni private negli Stati Uniti. La più antica mai trovata è incisa nell’avorio, al posto della testa ha un anello di sospensione ed è datata a 40mila anni fa.
IL SIGNIFICATO
«Non sappiamo quale fosse il culto nel Paleolitico e Neolitico, si iniziano ad avere informazioni più precise nell’età classica, quando si comincia a parlare delle divinità. Spesso parlando delle raffigurazioni della Dea Madre, esse vengono associate esclusivamente alla fertilità, ma il significato è molto più profondo. La stessa Gimbutas non lo definisce infatti “culto della Dea Madre”, ma “della Grande Dea” perché ricondurla semplicemente alla maternità è troppo riduttivo».
«Soprattutto nelle epoche più antiche si presuppone che l’uomo non avesse compreso il suo ruolo nella riproduzione: le supposizioni degli studiosi sono che si credesse in una Dea Cosmica che aveva generato la vita. Quando viene poi scoperta l’agricoltura, trasformandosi di conseguenza da popolazioni nomadi a sedentarie, questo culto si trasforma in Dea della Natura, che essendo ciclica nel suo cambio di stagioni ha molto a che fare con la femminilità, la cui ciclicità è evidente».
Non solo: Manuela mi spiega che sono state ritrovate statue e graffiti di tantissimi tipi e spesso il richiamo al ciclo di vita, morte e rinascita è forte. Sono state ad esempio rinvenute dee incise su osso, che probabilmente indicano la rigidità della morte, o con forme spiroidali, che simboleggiano proprio la visione circolare della vita. Prova ne sono anche alcune raffigurazioni che ritraggono la Grande Dea nelle tre fasi di vita: giovane, madre e anziana.
Anche il luogo di ritrovamento cambia molto: in alcuni casi sono state ritrovate a fianco di luoghi di sepoltura, ma anche in contesti di vita normale, come ad esempio a fianco di forni. Si pensa dunque che tale culto fosse legato a diversi momenti della quotidianità. Altro elemento caratterizzante è il colore rosso, derivante dall’ocra che spesso le accomuna anche in diversi luoghi di ritrovamento, in Italia e in altri paesi dell’Europa mediterranea e di quella continentale.
IL CULTO OGGI
Nei testi di storia studiati nelle aule scolastiche le informazioni sono limitate e spesso superficiali, ma comprendere quanto questo culto appartenga alla nostra storia è fondamentale. Sempre secondo Marija Gimbutas infatti, tali credenze appartenevano a società matrilineari e gilaniche e sono mutate nel corso del tempo, in particolare a seguito dell’arrivo di popolazioni patriarcali provenienti dall’est, che determinano quindi anche il cambiamento del ruolo della donna nel contesto famigliare e di comunità.
«Questo mito della Grande Dea nel corso del tempo viene assorbito dalle sue eredi: prima da divinità come Atena ed Ecate (il cui ruolo però si trasforma da dee a mogli degli dei) e successivamente da figure femminili religiose. Risalendo il filo rosso che parte dai tempi più antichi e arriva sino ad oggi si può comprendere come gli intrecci di simboli e credenze siano molteplici: cambiano forma, ma non sostanza». Secondo alcune teorie il culto mariano è strettamente legato a quello della Dea Madre: prova ne è che i santuari dedicati a Maria sono spesso costruiti su luoghi di culto delle acque o preistorici, come Lourdes, che sorge in un importante sito paleolitico.
Il tempo è terminato e io saluto Manuela con la promessa di rincontrarci. Alcuni giorni dopo casualmente decido di andare a visitare il battistero di Albenga per la prima volta e mentre la guida mi racconta le caratteristiche uniche di questo luogo rimango colpita da un’informazione: il battistero è stato costruito sopra il tempio dedicato a Iside e il culto delle acque di questo luogo è evidente dalle fonti naturali su cui sono state costruite le chiese a fianco, dedicate a Maria. Afferro il filo rosso, non so dove mi porterà, ma ho deciso di seguirlo.
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