La storia di Alessandro, da impiegato in una stazione di servizio a coltivatore di cereali antichi
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Massa-Carrara, Toscana - Esplorando le aree interne di confine capita di fare incontri significativi anche ai mercatini di produzioni locali. Mi è successo a Villafranca in Lunigiana, quando mi sono avvicinata a un banco incuriosita dal “caffè di farro” e dalle confezioni di cereali antichi e ho iniziato a fare una chiacchierata con i produttori.
Alessandro Ferdani è un trentottenne di Mulazzo, borgo medievale a cavallo tra Toscana, Emilia-Romagna e Liguria. Dopo il diploma e dopo aver lavorato dieci anni in una stazione di servizio, decide di cambiare vita e sceglie di camminare sulle orme dei nonni paterni, agricoltori, da cui ha ereditato l’amore per la terra e per gli animali. Così acquista qualche pecora, poi qualche altra ancora, sino a creare un piccolo ma significativo gregge.
Dodici anni fa prende vita così l’azienda agricola Il Gradile, nome che ricorda un vano essenziale all’interno delle case contadine lunigianesi. Il gradile infatti era una cucina parallela dove si cuoceva nei testi – antichi forni mobili in ghisa – e nei fornelli a legna, ma anche uno spazio dove essiccare le castagne in autunno, oltre che luogo di convivialità, dove la famiglia si riuniva davanti al fuoco.
Oggi Alessandro, in tanti piccoli appezzamenti di terreno sparsi qua e là, coltiva varietà di cereali antichi quasi scomparse: il grano autoctono, il farro e il granturco otto file. Ne nascono biscotti artigianali, un “caffè” di farro naturalmente senza caffeina e la farina macinata a pietra. E poi confetture, marmellate e pecorini con diversi tipi di affinatura, da quelli alla cenere d’olivo a quelli con paglia di farro, con fieno ed erbe aromatiche o al caglio vegetale. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia.
Alessandro, parlaci del tuo percorso e del tuo cambio vita.
Dopo la maturità ho lavorato in un Autogrill per una decina d’anni. In quel periodo avevo preso un piccolo gregge di pecore, soprattutto per tenere puliti i campi. Sono passato da dieci a quaranta, poi cinquanta e ora sono circa duecento, tra pecore e capre. Le mungevo per trasformare il latte quasi per scherzo, per gioco, e ho continuato così finché a un certo punto non sono più riuscito a far coincidere i due lavori. Così ho scelto di dedicarmi alla terra al 100%, aprendo la mia azienda agricola.
E come sta andando?
Da tre anni ormai abbiamo anche le capre, oltre alle pecore. Va bene, il lavoro mi piace molto ma ci vuole passione perché è faticoso, senza dubbio. Non ci sono né sabati né domeniche, né Natale né Pasqua, si lavora sempre. È dura e credo sia per questo motivo che questo mestiere ormai stia andando perdendosi: oltre a me, qui in zona, l’agricoltore più giovane avrà 65 anni [sorride, ndr].
E l’attività agricola?
Coltiviamo i nostri campi a cereali antichi. Certo, il farro non rende tanto come il grano e l’orzo, ma ha dalla sua parte il vantaggio di non aver bisogno di concimi. A fine ottobre si semina e a partire da fine giugno si raccoglie. Dalla paglia otteniamo la lettiera per i nostri animali, mentre la granella di farro la vendiamo per insalate o zuppe.
Da qualche anno però una parte del farro raccolto la facciamo tostare a legna per creare una sorta di caffè naturalmente decaffeinato. Prima di metterlo in vendita lo abbiamo fatto analizzare da un laboratorio ed è risultato molto ricco di magnesio e potassio, quindi buono per chi fa sport. E poi, a differenza del caffè che è un eccitante, questa bevanda è un rilassante naturale. Come sapore il nutrizionista che l’ha analizzato l’ha paragonato all’orzo, perché ha un qualcosa di affumicato, con delle note quasi caramello, che a tratti ricordano il cioccolato.
Torneresti indietro?
Eh, qualche volta sì, lo ammetto. Il periodo più tranquillo dell’anno è tra gennaio e febbraio; da marzo poi si ricomincia, ma mi piace molto questo lavoro, quindi sono soddisfatto così.
Parlaci di come si vive in una terra di confine come la Lunigiana.
La Lunigiana è come se fosse un territorio a sé stante, sganciato dalle regioni e anche la parlata non è né toscana, né ligure né emiliana. Dal punto di vista lavorativo questa purtroppo è una zona che non offre molto, a meno che non scegli un lavoro in ambito agricolo come ho fatto io. Basta andare a Borgo Taro, a 30 chilometri da qui, lì è pieno di industrie. Oppure in Garfagnana, che è un territorio più aspro rispetto alla Lunigiana: lì ci sono tante piccole industrie alimentari, caseifici importanti e poi si punta molto sul turismo e i ragazzi trovano lavoro.
Il punto è che questo è un territorio piuttosto chiuso in sé stesso, che invece potrebbe vivere di turismo enogastronomico, rivolto volendo anche a un target di viaggiatori che amano camminare in luoghi incontaminati e gustare le specialità locali. Ma non viene spinto molto. Su questo siamo rimasti agli anni ’70.
Cosa intendi?
Quando ero piccolo mio papà lavorava a Pisa, quindi ho vissuto qualche anno lì con la mia famiglia. Quando rivelavo a qualcuno la mia origine tantissimi strabuzzavano gli occhi. “Lunigiana?! Ma dov’è? Mai sentita”. Ora in realtà la si sente nominare un po’ di più qui e là… quantomeno per i testaroli [sorride, ndr].
E come agricoltore riesci a intrecciare relazioni con altri colleghi e a fare rete?
Purtroppo no, è difficilissimo ed è un vero peccato. Qui c’è ancora molto campanilismo che ovviamente non porta a nulla, quindi non si riesce a fare rete tra colleghi coltivatori o allevatori. In Emilia Romagna ci sono tanti consorzi agricoli, ma anche in Liguria, poco distante da qui, e in val di Vara, con il distretto del biologico riescono a lavorare insieme. “Una noce nel sacco fa poco fracasso”, diceva mia nonna. Se invece ci metti qualche altra noce, anche solo due o tre, un rumorino lo senti ed è vero. Bisognerebbe cooperare eppure non si riesce.
Quale potrebbe essere secondo te una soluzione concreta per cercare di arginare la perdita di questi antichi mestieri in Lunigiana?
Trovo che le piccole realtà come la mia dovrebbero avere molti meno paletti, soprattutto in ambito burocratico. Io che faccio pochissimi formaggi all’anno vengo paragonato a chi ne produce quintali, sia come tassazione che come regolamentazione. Nel mio caso poi sono io a mungere i miei animali e il giorno stesso o al massimo quello successivo preparo i formaggi. Non è un latte che arriva da chissà dove, ho tutte le certificazioni, invece purtroppo sembra tutto estremamente complicato e che ci sia sempre da combattere contro qualcosa.
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